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mercoledì 29 gennaio 2014

Matthias Sindelar: o sulla morte di un calciatore

L'uomo di Carta: Der Papierene
Era un’altra Europa. Fatta di imperi, confini mutevoli e tensioni etniche: non è compito nostro paragonare quell’epoca, pur non troppo remota, con la nostra. Lasciamo l’onere agli storici che ci succederanno, ma di certo dobbiamo annotare nei nostri taccuini la più grande differenza tra questa e quell’Europa, ovvero il sostenimento degli sforzi di due grandi e sanguinose guerre che si estesero da Gibilterra e Capo Nord, lasciando dietro di loro un continente devastato.
In questo contesto, Matej Sindelar nasce nel 1903 nella campagna della Moravia, in pieno impero Austro-Ungarico. Oggi sarebbe stato un cittadino della Repubblica Ceca, ma il luogo che gli diede i natali è solo un punto di partenza, visto che papà Jan decise di andare a cercar fortuna facendo il fabbro a Vienna, capitale dell’impero, prima di perire sotto i colpi della Prima Guerra Mondiale. Matej, che sulle rive austriache del Danubio era ormai diventato Matthias, non cresceva tantissimo visto che in quegli anni il cibo non era di certo abbondante, ma in compenso dimostrava di saperci fare eccome con il moderno gioco del fußball: i tifosi dell’Austria Vienna impararono presto ad amare ed apprezzare il giovane Sindelar, ribattezzandolo “l’uomo di carta” per la sua stazza minuta e la capacità di andar via tra più avversari, dribblandoli e passando in mezzo a loro, sottile e leggero come un foglio.
 
Non esattamente le pubblicità di Cantona per la Nike...
Così tanto era il suo talento che Matthias capì ben presto che poteva sviluppare una certa allergia all’allenamento, privilegiando invece altre attività che tuttavia non intaccavano la sua capacità di mettere la palla alle spalle dei malcapitati portieri: pare difatti che durante la settimana lo vedessero più spesso le tenutarie dei bordelli viennesi che il suo allenatore, il quale però arrivata la domenica, chiudeva ben volentieri entrambi gli occhi per permettere al suo “uomo di carta” di consegnare la vittoria all’Austria Vienna.
Gioiello di punta in una generazione d’oro per il calcio austriaco, Sindelar comincia a dar spettacolo con i suoi dribbling anche nella nazionale ed insieme ad altri fuoriclasse come Smistik e Sesta infila una vittoria dietro l’altra, rimanendo imbattuti per quasi due anni e rifilando sconfitte sonanti a rivali di tutto rispetto (per l’epoca) come Scozia, Ungheria e Germania. Da Linz a Salisburgo, la mannschaft si guadagnò il pretenzioso, seppur giustificato, soprannome di “Wunderteam”, una squadra delle meraviglie che sembrava avviata a far sfaceli nei mondiali del ’34 che si sarebbero svolti in Italia. La cosa curiosa è che il soprannome di Wunderteam arrivò dopo una sconfitta, tuttavia in una partita non come le altre.
 
Il Wunderteam e come abbigliarsi a Stamford Bridge
Negli anni ’30, se l’Inghilterra invita una nazionale del continente a giocare a Londra è per due motivi: il primo è perché li rispettano e sanno che non sfigureranno contro di loro che questo giochino l’hanno inventato, il secondo è per batterli nella maniera più cocente possibile proprio per ricordar loro chi è stato, appunto, ad inventare il football. Quando toccò all’Austria affrontare gli inglesi, questi si imposero con un combattutissimo 4-3, ma il gol di Matthias è qualcosa che vale più del risultato finale: serpentina dalla propria metà campo, dribbling di almeno sette giocatori albionici, portiere compreso. Praticamente lo schema che Pelé disegna alla lavagna in “Fuga per la Vittoria”, senza Stallone a parare improbabili rigori.

Il famoso discorso della Hofbrauhaus
Negli anni ’30 peraltro, i figli prediletti dell’Austria non si esprimevano al top solo nel calcio: mentre Sindelar incantava con i suoi gol innovando lo stile di gioco, Freud inventava la psicoanalisi e le pièces di Schnitzler riempivano i teatri di mezza Europa. A rovinare la reputazione di questa generazione di austriaci arrivò tuttavia un omino dai capelli scuri e di bassa statura che riuscì a convincere i tedeschi che loro, alti e biondi, erano il popolo etnicamente perfetto. Ora, la Grande Depressione, le umiliazioni subite a causa del trattato di Versailles e le difficoltà della Repubblica di Weimar possono essere le ragioni scatenanti dell’affermazione del Nazionalsocialismo come fenomeno politico, ma per la questione della razza ariana propagandata da un tizio che meno ariano è difficile immaginarlo, possiamo solo presumere il più colossale e tragico dei buchi di sceneggiatura. È anche vero che molti dei discorsi alla base della sciagura nazista si tennero all’interno della Hofbräuhaus, ma senza timore di smentita, su questi basi non c’è sbornia che tenga…
In ogni caso, Adolf Hitler nel 1934 è solo agli inizi della sua folle ascesa al Reich e le preoccupazioni per Sindelar ed il suo wunderteam provengono “soltanto” dai Campionati del Mondo: l’Austria si presenta con grande fiducia all’appuntamento ed il 27 maggio parte subito alla grande battendo, dopo i tempi supplementari, la Francia e qualificandosi quindi ai quarti di finale. Matthias segna l’1-0 e, visto che i biancorossi non erano presenti al mondiale uruguayano del 1930, pone la sua firma sul primo gol in assoluto dell’Austria nella massima competizione calcistica. Ai quarti c’è il “derby” con l’Ungheria e allo stadio di Bologna le cose si mettono subito bene per Matthias e compagni: 1-0 dopo otto minuti, raddoppio ad inizio ripresa e magiari che riescono ad accorciare le distanze solo su calcio di rigore: gli austriaci si qualificano e ad aspettarli nella semifinale di San Siro ci sarà l’Italia padrona di casa.
 
