giovedì 25 febbraio 2010

"..Noios volevan savoir...."

Dopo la squallida pantomima di sabato sera,
torna il sereno in casa Inter.
Vittoria, per quanto striminzita, contro un discreto Chelsea, che ha sbattuto per l'intera partita contro il muro formato da Samuel ed un fantastico Lucio (alzi la mano chi pensava al suo arrivo in Italia che fosse così forte). Da segnalare che Ancellotti, che forse è un pirla, si è limitato ad inarcare il suo proverbiale sopracciglio ballerino quando l'arbitro ha sorvolato su un rigore per fallo da ultimo uomo di Samuel grosso come una casa.
Tornando alle vicende di c[o/a]sa nostra prosegue di gran carriera, oltre che quello della Juventus, anche il percorso del Milan in cui è da segnalare una splendida prestazione dell'ottimo Rosetti, rinvigorito dal ritorno in campo agli ordini di Mister Leonardo.
In linea con l'ultima moda del calcio nostrano vi riporto di seguito una foto di Prandelli in panchina, il quale però dice di essere stato frainteso e che il suo gesto non volevo assolutamente essere un'accusa contro la classe arbitrale (da notare anche il "quarto uomo" al suo fianco, che segnala con il braccio alzato il gesto di dubbio gusto all'arbitro):
Per tutti coloro che non si avvalgono di cotante impercettibili spintarelle la domanda sorge spontanea.
"Noios volevan savoir... per andare dove vogliamo andare, dove dobbiamo andare? "

martedì 23 febbraio 2010

Il clown triste del BFC: Dyego Rocha Coelho

"La sera quando mi sciolgo il trucco riscopro che sono un pagliaccio anche sotto..."

Allo stadio Dall’Ara era un assolato pomeriggio di inizio ottobre. Coppa Italia, Bologna-Ascoli, risultato piantato sullo 0-0. I pochissimi spettatori si stanno convincendo che - ormai - la partita si stia trascinando senza emozioni fino ai supplementari.

“Neanche con l’Ascoli si riesce a vincere…”

“Ma và, è Coppa Italia, chi se ne frega, no? E poi stanno giocando tutte le seconde linee. Vedrai che il Bologna quest’anno fa un gran campionato…”

Arriva il minuto 39 del secondo tempo. Palla in attacco al Bologna, sulla fascia destra della metà campo dell’Ascoli. Un giocatore riceve palla, si ferma; retropassaggio al centro. Il compagno stoppa, alza la testa e da 40 metri fa partire un siluro di destro che s’incastona nel sette della porta marchigiana. Il marcatore è Dyego Rocha Coelho, appena arrivato in prestito dal Corinthians, via Atletico Mineiro. Uno dei tre sudamericani portati sotto le due torri dal d.s. Salvatori in estate.

Quella curva semideserta impazzisce.

“Sta’ a vedere che ne abbiamo preso uno buono…”

Non è un cliché come molti pensano. Personalmente, i pagliacci e i giocolieri mi hanno sempre messo tristezza. Per intenderci, ho grande ammirazione per chi cerca di far divertire la gente. Ma credo davvero che dentro di sé essi portino una melanconia ancestrale, che regolarmente trasmettono anche a me a suon di frizzi e di lazzi. Questa è la storia di Dyego Rocha Coelho, il clown triste del Bologna F.C., stagione 2008/09. Nato a San Paolo nel 1983, laterale difensivo destro, cresce nelle giovanili del Corinthians e dal 2003 entra in pianta stabile in prima squadra. La sua carriera sembra ben avviata sotto i migliori auspici: nel 2003, all’esordio col club, vince subito un Campionato Paulista. Classico “giovane interessante”, gli si aprono subito le porte delle Nazionali verdeoro: esordisce con una presenza nella Gold Cup, la competizione continentale nord-centroamericana, in cui il Brasile è regolarmente invitato con la sua rappresentativa under-23. È il luglio del 2003, nel corso di quel torneo il mondo scopre Kakà, lui si accontenta di subentrare nella finale persa contro il Messico per 1-0. Nel dicembre dello stesso anno, viene convocato per i Mondiali under-20, vinti proprio dal Brasile (in finale contro la Spagna di Iniesta), in cui colleziona due presenze. Tornato in Brasile, continua l’avventura con il Corinthians, con il quale vincerà un Brasilerão nel 2005, mettendo insieme 8 gol in 58 presenze fino al 2006. Dal 2007 lo troviamo a Belo Horizonte, in prestito all’Atletico Mineiro, di cui è il terzino destro titolare; con gli alvinegros vince anche un Campionato Mineiro nel 2007. La sua carriera in Brasile sembra dunque andare per il meglio: come tanti giocatori onesti ma non fenomenali, si ritaglia il suo spazio, fa le sue buone partite, qualche gol, togliendosi la soddisfazione di vincere anche qualcosa.

Poi, arriva l’estate del 2008. Dall’altra parte del mondo, a Bologna, c’è grande fiducia per la stagione calcistica successiva. I rossoblù hanno appena lasciato la Serie B e si apprestano ad affrontare la massima serie. Ovviamente, in giugno, inizia a tener banco la questione mercato. Il Bologna annuncia che arriverà dall’Atletico Mineiro, in prestito con diritto di riscatto, tal Dyego Coelho. Nessuno sa chi è, da questa parte dell’Atlantico, ma la sua fama lo precede. Inizia a girare un video in cui il nostro, in un infuocato derby Atletico Mineiro-Cruzeiro, tira una spallata devastante all’attaccante avversario Kerlon Foquinha, reo di esibirsi nell’irridente numerillo della foca. Si scopre poi che Coelho, ovviamente espulso, subirà 5 giornate di stop per il gesto antisportivo. Chi se ne frega. Tripudio dei tifosi rossoblù. In Italia, nessuno fa la foca in mezzo a un campo di calcio, mentre a Bologna c’è bisogno di un terzinaccio dalle rudi maniere. Insomma, ancor prima di sbarcare all’aeroporto Marconi, a Bologna Dyego è già un idolo. Così, aggregatosi ai compagni al ritiro estivo di Sestola, assieme agli altri due sudamericani ingaggiati dal d.s. Salvatori (gli uruguagi Britos e Rodriguez), tutti si aspettano buone cose da lui. L’allenatore Arrigoni, inizialmente, da terzino lo sposta ad esterno di centrocampo (ovvio. Un terzino brasiliano non difende, spostiamolo avanti per far giocare Zenoni. Vabè.) Lo stesso Arrigoni mette poi subito le mani avanti: “I tre sudamericani giocheranno quando saranno pronti per il nostro calcio, adesso abbiate pazienza, ché si devono ancora ambientare”, sarà la litania che accompagnerà la prima parte della stagione rossoblù di Coelho. Una delle fasi di ambientamento è quella partita di Coppa Italia contro l’Ascoli in cui il nostro lascia lo zampino, con il gol vittoria. Ma in campionato ha vita dura: tra tribuna e panchina, ha poche possibilità di mostrarsi, tanto più che il Bologna va malissimo, Arrigoni viene esonerato ed arriva Mihajlovic. L’ennesima grigia domenica passata sulla panchina del Dall’Ara, deve avere un’intuizione, non ho mai capito se dettata da una lucida voglia di dimostrare qualcosa a quel pubblico che lo ha così ben accolto, o se da una fantasiosa follia brasileira. L’arbitro fischia la fine del primo tempo. Tutti i titolari scendono negli spogliatoi, sul campo di gioco i panchinari si scaldano facendo qualche passaggio. Coelho invece prende un pallone, trotterella fin sotto la curva Andrea Costa, inizia a palleggiare. Un palleggio davvero da giocoliere, tacco, spalla, ginocchio, testa, nuca, facendo passare la palla sotto il piede, alzandola a dismisura per stopparla chirurgicamente di collo, e così via. Il pubblico applaude, l’applauso diventa un delirio, Coelho rimarrà per sempre nella memoria dei tifosi come “quello che faceva i numeri sotto la curva”. Finisce l’intervallo e con esso l’esibizione. Tra gli applausi scroscianti, Coelho sorride, saluta, torna ad accomodarsi in panchina. Semplicemente fantastico. Soprattutto perché il siparietto si ripeterà per tutte o quasi le domeniche in cui il Bologna gioca in casa. E il nostro eroe siederà in panca. La sua immagine di allegro cazzaro brasiliano che si diverte a fare il funambolo per il pubblico pagante, per quanto mi riguarda, si infrange un mercoledì notte al bancone di un Autogrill. Dopo una trasferta in quel di Bergamo (1-0 per il Bologna, gol di Volpi, euforia ed ubriachezza diffuse tra gli ultrà) il pullman si ferma all’area di servizio. Pochi minuti dopo, anche il pullman dei giocatori si ferma allo stesso Autogrill. Nel casino generale, vorrei scambiare due battute con Di Vaio, ma poiché è circondato da un capannello di tifosi più anziani e pericolosi di me, cerco un altro giocatore con cui fare due chiacchiere o una foto. Il mio sguardo si ferma su di lui. Mentre tutti festeggiano, ordinano birre, intonano cori, lui è lì, solo, in disparte, ipod nelle orecchie, faccia triste. Mi avvicino, cerco di fare il simpatico: “Dyego! Una foto, dài!”. Lui si toglie gli auricolari con la musica. Sorriso di circostanza, si fa fotografare con il sottoscritto e ripiomba nel suo mondo. Decido di lasciarlo da solo, unico che in quell’Autogrill non sembra essere felice, forse perché - giocando il Bologna fuori casa - non ha potuto neanche esibirsi in palleggi e quant’altro per il suo pubblico. Qualche mese dopo il Bologna è nella melma della zona retrocessione e deve lottare contro Torino, Chievo, Lecce per rimanere a galla. Io sono ormai convinto che il povero Coelho sia sì l’idolo dei tifosi, ma si trovi malissimo a Bologna, lui si allena come tutti gli altri ma vede il campo una partita sì e cinque no. Un giorno leggo un’intervista sul Corriere dello Sport-Stadio. Coelho, l’oggetto misterioso, si mette a nudo: “A Bologna sto molto bene”. Dice che abita in una bella zona, fuori porta Saragozza, che, sì, i primi tempi in Italia sono stati un po’ difficili, poi ha fatto venire dal Brasile moglie, figli, genitori, zii e parenti, tutti a Bologna, e adesso si sente davvero a casa. Ci tiene a sottolineare che è un atleta di Cristo e che crede molto nella famiglia. I tortellini sono ottimi e il pubblico è fantastico. Dopo la lettura dell’articolo, sono sempre più convinto che a fine stagione ci lascerà. Intanto, Mihajlovic viene cacciato dalla panchina del Bologna, gli succede Papadopulo. L’ambientamento di Coelho nel campionato italiano latita. Mette insieme spezzoni di partita, qualche minuto a provare cross sballati, una traversa contro il Torino nel match-spareggio. Mica si può rischiare a far giocare uno così, nella bolgia della lotta per non retrocedere. Me lo immagino, ormai a fine stagione, ai giardinetti con la famiglia, a fare due passaggi coi figli e qualche palleggio funambolico con il supertele, un triste samba a fare da sottofondo.

