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mercoledì 23 novembre 2011

Italo Che Fece L’Italia - Uno sceneggiato televisivo (Parte 4)

EPISODIO IX

CIVITAVECCHIA: UNA SERPE IN SENO

Troppo preso dalle citazioni del suo autore preferito Bernard Shaw, che sostiene che una vita passata a commettere errori è molto più utile e divertente di una vita passata a non fare nulla per paura di sbagliare, Italo Allodi nel pieno della sua carriera commette l’errore che gli sarà fatale.. Forse troppo sicuro di sé - come chiunque detenga il potere assoluto - ma probabilmente non abbastanza sicuro di sé - tanto da potersi ritenere immortale - Allodi sente impellente il bisogno di trovare un erede che ne continui l’opera.. La clonazione umana è lontana da venire, il sesso troppo importante per ridurlo ad atto procreativo, la genetica troppo incerta a causa del fallimento dell’abominevole Mengele.. ed allora Italo al termine della sua ricerca del tempo perduto posa gli occhi su di un giovane assistente di stazione allo scalo di Civitavecchia.. un toscanaccio intraprendente, ex difensore di infimo livello come lui che, una volta finita la carriera, grazie alle agevolazioni sui biglietti ferroviari dei dipendenti delle FFSS, si è messo a girare l’Italia improvvisandosi osservatore di talenti del centro sud per le squadre del nord.. Il ragazzo ci sa fare: a lui sono attribuite le scoperte di Causio, Rossi, Gentile e Scirea.. Il ragazzo ha futuro: su di lui prende informazioni il bell’Alan Ladd che decide infine di assumerlo alla Juventus come osservatore..

Il ragazzo si chiama Luciano Moggi.. Ed è quel giorno che il tiranno commette l’errore di credersi maestro e adotta un discepolo, il maestro di essere uomo e desiderare un figlio, l’uomo di farsi madre ed allattare con il latte del suo seno la serpe che lo ucciderà.. Questo latte che travasa da Italo alla serpe è l’apertura degli archivi, lo svelamento dei segreti, la trasmissione delle conoscenze di quell’apparato di controllo del sistema calcio che, alla fine, solo alla fine, verrà chiamato Sistema Allodi e che giunti ad un’altra fine, ma proprio alla fine, verrà chiamato Sistema Moggi.. Un sistema che, finché è in atto, nessuno si permetterà mai di denunciare pubblicamente, ma che coraggiosi pennivendoli sono pronti ad esecrare appena un secondo dopo che l’uomo che regge i loro fili perde ogni potere.. Un sistema che rischia di essere fatale alla Juventus e di farla precipitare al centro di uno scandalo corruzione.. ma sono gli anni ’70, l’Italia è ancora una Repubblica fondata sul lavoro e della produzione mitopoietica della Fiat (che di macchine già si è in declino) c’è assolutamente bisogno.. Detroit è lontana, Piazza Fontana è vicina e ancora brucia.. E alle toghe gattopardesche dell’inquisizione italica non è ancora permesso sovvertire il potere e mettere in scena un finto rinnovamento sacrificando poche vite umane perché tutto resti come prima.. E così nulla accade.. nonostante accada questo..

E’ sempre una semifinale di Coppa Campioni, c’è sempre di mezzo il faccendiere ungherese Sotzi.. ma questa volta le conseguenze rischiano di essere pesantissime.. Tutto comincia l’11 aprile del 1973, quando la Juve ospita per la partita di andata la scheggia impazzita Derby County.. I Rams di Derby solo cinque anni prima navigavano nei bassifondi della quarta divisione inglese prima che si manifestasse loro l’eterna presenza del profeta Brian Clough che li porta, promozione dopo promozione, a vincere il primo scudetto della loro storia.. Formazione ostica ed anche agnostica, il Derby è la prima squadra britannica a giocare palla a terra: bestioni grandi, grossi e cattivi, energumeni colossali che sputano sangue dopo aver drenato quello degli avversari ma che in campo dipingono arabeschi di bellezza sublime cercando nell’estetica l’essenza del gioco e della felicità umanità.. Spaventato da cotanta magnificenza, Allodi è costretto a ricorrere alla difesa estrema.. A Torino Furino viene mandato a spezzare caviglie senza ritegno e, curiosamente, l’arbitro tedesco Schulenburg quella sera non trova di meglio da fare che ammonire giocatori del Derby, tra cui le colonne della squadra Archie Gemmill e Roy McFarland che già diffidati devono saltare la sfida di ritorno.. Finisce 3-1 per la Juve e nel dopopartita l’immenso Clough si rifiuta di parlare coi giornalisti italiani, apostrofandoli come “cheating bastards” e mettendo in discussione l’onestà, la lealtà ed il coraggio dell’italico stivale nelle guerre mondiali (e vai a dargli torto..) Ma quello che deve accadere accade al termine della partita di ritorno al Baseball Ground, dove al Derby non basta l’1-0 finale per passare il turno..

