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lunedì 12 novembre 2012

CURVA SUD BRUXELLES, splendori e miserie di un derby vissuto all'estero


Vedere un derby all'estero non è mai piacevole, anzi vedere un derby non è mai piacevole è una sofferenza sorda e immeritata, ripagata, solo a metà, dalla eventuale vittoria finale. Di solito nelle mie permanenze all'estero ho sempre preferito un approccio solitario al derby: ricordo quello finito 3-2 col gol di Berahmi (un gol pesante come uno scudetto, visto che la Roma lo perse di un punto quell'anno) in un bar squallido su calle diego de leon a Madrid, dove dovetti litigare con una signora che beveva DYC (il whiskey prodotto a Segovia, orgoglio della Spagna autarchica e franchista) con coca cola e insisteva per vedere una specie di "bellissimo di rete 4" su un altro canale. Ricordo la dolorosa sconfitta dell'aprile 2010, dove la punizione di Vucinic diede una vittoria che profumava di scudetto (grazia al cielo sfumato anche questo) alla Roma di Ranieri, vissuta in una pizzeria di immigrati (quando ancora non si chiamavano Expats) siciliani.
A Bruxelles questa volta, in maniera del tutto inconsapevole, ho vissuto un'esperienza completamente diversa finendo per vedere la partita in mezzo ad almeno 200 romanisti al Pub De valera's di Place Flagaey. Avevo pensato di evitare per il derby di andare al bar che di solito mi ospita (il fat boy's di Place Luxembourg), dove il calcio ha un ruolo ancillare rispetto al football americano e dove devo condividere bancone e sgabello con i soliti tifosi della premier, in particolare un inglese, uguale a tracy chapmann ma con voce più effeminata,  tifosissimo del Tottenham, per recarmi nel confortevole pub che porta il nome del primo presidente della Repubblica di Irlanda. Arrivato al pub, e guadagnato un tavolo in compagnia di un amico berlinese in visita per il weekend, mi sono reso conto di essere circondato da tifosi della Roma. Non che mi aspettassi il contrario, anzi, ma non immaginavo una simile sproporzione, Bruxelles, infatti, è pur sempre la città che ospita la tomba del fondatore della Lazio Luigi Bigiarelli. L'errore però è stato mio, bastava un giro su google per scoprire che al DeValera's si riunisce la "Curva Sud Bruxelles" il gruppo di expats (quelli che un tempo si chiamavano emigranti) di fede giallorossa. Al gruppo vero e proprio era riservata una sala apposita, tappezzata di drappi giallorossi e impreziosita da uno striscione col nome del "gruppo" e un simpatico "Aho" -esclamazione eletta quale epitome della romanità gagliarda e caciarona, bonaria e insolente a cui i tifosi giallorossi ("aho, ste cose solo a Roma") sono molto affezionati - e una scritta goliardica che paragonava la Roma ad un - faticosissimo - "orgasmo infinito".
La sala, calda, sudata, chiusa dalle bandiere, non faceva che confermare le mie teorie sul carattere marcatamente infantile dei tifosi della Roma, costantemente alla ricerca dell'attenzione altrui, rumorosi puer che non possono fare a meno di riunirsi in luoghi che ricordano l'utero perduto come, questa sala, o il circo massimo nella capitale.
Naturalmente io non ero seduto lì, ma nella sala principale; il tavolo giusto davanti al mio però era lo stesso una perfetta summa dei tratti del tifoso romanista delineati da Dionigi nel suo post sullo stadio. Era composto da un pelato, un roscio col pizzetto, un altro pelato con una t-shirt azzurra oggetto di scherno da parte degli altri per la scelta cromatica e, infine, due romanisti del nord, probabilmente veneti, felici di poter vivere il loro tifo giallorosso senza complessi. Tratto comune del simpatico gruppo di amici, tranne l'eretico in azzurro, era indossare la maglietta del capitano.
Ora, se c'è una categoria di persone da disprezzare, a prescindere da ogni fede, sono i tifosi da pub, quelli che vivono la partita nel bar come se fossero allo stadio. Ma ancora peggio sono quelli che vanno al pub bardati con sciarpa e bandierone. La messa cattolica in tv, non a caso, la vedono solo gli anziani o gli ospedalizzati, purtroppo nel calcio questa sana divisione si è, da tempo, perduta.
 La prima mezzora di partita è stata l'apoteosi del roscio col pizzetto, battute, esclamazioni, i soliti cliché tipo: "a burini", o a "a fenomeni", "daje Francè" e, infine, una perla di umorismo: "se  chiama Onazi, gioca nella Lazio, me è nero", questo presunto paradosso lo deve aver molto divertito e la battuta l'ha voluta sottolineare con una lunga risata sdrucciola agganciata alla fine della freddura. Questi expats - un tempo li avremmo chiamati emigranti - naturalmente non sono funzionari delle istituzioni, gli eurocrati o odiano il calcio o hanno sky italiana in casa. Le loro case sono delle piccole appendici di Italia, romantiche botteghe di souvenir, dove si respira l'aria di casa e Bruxelles non diventa che un lontano ricordo. Questo gruppetto apparteneva certamente ad una casta più bassa, probabilmente informatici e quadri di qualche multinazionale, sottoproletari che hanno studiato, ma che sono dovuti partire per avere un buon lavoro, abbandonando le loro camerette coi poster di falcao, totti e bob marley e i loro appartamenti situati su quella che Dionigi chiamò "la direttrice Piazza Irnerio-Via Baldo degli Ubaldi-Via Candia", gente che se avesse potuto sarebbe rimasta lì, passato i weekend nella casetta in un paese della a24 (Vicovaro Mandela; Carsoli) e avrebbe visto Brignano o Antonio Giuliani almeno due volte all'anno (una all'aperto in estate).
Fino a che la Roma ha giocato (prima che la pioggia rendesse solo a lei impossibile giocare e le condizioni del campo peggiorassero solo per i giocatori della Roma ovviamente) l'attenzione, il pathos, le urla e le battute non sono mai calati, con il venire fuori della Lazio e le reti biancazzurre l'atmosfera è mutata radicalmente. Dalla curva sud si è tornati alla realtà brussellese. Non a caso, ho ricominciato a sentire parlare di lavoro, di weekend da pianificare per tornare a Roma e di derrate alimentari che stanno finendo ("aho ma quer pecorino che avevi portato? Sta a finì? - eh si a forza di darlo a tutti").
Il momento della verità è stato la sosta al bagno nell'intervallo, il roscio era lì ad inveire contro De rossi "se ne annasse sto stronzo, ha rotto il cazzo", "già però pure er Boemo…" gli faceva eco un tizio con la north face e la coppola.
Povero De Rossi, il capitan futuro che non sarà mai capitano, troppo  poco ruffiano per essere amato, un po' rosicone, colpevole di aver alzato il gomito in campo e nella vita, sarà costretto ad una damnatio memoriae che neanche Giannini.. Antidivo, un po' fascista e malavitoso più che il gemello di Totti è il suo lato oscuro e più vero, quello che il puer romanista non potrà mai apprezzare….
Dopo il 3-1 di Mauri i primi ad andare via sono stati i romanisti del nord, coprendo la maglia di Totti con un maglione hanno salutato gli amici, intimato al pelato con la maglietta celeste di non ripetere una simile  accostamento cromatico e hanno guadagnato l'uscita.
L'ultimo sussulto del bar è coinciso con il gol di Pjanic, una di quelle punizioni che alla playstation facevano arrabbiare i nostri amici scout, e l'occasione mancata da Osvaldo dove l'intero Pub ha gridato al gol, ed ha riassaporato, per un attimo, l'orgasmo infinito; in quel momento ho avuto la lucidità di fermarmi e guardarmi intorno, vedere quei pile quechua gonfiarsi, le sciarpette tornare a ruotare, per poi scemare ancora una volta come la schiuma morbida di una buona pinta belga.
Nel finale sono andato in bagno e mi sono fermato a vedere la saletta della "curva sud" i volti tesi, delusione, mani sul volto, gomiti sulle ginocchia, solo un "fascisti di merda" rivolto alla curva della Lazio è stato l'ultimo rigurgito di tifo prima del fischio finale.