Estate 2009: nell’indifferenza generale, il Bologna lo rispedisce come da copione in Brasile, con 13 presenze ed 1 gol all’attivo. Lui prende armi e bagagli e se ne torna a Belo Horizonte. Chissà se salendo sull’aereo avrà pensato alle domeniche al Dall’Ara, a quei matti dei tifosi, ai tortellini, alla sua casa in via Saragozza, a quel gol contro l’Ascoli. Chissà che cosa gli rimane di quella stagione in Emilia, dopo che il sipario è calato e il clown triste è tornato ad essere niente di più e niente di meno che un onesto, mediocre terzino dell’Atletico Mineiro.

domenica 21 febbraio 2010

Bristol City - West Bromwich Albion 2-1 (24, G. Dorrans; 55, C. Iwelumo; 59, L. Johnson )

Ad Ashton Gate arriva un West Bromwich Albion in cerca di punti importanti per la promozione diretta. Il Bristol City, invece, vegeta a mezza classifica e vuole più che altro trovare un'identità importante. Per mettere in difficoltà la squadra di DiMatteo, Gary Johnson lancia la coppia d'attacco Iwelumo-Haynes, nella speranza di voltare pagina in attacco (i Robins hanno il secondo peggiore attacco della Championship). L'italiano risponde con l'acciaccato Bednar e con la fascia destra migliore del torneo, quella formata dall'olandese Zuiverloon e dal nordirlandese Brunt (la migliore fascia sinistra è, invece, quella del Newcastle: Josè Enrique-Jonas Gutierrez). I Baggies sono in gran forma e partono forte. Ottima la spinta dei vari Mulumbu e Wood (quest'ultimo, neozelandese, lo ritroveremo al Mondiale) e dopo una ventina di minuti il vantaggio: bel cross dalla destra, sulla palla si avventa Bednar. Gerken fa il miracolo ma si deve arrendere sul micidiale diagonale in ribattuta di Graham Dorrans. Ottavo centro in stagione per il ventiquattrenne scozzese cercato con insistenza dal Manchester City (Mansour è pronto a sborsare 10 milioni di sterline cash per il gioiello del WBA).
[G. Dorrans]
Dal gol in poi, però, il WBA si spegne. Il Bristol City guadagna in inerzia e sposta il baricentro, chiudendo il primo tempo in attacco. La seconda frazione è l'opposto della prima. I Robins sono padroni del campo ed il WBA soffre tremendamente. Arriva il pareggio. Angolo dalla sinistra, la palla si ferma nell'area piccola e Chris Iwelumo batte Carson da due passi. Tutto facile facile per lo scozzese. Gli uomini di Johnson sono rinfrancati dal pareggio e continuano a spingere. Mattock sulla sinistra è in grossa difficoltà contro Haynes e da una percussione di quest'ultimo arriva pure il vantaggio. Lo firma Lee Johnson, figlio del tecnico dei Robins. Il WBA accusa il colpo e corre a vuoto. DiMatteo butta dentro forze fresche ma anche l'assalto finale è vano. Il Newcstle capolista va in fuga dopo il netto 3 a 0 al Preston (in rete anche Lovenkrands). Il Nottingham Forest vola secondo grazie alla vittoria di misura sul depresso Boro.

sabato 20 febbraio 2010

La battuta di caccia

(Finiamola qui)
Io forse il sabato sera dovrei smettere di vedere le partite dell'Inter e trovarmi un passatempo meno snervante, ma poi mi dico "guardiamoci la partita, tanto è solo una partita di calcio, sano divertimento, che vuoi che succederà dopo tutto il sudiciume della settimana scorsa?", ed invece puntualmente vengo smentito, ogni volta in casa dei nerazzurri viene combinato qualche delitto, ma d'altronde come si dice per le sceneggiature noir "se c'è una pistola stai sicuro che sparerà". Quello che è inquietante è come all'Inter basti sempre solo il primo tempo per rendersi ridicola, e non aspetti neanche il finale di partita come fanno (con ben altro mestiere) i gemelli bianconeri. Ciò che ho visto dalla mezz'ora alla fine del primo tempo mi ha fatto venire così la nausea che, lo annuncio fin da ora, non scriverò nè commenterò più di serie A fino alla fine della stagione. Facessero quello che vogliono, tanto la damnatio memoriae aspetta le mie parole, mica le loro gesta.
"Ma cos'è successo da farti scuotere tanto" mi si potrebbe chiedere? Niente, è che ormai ho capito che l'Inter, stanca del mero successo sportivo, per rendere le serate un po' più frizzanti, esotiche, avventurose, considera le partite in casa a San Siro alla stregua delle esecrabili battute di caccia agli ebrei che si svolgevano nella residenza austriaca dei baroni Thissen-Bornemisza durante la seconda guerra mondiale. Ogni due settimane una squadra avversaria a caso viene prelevata dalla sua città e portata con comodi aerei e pullman allo stadio di San Siro, dove viene lasciata libera di scorrazzare per il campo. Stasera è toccato alla Sampdora di Genova. Intanto, i giocatori in campo, quelli in panchina, l'allenatore e i dirigenti si dotano di armi di vario tipo. Tutto sotto gli occhi e per il ludibrio del Barone Thissen-Bornemisza-Moratti e del suo gruppo di invitati altolocati in tribuna. E tutto raccontato dai prezzolatissimi commentatori di Sky. Pronti via, fischietto: è l'inizio della battuta di caccia. Liberate gli ebrei. Muntari mette le mani addosso (vecchio vizio il suo) a Pazzini; Samuel sventra in scivolata Pozzi; un attimo dopo sempre Samuel, ultimo uomo, dà una violenta gomitata in bocca allo stesso Pozzi; infine Cordoba entra in ritardo e in maniera scomposta su Pazzini; più altre scaramucce varie, sempre protagonisti Cambiasso e Stankovic, due bravi guaglioni. Com'è normale che sia, l'arbitro -fin troppo indulgente- fa quello che deve fare, applicare il regolamento e il buon senso: cartellino rosso per i due difensori centrali dell'Inter, rei di falli indifendibili (a parte per i simpatici commentatori, i quali, se l'Inter avesse voluto che fosse così, avrebbero detto pure che in realtà si giocava di giorno, o con la neve, tanto tutto è opinabile).
Non l'avesse mai fatto il povero Tagliavento! Ha rovinato la battuta di caccia! E ora che fanno tutti gli spettatori, quelli che sono venuti fin dall'amena Gallarate per godersi il safari? E i tifosi vip, poi, che hanno affittato anche un eco-lodge? Ma non l'avevano avvertito quel bauscia dell'arbitro? E ora, tutte le tartine e il caviale e lo champagne, che ci facciamo? Ecco allora il finomondo: Eto'o che mette le mani addosso all'arbitro, vista l'assenza del collega Muntari ("next time" risponde lo scocciato Tagliavento), sempre Eto'o che simula, Milito che rompe una tibia a Palombo, tutti i giocatori dell'Inter che si buttano a ogni contatto, che insultano, aggrediscono, assalgono, minacciano gli avversari e l'arbitro, Stankovic mena come un matto, Mourinho fa il pagliaccio in panchina, clima di tensione generale, pubblico che si produce in un'inguardabile fazzolettata (c'è gente che sventola la carta igienica, ho detto tutto), insomma zero contegno, zero senso del pudore, zero dignità, altro che zero tituli. In tutto questo la Sampdoria si dimostra la peggior squadra del mondo, incapace di fare un solo tiro in porta, ma forse perché in tutto quel trambusto non ci hanno capito nulla neanche loro, che d'altronde erano andati lì solo per fare le vittime sacrificali.
Perchè una cosa va detta, fuor di ogni metafora, sarcasmo o esagerazione: quel nervosismo dimostrato dall'Inter, che ha inquinato e falsato la partita, non è un cosa normale. A parti invertite, non sarebbe mai successo. E' l'impunità che fa brutti scherzi. Falli come quelli di Samuel e Cordoba meritavano l'espulsione. Punto. Il resto se lo dovevano risparmiare i giocatori dell'Inter. Il resto è inciviltà, arroganza, malafede. Mi chiedo allora, ma cosa pensa un tifoso dell'Inter di tutto questo? Non si è vergognato, come avrei fatto io (ma mi costa molto quest'esercizio di fantasia di immaginarmi tifoso dell'Inter, ovvero rientrante in una di queste tre categorie: abitante dell'hinterland milanese, fondatore di Emergency o commentatore romano di questo blog), di vedere coloro che portano i sacri colori della sua squadra, che indossano quelle maglie gloriose, mettere in scena quella pantomima di pianti e prevaricazioni, insulti e gesti di manette, falli e proteste, pressioni e polemiche, simulazioni e bassezze? Fossi un tifoso dell'Inter (ma lo ripeto, mi è più facile immaginarmi sul palco a Sanremo o a battere sulla Salaria, che poi le due cose implicano lo stesso grado di disperazione) io avrei ancora più nausea di quella che provo addosso, da mero spettatore, preoccupato di quello che potranno dare domani al Catania.
Spero almeno che i russi arrivino presto, come a casa Thissen-Bornemisza, e riportino a galla la verità. Presto come già questo mercoledì, magari. Dei russi con la maglietta del Chelsea, magari.

