Per me era ancora estate: al 19 settembre 1990 la scuola non era ancora cominciata e mi godevo gli ultimi giorni al mare della Calabria. Spiagge deserte, e lì dove quasi tre mesi prima si accalcava la gente per seguire gli azzurri nel mondiale delle notte magiche non c’era più nessuno.
L’Argentina aveva spezzato il sogno di
invincibilità della nazionale di calcio, al ragazzino di dieci anni rimaneva la
squadra del cuore, l’unico affetto che con la madre non si cambia mai (lo dice
anche un mio amico boliviano tifosissimo dell’Huracàn: in Bolivia vanno pazzi
per il calcio argentino).
Le premesse non erano incoraggianti: una serie di campionati passati di basso profilo, senza alcuna possibilità di lasciare una qualche traccia, con il ricordo lontano di quel suicidio di massa in Roma Lecce 2-3…un ricordo vago, oscuro, doloroso.
Le premesse non erano incoraggianti: una serie di campionati passati di basso profilo, senza alcuna possibilità di lasciare una qualche traccia, con il ricordo lontano di quel suicidio di massa in Roma Lecce 2-3…un ricordo vago, oscuro, doloroso.
Il campionato era appena iniziato e la
domenica precedente ne avevamo presi 3 a Genova. Mercoledì cominciava una nuova
esperienza per me: la coppa Uefa.
Finalmente si potevano vedere le partite in
diretta, senza dover ascoltare le telecronache di Giulio Galasso e Lamberto
Giorgi su Teleroma 56 - “In campo con Roma e Lazio” - che ogni cinque minuti
interrompevano il racconto della partita per ricordarci quanto era bello
l’orologio princeps giamaica o per gustarsi il caffè di cui non mi ricordo la
marca (che poi è vero che il telecronista brasiliano Pato era il fratello di Falcao?).
E qui apriamo una piccola parentesi: negli anni 80-90 a Roma, ancora prima delle fantomatiche radio ascoltate da tassinari e baristi che chiamano in trasmissione dicendo “Bella Mario, innanzitutto complimenti pe’ la trasmissione….te chiamo da via de Boccea dove ‘sto a fa’ ‘na consegna ….er capitano è troppo forte e la Roma è maggica!”, radio che vengono invocate da stampa tv e giornali come seminatori di odio e disordine tra la tifoseria, insomma prima di queste radio c’era una produzione calcistica televisiva locale di grandissimo livello: il già citato “In campo con Roma e Lazio”, telecronache in diretta e collegamento col campo tre ore prima della partita.
Impossibile non citare il Professor Claudio Moroni, conduttore in solitaria di “Io e Monna Lisa”: questo qui stava seduto su una poltrona in stile neoimpero (finto), con un ritratto della Gioconda, con la quale dialogava parlando di Roma e di Lazio. Insuperabile quando se la prese con Carlos Bianchi, che chiedeva sempre ai giornalisti dopo una delle tante sconfitte della Roma se avessero mai giocato a calcio in vita loro, dicendo “Ah Bianci, e poi che ti chiedi sempre se uno ha giocato o non ha giocato a calcio?! Fatte li cazzi tua!!”.
Il top era “Gol di Notte”, condotto da Michele Plastino (si fecero le ossa lì Sandro Piccinini e Fabio Caressa), grande estimatore del Profeta Boemo, che in quella trasmissione lanciò i primi attacchi sul doping. Quando Zeman passò alla Roma invecchiò di dieci anni in un colpo solo. Un sabato sera ho anche chiamato per partecipare ad un gioco dove si vinceva un orologio…l’emozione era tale che non risposi nel modo giusto.
E qui apriamo una piccola parentesi: negli anni 80-90 a Roma, ancora prima delle fantomatiche radio ascoltate da tassinari e baristi che chiamano in trasmissione dicendo “Bella Mario, innanzitutto complimenti pe’ la trasmissione….te chiamo da via de Boccea dove ‘sto a fa’ ‘na consegna ….er capitano è troppo forte e la Roma è maggica!”, radio che vengono invocate da stampa tv e giornali come seminatori di odio e disordine tra la tifoseria, insomma prima di queste radio c’era una produzione calcistica televisiva locale di grandissimo livello: il già citato “In campo con Roma e Lazio”, telecronache in diretta e collegamento col campo tre ore prima della partita.