Nei giorni seguenti la partita infatti, l’arbitro Francisco Marques Lobo denuncia alla Uefa di essere stato contattato da Dezso Solti che, su esplicito mandato di Allodi, gli ha offerto dei soldi per non fare vincere il Derby.. La terra trema.. Il comitato disciplinare della Uefa convoca Lobo, Allodi e Solti per chiarire la faccenda: a Zurigo si presenta solo Lobo, di Allodi e della Juve nessuna traccia.. Risultato.. La Juve riceve una lettera autografata dal presidente della Uefa Artemio Franchi che la ringrazia per la disponibilità mostrata nel fare luce sulla spinosa vicenda (non presentandosi nemmeno al dibattimento) e la proscioglie da ogni accusa.. Una breve squalifica viene invece comminata nel 1974 al faccendiere ungherese Solti, ma il suo tempo è comunque finito.. La Juve infatti ha già deciso di sbarazzarsi di lui, e di Allodi, dirottando il primo ad una dignitosa pensione con l’indotto Fiat e l’ultimo ancora una volta verso la nazionale azzurra.. La terra trema ma alla faccia di Visconti il terremoto non arriva.. A Torino sono abituati a giocare sporco nelle segrete stanze e a delegare tutto a personaggi facilmente sacrificabili una volta che gli inghippi dovessero venire alla luce.. Con 30 anni di anticipo sulla vicenda Calciopoli la storia un’altra volta si ripete: le mani pulite della monarchica e fascistissima Famiglia Agnelli si sbarazzano senza troppa fatica dei corpi della manovalanza, la cui nuda vita, estromessa da ogni diritto politico, viene gettata in pasto ai benpensanti per proteggere il forziere..

EPISODIO X

COVERCIANO: L’ECLISSE

E’ il 1976.. E muore Mao Zedong.. Si rompe l’equilibrio su cui si reggeva l’universo e il mondo precipita nell’oscurità smettendo una volta per tutte di avere senso.. L’eclissi è alle porte.. E’ il 1976.. E in ordine sparso vedono la luce la Apple di Steve Jobs e Domenica In di Corrado, La Repubblica di Scalfari e De Benedetti e la dittatura di Videla in Argentina.. E’ il 1976.. E mentre la corte suprema degli Stati Uniti dichiara che la pena di morte non è incostituzionale, il governo italiano brucia tutte le copie di Ultimo Tango a Parigi di Bertolucci.. E’ il 1976.. E approfittando di questo caos universale Muammar Gheddafi, ex guida della rivoluzione libica, si accomoda nei salotti del potere italico entrando in pompa magna nel capitale della FIAT: ma né il satrapo berbero né la casa automobilistica torinese devono più preoccuparsi di pagare lo stipendio al nostro bel dandy postrisorgimentale, che nel frattempo è ritornato in FIGC per occuparsi della gestione delle nazionali.. Bello come sempre, quell’uomo oramai maturo che le ragazzine negli anni ’50 chiamavano Alan Ladd non si scompone quando Fulvio Bernardini, ct degli azzurri, si chiede che cazzo abbia fatto Allodi per potersi occupare di queste cose se non “regalare orologi d’oro agli arbitri..” Dopo una parentesi come accompagnatore della nazionale alla disastrosa spedizione dei Mondiali ’74 (la nazionale vicecampione del mondo a Messico ’70 è eliminata al primo turno, sconfitta 2-1 nella partita decisiva dalla Polonia..) Allodi assume l’incarico di costruire un centro per la formazione scientifica di giovani allenatori nel Centro Tecnico di Coverciano.. E’ il 1976.. E Italo Allodi dà alla luce la scuola allenatori di Coverciano, quella dove si diplomeranno tutti i tecnici che hanno occupato le panchine della Serie A dagli anni ’80 in poi.. lo zenit della sua carriera.. E come tutti gli zenit annunciano: l’eclissi è alle porte..