IL PUNTO B

La serie cadetta di questa stagione,scandalosamente trascurata dai media per la mancanza(ad esclusione del Torino,ormai di casa)di squadre dal blasone ricco(vedi nelle passate stagioni,Napoli,Juve,Genoa e Parma)regala dopo 25 giornate emozioni a grappoli in tutti e 3 i traguardi. Nella lotta per la promozione,con 6 squadre in 7 punti,spiccano il gagliardo Lecce di Gigi De Canio e il sorprendente Sassuolo targato Mapei. I salentini dopo un inizio particolarmente incerto,si sono ripresi ed hanno iniziato a creare gioco e macinare punti. Il sorprendente benservito al Ds Angelozzi,detestato dai tifosi, non ha influito negativamente su ambiente e squadra. Va necessariamente fatto un plauso alla dirigenza e al patron Semeraro che hanno il merito ,nonostante la retrocessione della scorsa stagione,di aver confermato e promosso a manager l'onestissimo Gigi De Canio vero artefice della signora classifica dei giallorossi. L'arrivo a Gennaio di Di Michele e Loviso è un valore aggiunto ad una rosa gia di per se valida.Le qualità di Marilungo e del centrocampista algerino Mesbah,le certezze fornite da Angelo,Schiavi e dal Beckham del salento Giuliatto,la concretezza e l'esperienza del capitano Giacomazzi fanno del Lecce la candidata numero uno per la promozione diretta in serie A. Un solo misero punticino,divide la corazzata salentina dal piccolo Sassuolo. L'ingredienti per una promozione(con relativa permanenza nella massima seria)ci sono tutti. Una città che fa parte di una provincia agiata,un ambiente sano con una tifoseria esigente quanto basta,un patron particolarmente facoltoso(la Mapei è un colosso internazionale per quel che riguarda i materiali adesivi). Sassuolo sembra un posto creato appositamente per sviluppare un buon calcio,pronto in serie A a prendere il posto del Siena(noto varie analogie tra le due società).Rosa onesta e tranquilla,nessun vero campione ma un allenatore preparato come Pioli.Oltre ovviamente ai due immortali Zampagna(troppi problemi fisici in questa stagione) e Salvetti,occhio al bomber Noselli che sta ben figurando nella stagione che può regalare alla piccola cittadina emiliana una storica promozione. Staccate di 6 punti dal Lecce e 5 dal Sassuolo,troviamo un simpatico tris:Cesena,Grosseto e Ancona. Il Cesena guidato da Pierpaolo Bisoli(splendida la sua annata al Foligno di un paio di stagioni fa,dove rischia la promozione in B con i falchetti umbri)e con a capo il giovane e ambizioso presidente Campedelli(che dopo anni e anni ha rilevato la società dallo storico duo Manuzzi-Lugaresi,da ricordare però che il presidente onorario rimane proprio il buon Edmeo),un ex calciatore dilettante ma anche imprenditore alberghiero,da segnalare che suo fratello Nicola è stato fino alla scorsa stagione un calciatore proprio del Cesena(arrivò al Cesena prima del cambio di proprietà).Stelle della squadra romagnola il risorto Do Prado che dopo l'esaltante cavalcata con il Pro Patria(play off di C,persi con il Padova) nella passata stagione,riconquista un palcoscenico più consono al suo talento e la rivelazione Ezequiel Matias Schelotto esterno destro cercato da mezza serie A e non solo,classe 89 con passaporto italiano, gia convocato da Casiraghi in U-21.Da segnalare anche "Nonno" Antonioli che a 40 anni suonati,si permette il lusso di parare 2 rigori nella stessa partita(Mantova-Cesena)rimediando anche al rientro negli spogliatoi una squalifica di 2 turni per frasi ingiuriose. Per quel che riguarda il Grosseto poco da dire,gia lo scorso anno sfiorarono la promozione dopo una partita folle ai play off contro il Livorno. Il presidente Camilli sembrava sul punto di lasciare dopo la delusione della mancata promozione del 2009 ma mai ripensamento fu più felice visto lo splendido campionato disputato fino ad ora.Tralasciando il fatto che personalmente ritengo il Grosseto la squadra con la rosa più interessante della serie B(composta da scommesse),faccio due nomi su tutti,uno è quello del centrocampista Camerunense Job(ex Samp)e ovviamente il centravanti Cileno Mauricio Pinilla(17 gol in 17 partite) che sembra aver superato i suoi limiti caratteriali che in passato hanno costretto la punta di Santiago a cambiare spesso casacca.Mia personalissima passione è quella per il validissimo Carrobbio,senza ovviamente scordare quella che sembrava la punta di diamante della primavera giallorossa di qualche anno fa,ovvero quel Gialunca Freddi considerato troppo acerbo per la serie A ma che da due anni ben figura nella serie cadetta.Segue l'Ancona,una splendida favola quella dei dorici che la scorsa stagione fino al 94esimo dell' ultima giornata erano in lega pro,al 94esimo però il Brescia segna il gol del vantaggio e condanna il Pisa alla retrocessione(e successivo fallimento)e manda proprio l'Ancona ai play out contro il Rimini. Spareggio eroico dei marchigiani che pareggiano 1 a 1 al 86esimo in casa con un goal della "Vipera"Mastronunzio ed espugnano Rimini nel ritorno ancora con una rete del bomber toscano.Oggi l'Ancona sembra un altra squadra e lotta per la serie A,Matteo Salvioni dispone di una rosa particolarmente giovane con elementi come Surraco,De Falco,il geniale Schiattarella e Mustacchio(proprietà della Samp eletto come uno dei migliori 10 giocatori del passato mondialito in Egitto)ma al contempo esperta, con i vari Cristante,Colacone e la stella, ovvero la gia citata "Vipera" di Empoli Salvatore Mastronunzio, gia a segno 14 volte in questa serie B.Il Brescia(che con la vittoria di questa sera è momentaneamente terzo da solo)è un altra compagine accreditata sia per quel che riguarda i play off sia per un eventuale promozione diretta.La società lombarda è trascinata dai goal dell'airone Caracciolo che da quando è tornato in riva al Mella ha ricominciato ad agitare costantemente le braccia.A mio parere,il tecnico delle rondinelle Beppe Iachini(da giocatore mi faceva impazzire)merita un altra occasione in serie A dopo la sfortunata avventura con il Chievo(da lui portato in A). in zona spareggio per la A troviamo altre 4 societa:Empoli,Modena,Torino e Frosinone.Per quel che riguarda l'Empoli parliamo del solito letale mix tra giovani e anziani. Vannucchi capitano tutto cuore e Eder reduce dalla fortunata stagione in Ciociaria sono le due certezze dei biancoblu,da tenere sott'occhio i giovani Valdifiori e Musacci ma soprattutto l'attaccante classe 83 Claudio Coralli.Il turbolento Torino può puntare invece ad una spettacolare rimonta,se solo riuscisse ad ottenere quella tranquillità ormai smarrita da diverse stagioni. Prima il clima pesantissimo che si è andato a creare tra una frangia della tifoseria e la rosa,poi l'ombra del calcio scommesse,senza contare l'esonero di Colantuono seguito da quello di Beretta e il ritorno di Colatuono stesso.L'arrivo di Pià sembra segnare la svolta di questa squadra che può vantare giocatori del calibro di:Matteo Sereni,Rubin,Loria(si, si non ridete..è un lusso per la B),Gasbarroni,Leon e Rolando Bianchi. Per il Modena di Gigi Apolloni non ho una spiegazione logica al fatto che sia così tanto in alto in classifica,i canarini dispongono di una rosa particolarmente modesta guidata dal solito Sasà Bruno,pronostico un ritorno in zone più infime nel giro di qualche giornata. Il Frosinone dopo la partenza impressionante e il successivo crollo,può puntare attraverso il bel gioco di mister Moriero ad uno storico play-off,l'assenza di una punta in grado di garantire un buon numero di reti alla lunga sta pesando sul campionato dei ciociari,con un Eder i gialloblu si ritroverebbero sicuramente con una manciata di punti in più.in zona tranquillità merita di essere menzionata la migliore coppia d'attacco della serie cadetta,quella formata dal tandem ascolano Bernacci-Antenucci rispettivamente 12 e 16 goal a cranio.L'Ascoli è una squadra che può ancora centrare lo spareggio per la serie maggiore, se solo riuscisse ad ottenere una certa continuità. Il Vicenza invece spera in un campionato tranquillo,vi prego di osservare con attenzione il giovane difensore Davide Brivio gia nel giro della nazionale U-21. Il Gallipoli in questo momento risulta essere la vera rivelazione della serie B. Dopo la straordinaria promozione ,il presidente Vincenzo Barba che in pochissimi anni ha portato la squadra dall'eccellenza alla B,in estate si sbilancia e promette che il Gallipoli arriverà prima o poi in Europa,peccato però che poco dopo la promozione sia costretto a lasciare la società,che solo grazie alla cordata friulana guidata da i D'Odorico(nuovi proprietari),riesce ad iscriversi e a formare una rosa in grado di affrontare la serie cadetta. Rilevata solo l'undici di Agosto la squadra salentina viene costruita in fretta e furia intorno ai 3 eroi Ginestra,Mounard e Di Gennaro e al mister della promozione Giuseppe Giannini. A Gennaio il Gallipoli si trova miracolosamente in zona salvezza,ma un campo d'allenamento scandaloso,mostruose trasferte in treno,mensilità non pagate da ottobre,le cessioni del capitano Ginestra e della stella Di Gennaro e l'isolamento di alcuni membri della squadra da parte della società,porta i calciatori giallorossi ad una sorprendente protesta ai danni della dirigenza,infatti durante Gallipoli-Grosseto per circa 40 secondi al ritorno dagli spogliatoi la squadra mostra le spalle alla tribuna.Sarà interessante vedere come si svilupperà questa storia,ora come ora quello dei "Galletti" risulta essere una vera e propria impresa.In zona tranquilla troviamo anche l'Albinoleffe con Ruopolo e Cellini che non si ripetono ,Il Crotone dei tanti prestiti(dove milita anche il fratello di Kakà,Digao...uno a Madrid,l'altro a Crotone),il Cittadella che dopo Meggiorini lo scorso anno sembra stia lanciando il giovane Ardemagni(scuola Milan) e il Brindisino Antimo Iunco(ex Chievo).La Triestina dopo aver esonerato il tecnico Somma(Arrigoni il sostituto) si trova appena al di sopra della zona play out,sotto di lei la sorpresa in negativo della B,ovvero la Reggina, ora in mano a Roberto Breda(altro ex genio del centrocampo)che con una rosa da promozione rischia di dover lottare per la permanenza in B. In fondo i punti di distacco dai play off sono solo 11 e l'impresa può sembrare ardua ma non impossibile,specie se la cura Breda porterà i giusti risultati(Piccola curiosità,la primavera della Reggina è stata affidata a Trombetta,ex tecnico del Cluj).Sempre in zona spareggio salvezza troviamo un Padova in crollo verticale dopo il buonissimo inizio sotto il segno di Di Nardo. Infine le ultime 3,il Piacenza di Ficcadenti e Moscardelli che da anni ormai vive nel più cupo anonimato,il Mantova che da quando ha perso lo spareggio promozione con il Torino(un furto vero)rimane stordito in posizioni non in linea con il suo potenziale ed infine la gia retrocessa Salernitana che ha le stesse possibilità di salvezza che ha la canzone di Pupo e di Emanuele Filiberto di vincere Sanremo.