Sindelaaaaar: quando insacca lui decollaaaaa?!?
La semifinale del campionato mondiale sarà emblematica per Sindelar: l’uomo di carta conoscerà praticamente per la prima volta in carriera il gusto amaro della sconfitta sul campo, abbinato agli effetti propagandistici che i regimi totalitari traggono dal football. Quello del 1934 è il mondiale di Mussolini - che pure all’epoca con l’Austria intratteneva ottimi rapporti politici - e non c’è squadra delle meraviglie che tenga, ad alzare la coppa Rimet dovranno essere gli azzurri di Pozzo e Meazza. Grandissima squadra anche loro, ma per avere ragione della Spagna di Zamora e Langara c’era voluta la ripetazione della partita ed una discreta connivenza arbitrale, figurarsi contro l’Austria allenata da Hugo Meisl, considerato come un grandissimo innovatore tattico. A risultare decisivo però è di nuovo lo schema preferito dei ragazzi col fascio littorio e stemma sabaudo: dopo aver fruttato il gol decisivo contro le Furie Rosse, la tattica di placcare il portiere mentre un compagno tira viene di nuovo capitalizzata alla grande da Meazza e Guaita e dopo soli 19 minuti è 1-0 per l’Italia. Nei restanti 71 è caccia all’uomo legalizzata, senza che ovviamente l’arbitro intervenga in alcun modo, con Sindelar a fare la parte del bersaglio vivente, terminando la partita praticamente da fermo a causa di un colpo che lo priverà anche della finalina per il terzo posto.
 
Passata la delusione, Sindelar tornò per quanto possibile alla sua routine di dribbling e bella vita viennese: il wunderteam austriaco non è più ai livelli di inizio decade ma riesce comunque a qualificarsi per i campionati mondiali di Francia ’38. In verità, tra le due competizioni mondiali, gli austriaci (senza Sindelar) portano a casa anche l’argento alle Olimpiadi di Berlino, ma la medaglia è macchiata dalla controversa ripetizione del quarto di finale contro il Perù: i sudamericani si impongono per 4-2 ai supplementari (ed altri tre gol vengono annullati), ma il reclamo austriaco per una pacifica invasione di campo da parte dei supporters della nazionale andina (ora, ci vuole discreta fantasia per immaginare orde di peruviani sugli spalti nella Berlino fascista, ma tant’è…) viene accolto dalla FIFA e dal CIO, su viva pressione delle autorità locali, ed impongono la ripetizione del match. Il Perù non la prende benissimo, come è lecito attendersi, e richiama tutta la delegazione olimpica in patria, dove scoppiano immediate le manifestazioni anti-germaniche. L’Austria avrebbe tuttavia perso la finale contro l’Italia, grazie ad una doppietta dell’occhialuto capocannoniere del torneo, Annibale Frossi.

Annibale "Clark Kent" Frossi
Per tornare a Matthias, sarebbe giunto all’appuntamento iridato all’età di 35 anni ma comunque ancora in grado di fare la differenza: l’omino col baffo a spazzola però aveva altri piani per l’Austria e di conseguenza per la nazionale di Vienna. Il 12 marzo 1938 la Germania annuncia urbi et orbi l’annessione dell’Austria sotto minaccia di arrivare sulle rive del Danubio in assetto di guerra: collaborazionismo e persuasione, lecita o meno, dei Nazionalsocialisti austriaci scongiurarono resistenza, anche perché nei giorni seguenti circa 70000 possibili dissidenti furono prontamente arrestati dalle SS: ad aggiungere beffa al già evidente danno, la Germania nazista pensò bene di indire un referendum farsa, al cui voto, peraltro a scrutinio aperto e non segreto con gli ufficiali a supervisionare, non furono ammessi circa 400000 aventi diritto. Plebiscito doveva essere e plebiscito fu, con il 99,7% dei votanti ad esprimersi a favore dell’annessione: non che ci fossero dubbi, tanto che per volontà dei tedeschi la settimana prima del referendum si tenne a Berlino una partita celebrativa tra Germania ed Austria, che sarebbe passata alla storia con il nome di AnschlussSpiel.
 