Sulla partita poco da dire: la Roma prigioniera dell'inutilità del 433 zemaniano, oramai una ex utopia calcistica diventata barzelletta, aggravata, per giunta, dalla barcellonite. Già perché se si sporca la verticalità zemaniana con il fraseggio accentuato al limite dell'area ci si riduce veramente all'indigenza tattica, spalancando la porta a qualsiasi tipo di contropiede. La Lazio ha fatto il suo, quando può disporre di tutti gli effettivi ha cinismo e qualità sufficiente per mettere in difficoltà chiunque. La differenza sta ovviamente negli allenatori, Petkovic fa ancora calcio, per Zeman tutto questo è una scusa per andare in sala stampa, per la prossima sparata, per il prossimo paginone su un giornale, per la prossima perla di saggezza e moralità che questa variante calcistica di un Saviano o di un Travaglio si sente sempre in dovere di regalarci. Mi meraviglio che non abbia tirato in ballo il coinvolgimento di Mauri nel calcio scommesse, forse non gli è venuto in mente, ma magari lo farà… speriamo.
Mentre il bar si svuotava, sono rimasto a finire la mia birra guardando gli Italiani uscire e lasciare il posto ai fan della premier league, per lo più gente dell'est che ha eletto quel campionato come proiezione di quello che vorrebbero essere e non sono e di quello che vorrebbero avere e non avranno. Ecco allora polacchi del liverpool, Ungheresi del Chelsea prendere posto per tifare per le "loro" squadre.
Non rimaneva altro da fare che pensare di dover visitare nuovamente la tomba di Bigiarelli per ringraziarlo