giovedì 18 febbraio 2010

Inglourious Glories, Ch. IV, Club de Regatas Vasco da Gama

Il Club de Regatas Vasco da Gama nasce nel 1898. I quattro fondatori, di origine portoghese, scelsero questo nome perché alla fine del secolo scorso il canottaggio era lo sport più importante a Rio de Janeiro ed in onore dell’esploratore portoghese Dom Vasco da Gama.
La sezione calcio del Club risale al novembre 1915, sulla scia degli importanti successi ottenuti nel canottaggio. Qualche anno a livello amatoriale, in sub-campionati metropolitani, e qualche altro anno di Serie B nel campionato di Rio de Janeiro. Poi, nel 1922, l’arrivo nella prima divisione metropolitana. Narra la leggenda che molte squadre commisero l’errore di sottovalutare i cruzmaltini, Dovendo pentirsene amaramente: contro le squadre che disputavano la Serie A al tempo, e che erano formate esclusivamente da giovani rampolli delle famiglie bene cariocas, il Vasco presentava una squadra composta in maggior parte da neri e operai. Gente, prosegue la leggenda, costretta dall’allenatore Ramon Platero a ritmi di allenamento da fantascienza: Ramon faceva correre i giocatori ogni giorno dal campo del Vasco, nell'allora Rua Morais e Silva, fino a Praça Barão de Drumond, nella Vila Isabel. In pratica, un quarto di città di corsa. Il risultato fu strabiliante. Le casacche nere, che venivano pagate con animali al mercato, nell'anno del loro debutto nella Serie A della Prima Divisione, divennero campioni. Qualche buon campionato carioca dopo arrivo anche lo stadio. Lo chiamarono Sao Januario e vi giocarono una partita inaugurale contro il Santos. Bisogna, poi, aspettare fino al 1948 per arrivare ad un’altra vittoria degna di nota. Il Colo Colo quell’anno invitò il Vasco, campione in carica nel "Distrito Federal" a disputare il "Torneio dos Campeões Sul Americanos" in Cile. Una sorta di Coppa dei Campioni ante litteram alla quale parteciparono anche gli ecuadoregni dell’Emelec, i boliviani del Litoral, il River Plate, il Nacional di Montevideo e il Deportivo Municipal di Lima. Il Vasco, che aveva un attacco per quell’epoca spaventoso, con i vari Djalma, Friaça, Lelé Ismael e Chico, polverizzò gli avversari, conquistando il primo trofeo internazionale per il calcio brasiliano. Passano gli anni. Passano i vari Vavà (poi ceduto all’Atletico di Madrid), Ademir e Bellini (il Capitano del Brasile campione in Svezia) e gli scontri con i rivali del Flamengo.
[Vavà]
Fino al 1971, anno della prima edizione del campionato brasiliano di calcio. Già nel 1967 la Federcalcio pualista e e quella carioca, organizzatori del Torneo Rio-San Paolo, decisero di estendere la competizione alle maggiori squadre brasiliane. In pratica, puntarono ad estendere la competizione ai vari International di Porto Alegre e Gremio (provenienti dallo stato del Rio Grande do Sul), Cruzeiro e Atletico Mineiro (provenienti dallo stato di Minas Gerais) e Ferroviario (proveniente dallo stato di Paraná). Di fatto, venne creato un inferno: un primo turno con 2 gruppi da 20 squadre ciascuno con partite di sola andata; un secondo turno con 4 gruppi da 6 squadre ciascuno; un terzo turno con un quadrangolare con partite di sola andata; e una finale, partita di sola andata. Poche soddisfazioni nei primi anni di Brasileirao. Il miracolo avviene nel 1974. Il Vasco è settimo al primo turno, supera il secondo, arrivando primo nel gruppo, ed il terzo: è primo a pari merito con il Cruzeiro, col quale disputerà la finale. Si gioca al Maracanà. Non al Mineirão, lo stadio del Cruzeiro, a causa di una squalifica dovuta ad un’invasione di campo di alcuni dirigenti del Cruzeiro. Il vascaino Ademir aprì le marcature. Nelinho del Cruzeiro riportò il tutto in parità. Fu Jorginho Carvoeiro, su assist di Alcir a portare il Vasco sul tetto del Brasile. A partire da quel momento, solamente anni di buio. Solamente i campionati carioca, che in Brasile si disputano oltre al campionato nazionale, resero meno turbolenti i sogni dei terceadores cruzmaltini Assieme alla leggenda Roberto Dinamite. Centinaia di presenze con la maglia del Vasco. E un tiro così potente da diventare un soprannome: segnò 894 gol nel corso della sua carriera, di cui 698 nel Vasco.
[Roberto Dinamite]
La rinascita negli anni Novanta. In particolare nel 1996 accade un fatto decisivo. La dirigenza vascaina richiama dal Corinthians un giovane talento cresciuto pochi anni prima nelle giovanili. Fino a quel momento, il giovanotto aveva combinato ben poco. Proprio quell’anno, però, decise di esplodere. Segno 26 gol in 33 partite e rese di nuovo grande la squadra con la maglia bianca e la banda nera. Quel ragazzo, per tutti, era O Animal. Se ne ando alla Fiorentina l’anno dopo, a far coppia con un argentino fortissimo e a provare la nostalgia del Carnevale. E si perse la Copa Libertadores.
Il Vasco da Gama fu inserito nel Gruppo 2 con il Gremio, i Chivas di Guadalajara e l’America di Città del Messico. Chiuse secondo, con due vittorie due pareggi ed altrettante sconfitte. Tanto bastò per accedere alla seconda fase ed affrontare il Cruzeiro campione uscente. I vascaini si impongono 2 a 1 al Mineirão e gestiscono bene il pareggio a reti inviolate al ritorno. Ai Quarti il Vasco riesce ad imporre il pareggio al Gremio fuori casa e a vincere di misura al Sao Januario. Avversario del Vasco in Semifinale è il millionario River Plate. Non ci sono più il Giardiniere e Salas ma i nomi fanno lo stesso paura: Aimar, Bonano, Gallardo, Sorin, Saviola. All’andata, in Brasile, segna Donizete e finisce 1 a 0. Troppo poco, mormora la Torcida: a Buenos Aires sarà dura. E per l’occasione il Monumental si mette il vestito migliore: 50 mila tifosi sembrano un inferno. Gli argentini di Diaz passano subito e i brasiliani soffrono. La squadra di Rio de Janeiro non riesce ad arrivare all’area avversaria ed il tempo scorre inesorabile. A pochi secondi dalla fine, però, ecco un calcio di punizione. La distanza è proibitiva ma Junihno Pernambucano ci pensa. Magia. Il River Plate è in ginocchio. Il Vasco è in Finale. Per l’andata contro il Barcelona di Guayaquil, che nell’altra Semifinale ha eliminato il Cerro Porteno, il Sao Januario è tutto esaurito. Segnano Donizete e Luizao. La Copa è più vicina. In mezzo la trasferta in Ecuador, in una delle peggiori città del Sudamerica. L’aria irrespirabile, i bastoni lanciati in campo ed i sassi. I vascaini stringono i denti e segnano con Donizete, poi ancora con Luizao, sempre loro. Accorcia il Barcelona ma non ce la fa. La Copa è bianca con una striscia nera.
[Romario]
Il resto è storia recente. Il ritorno di Romario in maglia Vasco e i 1000 gol di un attaccante senza tempo. Un altro ritorno ancora, quello di Edmundo. L’ultimo Brasileirao nel 2000, il canto del cigno. Da lì in poi, nessuna gioia. Solo i dissesti finanziari e le quote spettanti per i diritti televisivi negate. In seguito, problemi di solvibilità. Fino alla Serie B, verdetto amaro dell’ultimo campionato, quello dell’Imperatore Adriano e dell’odiato Flamengo. Il purgatorio che non concede gloria e i sogni che non sono più realtà. Mi chiedo cosa avrà pensato, qualche mese fa, Roberto Dinamite di tanti soldi, speculazioni e debiti. Forse che il calcio non è più calciare la palla più forte.

lunedì 15 febbraio 2010

Professione: terzino

Questa è una di quelle storie di calcio un po' bohémien e un po melense, che però riconciliano con il calcio di oggi e le sue paludi arbitrali e non. Il filone è sempre quello a noi gradito, maleodorante di calzini infangati e palloni che si fermano in enormi pozzanghere a centrocampo. D'altronde, se sei alto 172 cm e ti ostini a fare il difensore, difficilmente riesci a farti strada nel calcio di oggi, ed allor cerchi di entrarci dalla porta di servizio. L'odierno cavaliere muove i primi passi nelle file della Casertana, da cui, se ti va proprio di lusso, passa il treno della vita che ti porta a Terni. Qui te la puoi anche passare discretamente, annoiandoti nella mezza classifica della serie cadetta, con qualche alto ma, sopratutto, tanti bassi. Succede però che nel 2005 una nobile decaduta, il Napoli, ha necessità di rimboccarsi le maniche e ricominciare tutto da capo, dai campacci della C1. In tali casi l'intelligenza sta nell'affidarsi ad un nostromo navigato (e chi se non Marino?) che si mette subito a caccia di qualche giovane talento ma, sopratutto, di qualche buono scarparo che conosce le categorie minori. E' così che giunge a Napoli Gianluca Grava, terzino tecnicamente modesto ma con una cattiveria agonistica impressionante.