E’ una sera di agosto del 1976 e Italo Allodi, mentre asciuga in Arno i panni sporchi del calcio italiano, si specchia in quelle torbide e putride acque e vede la faccia di quell’altro eroe risorgimentale che, cento e venti anni prima di lui, conquistata l’isola siciliana e giunto a Messina, inizia a comprendere che gli sarebbe stato difficile sbarcare sul continente.. Italo ha fatto di tutto per unificare l’Italia: obbedito a poteri di cui non conosceva la natura in nome dell’ideale e di una certa ambizione personale, attraversato a mani basse il suo personalissimo Bronte della corruzione, e ora si rende conto che gli stessi che ha servito lo trovano ingombrante.. E così, passata la soglia dei cinquant’anni, oramai lontano dalle dinamiche di gestione delle società di calcio e dalle trame sempre più fitte del calciomercato, si ripropone come accompagnatore degli azzurri per il Mondiale del 1982.. Ma la sua contrapposizione frontale con quel vecchio friulano con la faccia lynchiana e la pipa sempre in bocca non paga: dopo i miseri pareggi contro Polonia, Perù e Camerun un giovane Eugenio Fascetti, pupillo di Allodi, dichiara di “vergognarsi di questa nazionale” e quando Bearzot, sapendo da dove venissero quelle parole dice che è impossibile lavorare con un Bruto che cerca di pugnalarti alle spalle, la replica di Allodi è “Se lui pensa che io sia Bruto, allora deve credersi Giulio Cesare..” Ma una volta che il vecio, contro tutto e tutti, vince il Mundial ’82 l’ultima parola è del vecchio con la pipa: “O io o lui..” E il paese, nel frattempo salito in massa sul calcio del vincitore, non ha dubbi: Allodi viene allontanato dalla nazionale e dalla federazione.. Arriva l’eclissi, Allodi penetra nel buio..

Attraversato indenne il primo grande scandalo del Totonero del 1980, all’epoca è infatti colorato di tonalità azzurro pastello superpartes, Allodi prova a riciclarsi nella Fiorentina come direttore sportivo.. Ma sono oramai troppi anni che è fuori dal giro, il calcio è cambiato: il nuovo movimento del pallone che rotola su un campo verde, già fattosi merce nel dopoguerra e oramai entrato nell’orbita dello spettacolo, trova impreparato un vecchio playboy di Suzzara abituato a sotterfugi postrisorgimentali.. La Fiorentina dei Pontello, che lo assume l’anno dopo il mondiale come direttore tecnico, se ne sbarazza dopo poco trovandogli un posto come commentatore televisivo, dove rappresenta la maschera pirandelliana del potere che in realtà non ha più.. Il calcio italiano lo sta ingozzando come l’oca della pietà, gli sta lisciando il pelo come il capro espiatorio del cristianesimo: dietro gli omaggi ci sono le pugnalate, sotto gli inchini fiumi di veleno, a lato degli elogi un mare di merda.. Imbalsamato come Stalin negli suoi primi anni di vita dopo la morte, Italo Allodi è oramai un fenomeno da baraccone.. eppure, con un ultimo rigurgito da araba fenice, risorge dalle sue ceneri e come quell’altro eroe risorgimentale che cento e venti anni prima di lui aveva fatto l’Italia, riesce a lasciarsi alle spalle Messina e, anche senza ponti sullo stretto, ad arrivare nei pressi di Napoli: a Fuorigrotta, centro tecnico della SSC Napoli, come consulente personale di Corrado Ferlaino, l’uomo che ha appena portato sotto il Vesuvio tale Diego Armando Maradona.. Ma nei pressi di Napoli gli eroi risorgimentali non hanno mai avuto fortuna..