In verità, gli austriaci non avevano granché da celebrare: visto che l’operazione propaganda era riuscita alla perfezione a Mussolini quattro anni prima, Hitler pensò bene di cercare il bis, dato che anche alle Olimpiadi del ’36, con l’eccezione di  Jesse Owens, la missione era stata compiuta con successo. E quindi, se l’Austria era ormai parte della Germania, anche le nazionali di calcio dovevano essere unite per formare un superteam sulla carta imbattibile. In verità, la prima “proposta” avanzata alla Federazione di Vienna fu di partecipare ai Mondiali sotto il nome di “Ostmark”, provincia dell’Est: secco rifiuto degli austriaci, “O Osterreich o niente!” e conseguente risposta tedesca, “Bene, allora niente! E alla faccia vostra, festeggiamo pure il fatto di cancellarvi dalle mappe del calcio con una bella amichevole dal risultato scritto!”
 

Già, perché alla base dell’Anschluss c’era ovviamente il pangermanismo imperante ed una superiorità culturale ed etnica tedesca lasciata nemmeno troppo sottotraccia. Sul campo di calcio però, le cose stavano diversamente e l’Austria, benché in declino, aveva senz’altro la squadra migliore in quel 3 aprile 1938 ed era quindi necessario applicare quel minimo di pressione perché in quel di Berlino le cose andassero secondo copione.
Ora, immaginate di essere Matthias Sindelar: uno a cui hanno tolto una finale mondiale per la propaganda fascista e a cui i nazisti hanno impedito l’ultimo ballo, cancellando de facto la sua nazionale dal panorama calcistico. Uno che ha subito detto che lui nella squadra mista austro-tedesca non ci gioca nemmeno morto e che per quel che lo riguarda, la partita di Berlino sarebbe stata la sua ultima partita con la mannschaft: d’altra parte, per quello che ne sapeva, non sarebbe stata solo la sua partita d’addio, ma anche l’ultima partita dell’Austria come nazione indipendente per chissà quanto tempo.

Una nazionale ed un mondiale a cui Sindelar non parteciperà per sua scelta. Respect!
Nello stadio di Berlino però, in quella che doveva essere la piattaforma per festeggiare l’Anschluss, Matthias decide di diventare protagonista e rovinare i piani. L’uomo di carta comincia rifiutandosi di fare il saluto nazista durante gli inni, poi per tutto il primo tempo fa impazzire gli avversari con i suoi dribbling, presentandosi a più riprese davanti al portiere. In una partita normale, ogni occasione sarebbe buona per segnare, ma in questo match-farsa c’è bisogno di altro: proprio per far capire la trama richiesta dalle autorità, Sindelar per tutto il primo tempo manca volontariamente il gol, in segno di disprezzo. Volete un match truccato? Bene, eccovelo qui, insieme ad un grosso vaffanculo ai nazisti e all’Ostmark.
A venti minuti dalla fine però, Sindelar si stufa di sbagliare gol e prima serve l’assist a Karl Sesta per il gol del vantaggio e poco dopo ci pensa direttamente lui a siglare il raddoppio; non contento, per festeggiare il 2-0 e la vittoria ormai al sicuro, improvvisa un derisorio balletto proprio sotto al palco autorità, ovviamente riempito per l’occasione da dignitari nazisti.
 

Con l’annessione dell’Austria, anche a Vienna entrano in vigore le leggi razziali: il presidente dell’Austria Vienna, di religione ebraica, è costretto a cedere il club. Dopo questo ennesimo affronto, Sindelar si ritira dal calcio giocato e acquista un café viennese, riconoscendo al precedente proprietario, di religione ebraica, un giusto prezzo per la transazione. In quel periodo inoltre, Matthias comincia ad accompagnarsi ad una ragazza italiana, Camilla Castagnola. Indovinate un po’ il credo della signorina? Anche lei tra i figli di David: tre circostanze che non passano inosservate alla Gestapo, che non ha peraltro ancora dimenticato lo scherzetto di Berlino. Il nome di Sindelar fa la sua comparsa nei temuti faldoni della polizia segreta, solo per essere definitavamente depennato il 23 gennaio 1939: visto che raramente tendevano ad assolvere, furono piuttosto compaciuti nel registrare la morte per avvelenamento da monossido di carbonio di Matthias e Camilla, prontamente rubricata come incidente domestico. Ai funerali di Vienna, oltre 20000 persone in lutto resero omaggio al loro campione con un sospetto che non azzardavano a formulare ad alta voce di fronte al massiccio dispiego di truppe naziste pronte a sedare sul nascere possibili rivolte anti-tedesche.

Solo parecchi anni dopo, si venne a sapere che l’ufficiale presente all’obitorio per registrare la causa del decesso fu corrotto al fine di formalizzare il decesso come sfortunata tragedia domestica. Già, maledetta stufa: nella Germania nazista, un funerale come quello riservato a Sindelar non poteva essere concesso a chi veniva assassinato o si suicidava; negare le esequie pubbliche per il calciatore più forte della storia austriaca avrebbe significato ammettere qualche coinvolgimento. Meglio falsificare gli atti e dar la colpa a quella maledetta stufa. Chissà come mai non siamo stupiti e probabilmente, non lo fu nemmeno l’uomo di carta.