La prima stagione è di quelle da uomini duri, e non a caso emerge il valore di gente come lui ed il redivivo Pampa Sosa. Grava, da far suo, si mette fin da subito al servizio della squadra e, al secondo tentativo, porta i partenopei in serie B, siglando peraltro lo storico gol della matematica promozione contro l'arcigna Juve Stabia. In cadetteria, il suo habitat naturale, viene messo in panchina le prime quattro partite. Nessun problema, corse e sudore ed il posto da titolare torna immancabilmente suo. Fu così che al termine di una stagione incredibile Napoli ed il Napoli risorgono (ricordate? 3 promosse senza play off: JUVE, Genoa e Napoli): finalmente la serie A ed i suoi sudici riflettori. Gianluca si rimette in panchina, troppo vecchio per il grande salto, troppo umile per proporsi con prepotenza. Ma vuole restare lì. Ha offerte da mezza serie B, potrebbe andare a giocare, ma vuole godersi un sogno realizzato negli anni e, perchè no, giocarsi un'eventuale possibilità. Detto fatto. Forte delle sue armi preferite, il sudore e quella che a Napoli usano chiamare "cazzimma", non molla. Si impegna ogni giorno ed alla fine, guarda un po', il posto da titolare è nuovamente il suo. In chiaroscuro la stagione successiva, in cui il terzinaccio gioca solo 6 partite. Il resto è storia recente: Donadoni via da Napoli (speriamo a questo punto che siano per sempre finiti i jolly di questo pessimo allenatore), arriva Mazzari e la sua infinita striscia positiva di risultati. Chi diventa titolare inamovibile in squadra? proprio lui, Gianluca Grava. Ieri sera l'ho visto alternarsi in interventi puliti e spesso in anticipo tra Sneijder, Milito e Pandev. In una parola: commovente. Per me resta sempre l'eroe del gol alla Juve Stabia - quella sì una Juve gloriosa - e delle mille partite nel fango a Giulianova, Martinafranca e Lanciano. Sempre con l'aria di chi è lì un po' per caso, di chi la maglia addosso la sente e se la suda. Velleità da grande campione o grande squadra non ne ha mai avute o, forse, non le ha mai neanche capite. Intanto però, Gianluca Grava ha preso il relitto del Napoli e la portato dove merita. Al resto ci penserà domani.

domenica 14 febbraio 2010

Rigore a mano armata


("Ezechiele, 25:17. Il cammino dell'uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà, conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare, e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore, quando farò calare la mia vendetta sopra di te! ")

Ergermi ogni domenica a censore non è certo il mio divertimento preferito ma di fronte all'ennesimo scempio perpetrato alla mia (nostra?) moralità calcistica devo spendere qualche parola dura, per non sentirmi complice di un sistema marcio, omertoso, bianconero. L'avevamo scritto nei commenti al mio ultimo post e le nostre profezie da maghi Do Nascimiento si sono puntualmente avverate: la Juve DEVE andare in Champions League, costi quel che costi, nel modo che sia. E allora ecco l'inesistente contatto con Diakitè due settimane fa, ed ecco oggi l'inesistente contatto (fuori area!) con Sokratis ("Papa" per gli amici). Così, senza pudore, tanto per gradire. Un segnale "forte e chiaro". Implacabili questi arbitri. Chi c'è di mezzo? Sempre il nostro caro Alex, una vera bandiera, un "signore del calcio" secondo gli ascari di Sky. Due simulazioni in due settimane è un bel record anche per il nostro, che deve aver rispolverato gli appunti di qualche tempo fa. Le televisioni oggi e i giornali domani parleranno di "rigore dubbio", "possibile errore arbitrale", "mestiere di Del Piero", perchè a loro (a tutti loro) fa comodo questo giochino, fa comodo la Juve in Champions, fa comodo vendere il prodotto bianconero. Bene, allora sgombriamo subito il campo da equivoci: non è nulla di tutto questo, ma è una rapina a mano armata. Anzi, un rigore a mano armata. Questa è pura delinquenza, il vero teppismo calcistico, il pizzo pagato da un sistema arbitrale complice e indifeso. E' tornato Bettega (e chissà chi dietro di lui) e i risultati sono stati immediati, si vede che ha ritirato fuori certe magiche agendine moggiane (altro che "Stadio Olimpico.. Olimpico Stadio ..Quanti anni hai scusa? Ah, 13, capisco") e dall'altra parte del ricevitore ancora si ricordano una certa prassi. Sarà dunque una via crucis fino alla fine del campionato, un continuo revival di Deschamps su Gautieri, di ammonizioni sistematiche e diffide a tavolino. Del Piero e l'arbitro dovrebbero essere squalificati per dieci giornate ed esposti al pubblico ludibrio in gabbie appese davanti a qualche cattedrale, come si faceva a Munster con gli anabattisti rivoluzionari. Ma questo è un paese a maggioranza juventina, ergo un paese di ladri, e dunque va bene così, facciamoci del male. Per fortuna rimangono questi spazi di sincerità, da dove lanciare addosso a questi furfanti dei sanbeniti verbali, tuniche d'infamia come quelle che Torquemada obbligava i marranos a portare per strada. Sono piccole soddisfazioni, consapevoli che nel mondo reale nulla cambierà. Ma una cosa è certa: non si avvicinino juventini a questo post, nè tanto meno mi parlino al bar di calcio, perchè io con i pedofili non parlo d'amore. 

giovedì 11 febbraio 2010

Esquina Blaugrana

Di solito questo spazio tratta tematiche legate al Barca. Oggi no. Oggi parliamo del nemico. Rimango, infatti, allibito dalla conferma di quanto si vociferava a dicembre: il Capitano merengue se ne va negli Stati Uniti. Le trattative tra Raul Gonzales Blanco e i Red Bull di New York sono in fase avanzata. E allora mi chiedo: cosa non funziona? Dove sta il marcio? Un po' di cifre. Dal 1994 in prima squadra (10 gol nella stagione d'esordio). Ad oggi, 539 presenze, 226 gol. Miglior cannoniere in Champions. 6 trionfi in Liga, 3 in Europa. Tempo fa, in una mail ad amici, raccontavo di certi miei brividi. Protagonista C. Ronaldo, che all'arrivo a Madrid si sarebbe "accontentato" della numero 9, "lasciando" (magnanimità del bello e perfetto...) la numero 7 al Capitano. Commentai che C. Ronaldo doveva tacere. Ed imparare ad esser "forte" per davvero a giocare al pallone. Ora che il Capitano se ne va, cosa mi devo chiedere? Che vi siano dissapori? No. Che il calcio non voglia bandiere? Non rispondete che è l'età! Non posso perdere il rivale più forte per scemenze del genere. In questo momento, è ancora molto meglio di Benzema, Higuain, Ronaldo e Granero messi (con la minuscola) assieme.
Se è per finire la carriera in pace... beh, che resti. Abbiamo ancora molto da imparare.

.. QUOQUE TU ...

Che il calcio italiano sia in qualche modo malato lo dicono i numeri. Stadi deserti, inconsistenza in campo europeo, campioni in fuga e tanto altro ancora. Ciò detto, mi hanno colpito le esternazioni dell'attuale tecnico inglese, dalle quali muovo per alcune brevi riflessioni. Trovo quanto meno fuori luogo ch Mr Fabio Capello pronunci frasi del tipo "In Italia si bada solo al risultato e non allo spettacolo". Quoque tu..? Se a dire ciò fosse stato Zeman o Sacchi avrei anche abbassato la testa e costatato la grama realtà. Ma da parte sua, scusate, non lo tollero in alcun modo. Un uomo che ha fatto del pragmatismo e del calcio "all'italiana" il suo credo ed il suo indiscutibile marchio di fabbrica non può dire cose del genere, salvo il poi sputarsi in faccia da solo, scimiottando il gesto tutto italiota del grande Oronzo Canà. Don Fabio ha poi rivolto le sue critiche a quello che, a ragione, rappresentano i veri mali dello spaghetti-football, ovvero gli stadi fatiscenti ed il mondo Ultras. Sulla questione stadi nulla quaestio, inappropriati ed indicenti per tutta la penisola con poche eccezioni. Sul mondo Ultras mi divido in due considerazioni. Sull'uomo Capello mi permetto di avere, ancora una volta, da ridire. é facile parlare da lontano, molto più ostico farlo quando in quel mondo ci lavori. Certe considerazioni avrei voluto sentirle quando allenava qui a Roma, ovvero in qualche altra piazza calda del nostro paese. Da lì è facile, vilmente facile. Di contro, mette il dito in un problema reale del calcio in questo paese: ovvero la mancanza di unità di intenti nel voler arginare le problematiche connesse al mondo ultras. La verità è che non c'è alcuna voglia di trovare una soluzione. Mi interrogo da anni del perchè, senza capirne il motivo. Fatto sta che chiunque frequenta gli stadi deve sottostare a regole assolutamente inefficaci a danno solo ed unicamente di chi allo stadio ci va serenamente a godersi la partita. Ciò detto, Mr Capello torni ad allenare in Italia (e perchè no, proprio l'Italia) dopodichè riprenda il discorso da dove lo ha lasciato. Così vedremo finalemente un pò di carattere (ed un CT mandato via alla velocità dell luce).