EPISODIO XI

NEI PRESSI DI NAPOLI: DOVE TRAMONTA IL RISORGIMENTO

E’ il 1985.. E l’Italia, sprofondata sotto la neve della “nevicata del secolo” è annaffiata dall’inaccettabile Amaro Ramazzotti della Milano da bere e ammorbata dall’insostenibile Eros Ramazzotti dalla voce stridula, che al Festival di Sanremo (vinto dai Ricchi e Poveri) esce da trionfatore con la pessima Una Storia Importante.. E se nelle sale cinematografiche del paese tutti corrono a vedere Sotto Il Vestito Niente dei fratelli Vanzina, a Napoli spopola Popcorn e Patatine con Nino D’Angelo.. E’ il 1985.. Ma nonostante queste difficoltà culturali ed artistiche, l’Italia entra nella storia per essere stato l’unico paese occidentale nel dopoguerra ad avere affrontato armi in pugno l’esercito americano.. Accade un giorno a Sigonella, provincia di Siracusa.. E’ la primavera del 1985.. E nel giro di sole tre settimane nell’Italia del calcio si passa dall’estasi per la vittoria del Verona allo schifo per la tragedia dell’Heysel.. Da una parte la compagine gialloblù di Briegel, Tricella, Fanna, Di Gennaro, Galderisi ed Elkjaer, allenata dallo storico compagno della Bovisa milanese Osvaldo Bagnoli, è l’ultima provinciale (petrolio genovese permettendo) a vincere uno scudetto.. Emblema di quella storica cavalcata è il gol che il danese Elkjaer segna allo juventino Tacconi praticamente scalzo visto che nell’azione ha perso una scarpa: un gol impossibile da vedere nei vent’anni seguenti, non tanto perché da allora non valga più segnare con le calze, quanto perché per lungo tempo non vale in assoluto segnare alle squadre con la maglia a strisce bianconere.. Dall’altra c’è Boniek che, nella finale di Coppa Campioni tra Juve e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles, ottiene un rigore cadendo tre metri fuori dalla linea bianca che delimita l’area in una surreale atmosfera di morte e terrore.. Una vomitevole farsa, un disgusto acuito ancor di più quando si vede il futuro compagno presidente Platini, che ha realizzato il rigore, correre per il campo a fine partita con la Coppa Campioni in mano e festeggiare tutto garrulo e felice mentre sorride in faccia ai cadaveri dei suoi tifosi già imbustati nei sacchetti di plastica..

E’ l’autunno del 1985 e a Napoli Italo Allodi non somiglia più a un dandy postrisorgimentale ma ad un uomo stanco.. Non è più lo splendido Dorian Gray ma la tela del quadro che lo rappresenta: Allodi è finito, è il simulacro di se stesso logorato da troppo potere, è la maschera del potere ridotta a maschera di carnevale.. Eppure riesce in un ultimo capolavoro, anche se non ne vedrà la luce.. a Napoli assume in società il giovane dirigente Pierpaolo Marino, alla guida tecnica l’allenatore Ottavo Bianchi e completa il mosaico della squadra con gli acquisti di Giordano, De Napoli, Carnevale, Garella, Pecci, Renica e la promozione in prima squadra di giovani del vivaio come Ciro Ferrara.. Il Napoli a maggio del 1986 arriva terzo in campionato, alle spalle di Juve e Roma.. il pibe de oro, alla sua prima stagione, segna 11 gol, di cui uno entrato nella storia su punizione nella partita di andata vinta contro la Juve.. Tutto è pronto per la trionfale cavalcata del 1986-87 in cui la squadra partenopea metterà a segno una storica doppietta.. portando a casa il primo scudetto della sua storia e la Coppa Italia.. Ma come a tutti gli eroi risorgimentali o postrisorgimentali che hanno fatto l’Italia, anche ad Italo Allodi il trionfo a Napoli sarà precluso, giusto un momento di prima di arrivarci e di poterlo assaporare..

Nell’estate del 1986 su Allodi si abbatte infatti come una mannaia il coinvolgimento nel secondo scandalo Totonero (dopo che quello del 1980 è stato amnistiato per la vittoria ai Mondiali del 1982..) A seguito di alcune intercettazioni telefoniche, il procuratore torinese Giuseppe Marabotto apre un fascicolo su un nuovo giro di calcio scommesse.. Il 2 maggio del 1986 viene arrestato a Napoli Armando Carbone, che si presenta come il braccio destro di Allodi e lo coinvolge insieme ad altri personaggi del mondo del calcio italiano all’interno di un sistema di corruzione attraverso cui venivano combinati i risultati delle partite per le scommesse clandestine, ma anche per favorire determinate squadre all’interno di un complicatissimo incastro di numeri, risultati, fango e di merda.. Convocato in tribunale, Italo Allodi scoppia in lacrime quando viene accusato di essere l’ideatore di questo diabolico sudoku, cui viene per la prima volta dato il nome di Sistema Allodi.. E la storia di Italo che fece l’Italia, come tutte le storie, giunge a termine ritornando al principio.. In un’aula di tribunale a Napoli.. A Napoli, lì dove l’eroe risorgimentale Garibaldi è costretto ad obbedire al futuro potere sabaudo e a rinunciare al suo sogno di fare dell’Italia una democrazia, il dandy postrisorgimentale Italo Allodi è costretto ad arrendersi al futuro potere sabaudo e a rinunciare al suo sogno di guidare il calcio moderno nell’era delle televisioni.. Il risorgimento del paese e del calcio si è fermato a Napoli, o più semplicemente non è mai avvenuto e mai avverrà: il risorgimento non esiste..

I riferimenti a persone, luoghi, eventi, aziende, istituzioni esistenti sono da considerarsi esclusivamente occasioni narrative e vengono qui utilizzate solo in quanto repertorio di un immaginario condiviso..