mercoledì 10 febbraio 2010

Il fattore Alemanno

Gianni Alemanno e Rosella Sensi
Per chi segue da vicino la realtà calcistica romana non può essere sfuggito il c.d. "fattore alemanno". Il sindaco in carica sta diventando un vero e proprio deus ex machina per le squadre capitoline, una sorta di presidente ombra che tira le file dietro le quinte, neanche Lazio e Roma fossero diventate delle aziende municpalizzate. I momenti importanti in questa stagione sono due: per la Roma, l'intervento dell'ex "colonnello di AN" è stato decisivo per dare tranquillità alla società nel complicato momento successivo alla cacciata di Spalletti. La Sensi sembrava sotto scacco delle banche e col fiato di Angelini sul collo, la squadra non girava e Ranieri, oggi vate, era visto con diffidenza. Proprio in quel momento il buon Gianni, con piglio decisionista, ha messo al tavolo Rosella e l'Unicredit, ha mediato tra le parti e ha lavorato negli interessi della società. Da quel momento le voci di passaggio di consegne si sono diradate e la Roma ha ripreso a volare in campionato, il mercato si è sbloccato (vedi Toni) e tutti i giocatori sono sembrati "miracolosamente" rianimati dal sacro fuoco dell'amore per la maglia. Per la Lazio il "fattore Alemanno" è intervenuto in questi ultimi giorni, la discesa in campo del Sindaco non poteva essere più esplicita:"Ognuno ha il suo ruolo ma io cercherò di fare di tutto per fare in modo che i vertici della Lazio si responsabilizzino per evitare lo spettro della retrocessione".
 

Sarà anche qui una coincidenza, ma proprio pochi giorni dopo queste parole è saltato Davide Ballardini, tecnico scelto da Lotito ad inizio stagione e mai criticato dalla società con la quale il tecnico romagnolo era stato in sintonia anche nelle scelte più discusse, avallando anche il mercato invernale, facendo scendere in campo tutti i nuovi acquisti domenica contro il Catania. Avevamo già scritto che Ballardini era blindato fino alla concluisione delle vicende processuali di Pandev e Ledesma, in quanto teste chiave per sostenere la linea difensiva scelta dai legali della Lazio, ma la velocità dell'esonero dopo l'intervento di Alemanno non può non far rflettere sul peso che il sindaco si ritagliato nella vita calcistica romana, nonstante Ballardini potesse vantare un oneroso - per gli standard di Lotito - contratto triennale. L'interpretazione più semplice potrebbe essere quella di ricondurre il comportamento del Sindaco ad una più ampia strategia elettorale e di gestione del consenso, dato che il calcio, come sappiamo, è politica allo stato puro. Forse, però, quello che si sta affermando è un modello dirigista e accentrato che è molto caro all'ex uomo forte della destra sociale da molto tempo. Una gestione della cosa pubblica che influenzi necessariamente la realtà imprenditoriale attraverso un lungo lavoro di relazioni che Alemanno ha cominciato a svolgere dai tempi dell'attività di governo, tessendo una serie di relazioni privilegiate con banchieri e imprenditori. Dietro tutto questo rimane aperto il walzer degli stadi e, soprattutto, della candidatura olimpica: un banchetto di appalti al quale nessuno vuole mancare, e a fare gli inviti sarà proprio Alemanno.

martedì 9 febbraio 2010

A Licky Boom Boom Down

Un giorno arrivarono con le ruspe ed i trattori. Ammassarono materiali al centro del nostro campo in erba e porte fatte con i pallets. Posarono il tutto e per un po’ scomparvero. Che storia era mai quella. Era quasi metà pomeriggio, dovevamo far le squadre e giocare. E, invece, tutti questi sacchi e pietre in mezzo ai piedi. Ci consolammo rubando mele al contadino e tirando sassi ai gatti delle vecchie. Qualche giorno dopo capimmo. Avevano deciso di costruire un campo sportivo in piena regola, una pista polivalente. Con tanto di porte e canestri, raccontavano. Recinzioni e fontane per bere. Gli spalti e le luci per quando scende il buio. A metà estate era tutto pronto. Avevano posato le lastre di cemento, alzato le ringhiere per il pattinaggio e le recinzioni, alte fino ai lampioni. Gli spalti altro non erano che colate di cemento su gabbie di sassi, ma ci piacque così: mentre al 9’ del secondo tempo un cigno di Utrecht, su assist di Mühren, trafiggeva il russo Dasaev, a noi avevano regalato il campo dei sogni. In poco tempo, divenne un’occupazione a tempo pieno. Un fattore essenziale delle nostre giornate. Ogni scusa era buona per fare le squadre e dar vita a scontri interminabili. Da una parte, Man in the mirror, dall’altra un album di bugie dei Guns ‘n’ Roses. Nel mezzo, tanti calci e tiri sporcati. Le regole le fecero i “grandi”: si giocava 5 contro 5, non si chiamava il fallo; se la palla usciva e rientrava, era buona; il palo era con la difesa, se la palla toccava il fondo dopo il palo, calcio d’angolo; si poteva fumare in campo. E poi, un po’ di buon senso: era arbitro, all’occasione, il proprietario del pallone; chi tirava fino alla fogna, oltre la fontana del paese doveva rimediare senza indugio. Spesso, la sera, gli spalti erano gremiti. Erano le partite più importanti, quelle in cui le squadre erano per metà formate da noi e per metà dai “grandi”. Si giocava a torso nudo una squadra e con maglietta obbligatoria l’altra. Gli stereo delle macchine parcheggiate con il volume al massimo passavano Informer o Gipsy Woman. La ragazza carina, sempre distratta. Un gol sarebbe valso un’estate. Si tornava a casa la sera tardi tutti ammaccati e sporchi. Con le scarpe rotte e le ginocchia da medicare. I pensieri a quel contrasto perso o a quel passaggio intercettato. Sperando che la sorte regalasse un gol, dieci secondi di infinito, la sera successiva. E il giorno dopo di nuovo sul cemento. Passavano i Mondiali di Totò Schillaci e del tiro oltre la traversa di Roberto Baggio. Il Milan invincibile e l’Internazionale di Matthaus. La prima Juve dei rambo. Gli skateboard senza il freno dietro, le siringhe e le Marlboro rosse aperte sulla ghiaia. E noi a raccattare i palloni calciati chissà dove sulla via Nazionale. Uniche pause concesse, i Tour del Diablo ed il Gran Premio, la domenica dopo pranzo. Dopo qualche anno ci inventammo una nuova specialità per le ore più calde, per le due del pomeriggio. Sentivamo il bisogno di qualcosa di epico e guerriero. Per cui, si giocava uno contro uno alla meglio dei dieci gol. Se si era in tre o più, girone all’italiana. Non si poteva superare la metà campo e si poteva parare il pallone solo con testa, petto e gambe. Di nuovo Hoss dei Lagwagon. Di nuovo quei violini. Si giocava a torso nudo, più per la necessità canicolare che per regola, nell’eterno dilemma se non fosse forse meglio evitare il cuoio del pallone sulla pelle. Era tutta un’altra storia, un altro campionato e la tensione saliva sempre quando venivano al nostro campo ragazzi dai paesi vicini. Spesso gli ospiti si ribellavano alle regole imposte, pur adeguandovisi in buona sostanza. Meno spesso, ma con più dolore, si presentava gente con palloni di ultima generazione, imponendone l’utilizzo. Ricordo che spesso si affacciava dalle nostre parti uno del paesello di mia nonna. Era una specie di giocoliere inutile, un solista incompreso, e le sfide con la sua squadra erano sentitissime. Dopo qualche minuto, il pallone diventava mero pretesto e la mente accettava solo di procurare più lividi possibili all’avversario diretto. Al tramonto o a sera tarda, la partita finiva. Non una stretta di mano. Non un saluto. Solo i lividi per la ringhiera da pattini. Gli occhiali dei piccoletti venivano rotti da un tiro. I palloni avevano il cuoio stracciato. I pomeriggi erano lunghi settimane. I gol della sera prima non si ricordavano. Accanto alle biciclette abbandonate in tutta fretta alla recinzione, gli scarichi walkman. Il lavoro per alcuni, la scuola ed i videogiochi per altri, rovinarono tutto. I più finirono in fabbrica a pulire frese o nei campi ad aiutare il padre. Chi poteva, studiava l’inglese o giocava al Subbuteo. Col tempo, i motorini presero il posto delle biciclette, i cd quello delle musicassette. Anche i Take That si sciolsero, nell’indifferenza generale. Il campo dei sogni era sempre meno scenario di battaglie. Però, una mattina d’agosto mi svegliai e non potei credere ai miei occhi. Il nostro campo, misero e sperduto dalle parti dell’Appennino, aveva un nome. Come i grandi stadi, come i palcoscenici importanti della Coppa dei Campioni. Come in televisione. “San Bastardo”, lo avevano chiamato.

Delitto al San Carlo

Faccio seguito alle polemiche arbitrali scaturite nelle ultime giornate per fare il punto sulla squadra più scomoda e dunque più bersagliata del campionato.
Parlo ovviamente del Napoli targato Mazzari, squadra rocciosa e recentemente in grado si giocare a ritmi impressionanti.
Inutile tessere le lodi di Mister Mazzarri, già artefice in passato di stagioni di passione e continuità incredibili, da ultimo con i colori della Samp e prima ancora in maglia amaranto.
Obsoleto anche ogni considerazione circa i cavalli di razza della scuderia De Laurentiis, in primiis Campagnaro, Maggio, De Santctis, Hamksik ed allegra compagnia.
Chiunque abbia visto (come me) con continuità le partite della squadra partenopea non può che concordare sul fatto che gli azzurri siano stati falcidiati da sviste arbitrali inimmaginabili, che si protraggono ormai dall'inizio della stagione. Tra andata e ritorno è stata derubata di almeno tre punti nelle sfide con i grifoni ed altrettani nel derby del sud con il Palermo, mentre quanto accaduto domenica ad Udine desta più di un sospetto sulla presunta bona fides arbitrale.
Un arbitro incarognito ha fatto di tutto per affossare la compagine azzurra, riuscendo nel suo intento solo ad una manciata di minuti dalla fine. Rigori concessi quanto meno dubbi, rigori cristallini non dati, espulsioni date e non date senza logica alcuna. Non gridare al complotto, talvolta, è quanto meno difficile, se non addirittura fuori luogo.
Domenica si preannuncia al San Paolo una partita di cartello che spero non abbia strascichi polemici di alcun tipo. Si presenta al cospetto dell'indomito Ciuccio l'Inter di Mourinho, ovvero l'unica squadra in Italia che gode di provilegi arbitrali ed allo stesso tempo asserisce il contrario.

Vinca pure il migliore, cioè l'inter, ma per favore senza se e senza ma.

Se San Siro è la Scala del calcio, ovvero un teatro fantastico e frequentato dalla grigia Milano bene, il San Paolo altro non è che il San Carlo del Calcio: un patrimonio dell'umanità un po' delabrè, romantico ed indiscutibilmente grandioso in tutta la sua maestosità. Il popolo azzurro si scalda e si innamora, come da tradizione. Ma con occhio critico ho un timore che puzza tanto di ritrita realtà: finale di stagione, prime quattro in calssifica Inter, Milan, Roma e Juventus. tutti gli altri (Napoli compreso) a combattere al massimo per la Uefa League, con ben servito ai sogni (di gloria), a discapito della vecchia signora o meglio della vecchia abbattona.

domenica 7 febbraio 2010

Il tocco di Santon

(Molti tituli)
L'intervallo dopo il primo tempo è più appropriato per attività amene come bersi un bel caffè Borghetti, scartare un panino con la frittata dalla carta stagnola o parlare con gli amici; senonché, a volte, può essere anche lo scenario per un bel j'accuse. La mia solita polemica anti-Inter, qualcuno dirà. Può essere, prometto di pensarci su.
I fatti sono noti a chiunque abbia seguito i primi 45 minuti di questa assolata domenica di Carnevale. L'Inter è in vantaggio 2 a 0 contro il Cagliari dopo neanche venti minuti, domina l'incontro con i suoi omoni stranieri sparsi per il campo, Moratti gongola tra i suoi pretoriani, l'arbitro si compiace per non dover intervenire molto, il simpatico Mourinho tra sè e sè pensa con soddisfazione alla lezione che sta dando al suo dirimpettaio Allegri, che gli è stato preferito come miglior tecnico della stagione passata, il Cagliari prova a reagire ma contro tanti campioni non è facile per nessuno, neanche per un Jeda ispirato e per un Nenè caparbio, e insomma la partita pare incanalarsi verso una passeggiata di salute per i nerazzurri.
Poi, succede un avvenimento, una nota a piè di pagina del campionato, che però con queste mie poche righe voglio riscattare ad maiora dal sicuro oblio. Dopo alcuni minuti di pressione, di sano coraggio, finalmente il Cagliari ordisce una bella trama offensiva, con la palla che viene contesa al limite dell'area tra Santon e un giocatore rossoblu; Santon, chiaramente in vantaggio, con la punta del piede in scivolata tocca il pallone verso la propria porta; il più lesto di tutti è il bomber Matri, che stoppa e trafigge Julio Cesar con un destro preciso. Gol e palla a centrocampo? Neanche per sogno: spazio al teatrino di arbitro e guardialinee, che annullano tutto per fuorigioco di Matri, effettivamente più avanti di tutti al momento del tocco di Santon. Ehi, un attimo: ho detto il tocco di Santon, uno della squadra avversaria. Un tocco evidente, di quelli che si vedono pure in diretta, di cui tutti si sono accorti subito, giocatori rossoblu, omoni interisti, il simpatico Mou, l'arguto guardialinee, il bravo Santon, l'attento referee, il vispo Moratti, i sessantamila arrivati dall'allegro hinterland milanese. Basterebbe che uno di questi lo dicesse -uno che non sia del Cagliari, ovvio, che infatti lo fanno notare a più riprese: guardi signor arbitro, il gol è valido, l'ha toccata Santon. Lo chiamano fair-play, io preferisco correttezza, buona fede o anche solo sincerità. Tanto, che può valere un gol del genere, in una vittoria che arriverà comunque? Ma l'arroganza è più forte del beau geste, e allora tutti zitti, vince la farsa, vince la prepotenza, vince l'inganno, e si riparte dal rilancio di Julio Cesar, come se niente fosse.
Mi vengono quindi in mente tre pensieri conclusivi: ciò che da più disgusto dei comportamenti dell'Inter da qualche anno a questa parte, così come avveniva con la Juve, di cui semplicemente hanno preso il testimone, è "l'oscena gratuità", per dirla con una vecchia canzone dei Marlene Kuntz ("L'odio migliore"): non ci sarebbe bisogno di vincere così, eppure lo fanno. Secondo, vedo quei personaggi nerazzurri e penso alle vignette satiriche e grottesche di George Grosz, immagine del potere spartito e goduto con avidità. Terzo, ho finalmente capito che i famosi scudetti finti rinfacciati alla squadra di Moratti non sono quelli tolti alla Juve, quelli "di cartone", ma questi degli ultimi anni, tutti quanti.
Buon secondo tempo!

giovedì 4 febbraio 2010

Angola amara

Sarà l'ottava volta che vedi quel film,lo conosci per filo e per segno eppure una parte di te spera sempre che possa cambiare in corsa la parte della trama che non ti va a genio. Non ho visto la finale di coppa d'africa in diretta,ma in replica il giorno dopo e conoscendone il risultato. Arrivi al 40esimo del secondo tempo gia sapendo che la perfetta triangolazione tra Geddo e Zidan porterà al goal.Geddo avanza e speri che un ghanese qualunque possa linciarlo portando via tibia e pallone, non succede,palla a Zidan e speri che sbagli l'appoggio in area di prima, non succede neanche quello,allora non ti rimane che sperare che il perfetto destro di Geddo si stampi sul palo e faccia ripartire in contropiede i Black stars,no...non succede neanche questo. L'arrogante e aiutato Egitto vince la sua terza coppa di fila,in una finale noiosa dominata dalla paura di perdere di ambo le squadre. Il giorno prima la Nigeria grazie ad un goal di Obinna si era aggiudicata il bronzo a discapito di una decimata Algeria(contro l'Egitto era stata espulsa pure la sorella del massaggiatore).Ho sbagliato molte previsioni,ma l'Egitto paragonato alla vecchia Juve è l'esatta fotografia di quello che è diventato questo torneo da tre anni a questa parte. I faraoni sono una squadra di buon livello e potrebbero tranquillamente trionfare senza tutte quelle sviste a loro favore,fatto sta che quarti e semifinale sono state un squallido teatrino a favore dei ragazzi del Cairo.Il Ghana farcito da troppi ragazzini non può nulla contro una squadra esperta e cinica sapientemente guidata da quel volpone di Shehata. I ghanesi hanno in campo solo due giocatori che superano i 24 anni,ovvero il portiere Kingson 31(quello che al mondiale 2006 aveva la maglietta con il nome sbagliato, dietro c era scritto infatti kingston)e il difensore Serpei di 33 anni. A provare più di tutti a cambiare quella trama gia scritta e a molti indigesta e Gyan Asamoah quasi un "Veterano"con i suoi 24 anni,ma i suoi affondi non portano purtroppo a nulla. Il Ghana può consolarsi con quello che è stato eletto miglior giocatore del torneo,Kwadwo Asamoah(anche se in realtà molti segnalano come miglior giocatore del torneo l'egiziano Hassan)di proprietà dell'udinese,altra splendida scoperta dei fenomenali osservatori friulani(che per la cronaca decidono di accaparrarsi anche il 19enne centrocampista Badu ,fresco campione del mondo under 20 e spesso utilizzato anche in questa competizione).Ricapitolando:Egitto campione,Ghana secondo,Terza la Nigeria e quarta l'Algeria,Geddo Capocannoniere, K.Asamoah miglior giocatore della manifestazione. Lo zambia,che meritava chiaramente la semifinale è la rivelazione del torneo, delusione assoluta è la Costa d'Avorio eliminata ai quarti.C'è spazio per l'amarezza finale,la nazionale del Togo è stata squalificata dalla CAF per le prossime 2 competizioni e multata di 50.000 euro. I motivi sono ovviamente assurdi,ovvero,la federazione togolese e i giocatori avevano comunicato la volontà di disputare la competizione,il governo togolese aveva però saggiamente "Invitato" i propri atleti al rientro in patria,il Presidente della federcalcio africana Issa Hayatou(squallido delfino di Sepp Blatter)ha pertanto ha dichiarato che "La decisione delle autorità politiche, viola l'articolo 78 della CAF e della coppa d'Africa"(inutile ricordarvi che durante l'attacco di Cabinda sono morti due membri dello staff). Si chiude così Angola 2010,con poche emozioni e pochi spunti interessanti a fare notizia in apertura e chiusura è la follia,la follia dei guerriglieri di Cabinda all'inizio e la follia della CAF in chiusura.La speranza è che per Gabon e Guinea Equatoriale 2012 possa terminare lo strapotere egiziano ma soprattutto che la Caf torni sui suoi passi e consenta ad Adebayor(che ha definito "Mostruose"le decisioni di Hayadou) e soci di voltare per sempre pagina.

mercoledì 3 febbraio 2010

Esquina Blaugrana - ELECCIONES BARCA 2010 -

Il calcio giocato racconta dell'ennesimo gol decisivo di Pedro Rodriguez e di un Real Madrid che non molla la presa in classifica grazie ad un sontuoso colpo di tacco del ribelle Guti. Il Barca è imbattutto e guida a +5 sul Real. Dietro alle merengues, un gruppetto di squadre si azzanna per i posti in Europa. A oggi, in Champions andrebbero Valencia e Siviglia. Tuttavia, la mia intenzione oggi è di non parlare di calcio giocato, così da fornire rapide, indolori e, presumo, per voi di scarso interesse informazioni in merito alle vicende societarie blaugrana. Innanzitutto, a giugno ci saranno le elezioni per il nuovo presidente del club. La data fissata dall'uscente Joan Laporta (che non può essere rieletto) è il 13 di giugno. Non è ancora ufficialmente iniziata la campagna elettorale, percui, al momento, si parla di precandidature. In attesa, quindi, dei comizi e dei programmi elettorali, ecco i nomi:
  • Alfons Godall: attuale vicepresidente del club. E' l'uomo appoggiato da Laporta. Il precandidato "continuista". Il favorito;
  • Sandro Rosell i Feliu: nasce come uomo di Laporta (nel lontano 2003). Porta al Nou Camp Ronaldinho e poi la rottura con il presidente. La causa si narra siano stati dissapori quanto alla gestione del club, non fedele a quanto promesso;
  • Jaume Ferrer: il terzo incomodo tra Godall e Rosell. Anch'egli "continuista", è stato spesso criticato di essere un "doppione" di Godall;
  • Augusti Benedicto / Francesc Manè: i candidati poco quotati. Hanno l'appoggio di importanti penyas, ma poco più;
  • Ferran Soriano: l'incognita. Ex-vicepresidente e imprenditore di successo (credo sia presidente di Spanair). Non ha ancora preso una decisione definitiva in merito ad una sua possibile candidatura.
A detta di Sport e Mundo Deportivo, presumibilmente, il nome sarà quello di Godall o quello di Rosell. Forte incidenza avrà la vicenda Cesc Fabregas. Come sapete, dovendo attirare voti di soci (leggi: tifosi), spesso in Spagna le campagne elettorali si fanno a suon di promesse di fichajes. Fabregas è il figliol prodigo adorato dai tifosi blaugrana. Probabilmente sarà lui l'ago della bilancia.

C'era una volta un uomo con cinque panze

Se nasci a Gateshead hai poche certezze: la birra, il bancone del pub e degli amici su cui puoi sempre contare quando vuoi sbronzarti. La città del Tyne and Wear forma, insieme a Newcastle, quella tenaglia urbana chiamata Tynside, uno spicchio di sud del mondo nel profondo nord. Un paradosso geografico e socioeconomico, il cuore caldo di quell'Inghilterra di brutti sporchi e cattivi che passa il tempo domandandosi se è il cielo grigio a specchiarsi nel grigio del fiume Tyne o viceversa. Jimmy five bellies (JFB) è il perfetto custode di questo genius loci, uno che se fosse nato a Palermo, e avesse incontrato Ciprì e Maresco, sarebbe stato il clone di Peppino Paviglianiti. La storia di JFB è un insieme di frammenti che compongono la trama di un'amicizia, di un sodalizio alcolico che ha i tratti di una grande sbornia che non finirà mai, di una pinta ancora da svuotare.
JFB è il migliore amico di Gazza: "Paul's more than a brother to me. More than a husband could be to his wife. I love him to bits”. Nel tentare di ricostruire i percorsi che stanno dietro a questa figura occorre abbandonare ogni velleità di continuità narrativa, bisogna lasciarsi andare al fluire dell'aneddoto, apprezzare l'effervescenza sfuggente dell'epifania. In ogni momento della vita di Gazza, in ogni suo segmento emerso, vi è un attimo in cui dal cono d'ombra esce fuori JFB, e non potrebbe essere altrimenti, poiché lui non è altro che una figura daimonica che accompagna le gesta del nostro amato, folle Gazza; è il suo ritratto di Dorian Gray, il suo contatto con la realtà nei bassifondi della sbornia, l'immagine di quello che sarebbe stato se un giorno del 1967 il Dio del calcio non fosse passato per Gateshead a distribuire talento.
Dramatis personae
JFB, all'anagrafe Jim Gardner professione builder, è il classico Northen fat lad, una bestia da pub capace di filare via tranquillo a quindici Snakebite a sera. Con Gazza fu amore a prima vista, avevano 14 anni i protagonisti e lard arse il primo delicato epiteto. Nelle parole di JFB c'è sempre grande riconoscenza per l'amico talentuoso che gli ha permesso di scorrazzare in lungo e in largo per le isole britanniche e l'Europa, nonché di diventare anche una piccola celebrità (è un plebeismo questo che ci sentiamo di concedergli). A sua volta, però, questo ragazzone è sempre presente nei momenti importanti della vita di Gazza. Fu lui, infatti, a volare insieme al padre del calciatore in Cina, quando l'ex numero 8 della nazionale inglese pensò bene di finire fuori strada improvvisandosi autista del pulmann dei Langzhou Flying Horses (squadra della seconda divisione cinese teatro della breve parentesi orientale di Paul) per poi chiudersi in hotel a bere (un topos). Ad interrompere il delirio di Gazza, rannicchiato nel letto come Georg Samsa diventato insetto, fu proprio JFB che, una volta in stanza, cominciò a bere “neat whiskey to cheer him up”. Il simile cura il simile, non c'è che dire. Nella polvere come sull'altare JFB è stato sempre lì, da quando il suo amico calciatore gli fece mangiare una torta "modificata" con la merda di gatto, a quando gli regalò un robot programmato per andare nella sua stanza e intimargli: "Make a cup of tea, fat man", a quando furono cacciati dal West Lodge Park Hotel di Londra dopo che le cinque panze di Jimmy erano state viste farsi largo in mezzo alle papere del laghetto. Quando JFB si muove da solo nelle acque della vita, invece, non sembra essere altrettanto efficace come quando divora un Kebab. Negli anni, infatti, ha avuto qualche inciampo: nel 1999 è stato arrestato per possesso illegale di arma da fuoco. La cronaca narra una vicenda di un certo squallore metropolitano: qualche pinta di troppo, un gruppo di ragazzi che lo apostrofa "fat bastard", la reazione, ed ecco saltar fuori la pistola. Sei mesi di carcere per non aver sopportato gli insulti, come biasimarlo? come ricordò un suo amico all'epoca dei fatti: "He has been getting taunts for years. He'd had a few pints and that took him over the edge". Dopo il carcere un fallimento, una vicenda di debiti finita in tribunale, ma a chi non è capitato almeno una volta?
La depressione di Gazza
Nei giorni difficili della depressione di Gazza JFB è stato un po' lontano, ma, del resto, non si può pretendere troppa sensibilità da uno che si è fatto bruciare il naso per scommessa (secondo lui, però, non fu per soldi, ma tutto nacque da un'idea di Gazza che pensò di usare l'accendino per farlo uscire dal sonno profondo nel quale era piombato sul bancone di un pub). L'addio - momentaneo - fra i due resta, comunque, un momento toccante. Gazza è chiuso al Marriot hotel di Gateshead (la costante di rintanarsi in albergo sembra essere una chiara spia della tendenza di Gazza alla regressione all'utero) e JFB corre da lui per portagli delle sigarette, sulla strada, prima di arrivare, decide di fare una sorpresa all'amico in crisi: un pollo (potenza evocativa delle pietanze, altro che prozac).
“I know he loves chicken, so as well as five packs of fags I bought him two cooked chickens from Asda, a French stick and a bottle of tomato ketchup. He loves tomato ketchup, and I hoped it would cheer him up”.
La visità però non rislutò felicissima, il ketchup non era il balsamo che l'anima di Paul cercava per lenire le ferite, JFB non seppe, non volle(?), gestire la situazione e andò via, lasciando Gazza solo con quel minibar vuoto, con il letto della stanza disfatto a fargli da specchio dell'anima.
Gli anni del salutismo
Per fortuna i protagonisti della nostra storia sono proprio come Newcastle e Gateshead, inseparabili destini uniti dal disegno urbanistico della vita, yin e yang del talento -tanto quello sprecato che quello mai avuto- e, quindi, destinati a riconciliarsi in eterno per continuare a legittimarsi l'un l'altro. Le ultime notizie ci riportano un JFB convertito sulla via del salutismo, supportato da questa discesa chilo dopo chilo dal suo grande amico. Ci fa molto male pensare che gli Snakebite e le English breakfast siano uscite dalla vita del nostro eroe Geordie. Il dolore, poi, è ancora più acuito dal pensiero di Gazza che lo assiste in questo volgare tentativo di migliorarsi, di fuggire dalla realtà. La nostra mente non può non correre a Bouvard e a Pécuchet, protagonisti dell'omonimo romanzo, intenti a sprofondare insorabilmente nelle sabbie della vita mentre cercano di conquistare il "sapere". Non fatico a pensare che questa sia solo una breve parentesi, la desistenza prenderà il sopravvento e, presto o tardi, i nostri eroi torneranno ad annegare nella Lager, migliore medicina possibile per lenire lo spietato bruciore del cibo piccante tipico delle Curry house . Come è giusto che sia, perché quello è il loro destino, la loro essenza di fratelli inseparabili, l'uno di fronte all'altro come Gateshead e Newcastle. Gazza e Jimmy five bellies i figli migliori portati alla luce dalle acque del Tyne. Specchio fidato dei reciproci squallori. Tat tvam Asi