Impossibile non citare il Professor Claudio Moroni, conduttore in solitaria di “Io e Monna Lisa”: questo qui stava seduto su una poltrona in stile neoimpero (finto), con un ritratto della Gioconda, con la quale dialogava parlando di Roma e di Lazio. Insuperabile quando se la prese con Carlos Bianchi, che chiedeva sempre ai giornalisti dopo una delle tante sconfitte della Roma se avessero mai giocato a calcio in vita loro, dicendo “Ah Bianci, e poi che ti chiedi sempre se uno ha giocato o non ha giocato a calcio?! Fatte li cazzi tua!!”.
Il top era “Gol di Notte”, condotto da Michele Plastino (si fecero le ossa lì Sandro Piccinini e Fabio Caressa), grande estimatore del Profeta Boemo, che in quella trasmissione lanciò i primi attacchi sul doping. Quando Zeman passò alla Roma invecchiò di dieci anni in un colpo solo. Un sabato sera ho anche chiamato per partecipare ad un gioco dove si vinceva un orologio…l’emozione era tale che non risposi nel modo giusto.
Comunque queste televisioni locali offrivano
un prodotto popolare e onesto: non c’erano inutili fighe rifatte da cartellone
pubblicitario, filosofi del pallone e calciatori in pensione che facevano i
tristi opinionisti, non ti scassavano la minchia con la moviola e c’era una
cortesia di fondo tra conduttori, ospiti e ascoltatori. Nel contesto romano, il
degrado culturale e la corsa al ribasso derivante da oltre trent’anni di
berlusconismo televisivo ha portato, a mio avviso, alla sostituzione di quei
programmi televisivi con le radio di oggi in stile Marione. A Roma, la mia
impressione è che i tre quarti delle persone con cui parli di calcio per strada
ripetono meccanicamente quanto sentono alla radio, senza alcuno spirito critico.
Ho visto sempre meno quella leggerezza che vivevo nei primi anni da tifoso, e
ho notato sempre più aggressività senza senso.
Tornando alla UEFA, il primo scoglio da
superare ai miei occhi era insuperabile: il Benfica di Sven Goran Eriksson,
sempre rimpianto anche quando è andato alla Lazio, che aveva qualche mese prima
perso di misura la finale di Coppa Campioni contro il Milan stellare di Sacchi,
Gullit, Van Basten e tanti altri. Quali speranze per la mia Roma contro i
vice-campioni d’Europa? Non ne vedevo alcuna.
Era una squadra tosta quella Roma, che
giocava un buon calcio all’italiana, di sostanza, senza brillare: a giocatori
di cuore e quantità (il caterpillar Berthold, Sebino Nela, Fabrizio Di Mauro, Ruggiero
Rizzitelli) ne univa altri di più o meno raffinata tecnica (il principe Giannini,
Ciccio Desideri, Andrea Carnevale) e qualche fuoriclasse: Rudy Voeller, un
rapace d’area di rigore stile Inzaghi ma non antipatico come lui (tra l’altro
era il numero 9 della Germania campione del Mondo). C’era poi un giovane
centrale difensivo brasiliano che giungeva proprio dal Benfica, proprio su
suggerimento di Eriksson al presidente Viola: Aldair.
Uno spettacolo da veder giocare: abituato
agli arcigni difensori italiani, questo qui si vedeva che veniva da un altro
mondo. Non un difensore roccioso, particolarmente difficile da superare, ma una
tecnica sopraffina, grande capacità di impostazione, personalità in campo e
fuori, piede destro e sinistro equivalenti e un’eleganza naturale ad ogni
pallone toccato…insomma, uno di quei difensori che con la palla tra i piedi fa
impazzire gli attaccanti: stoppava la palla di petto, la metteva a terra sotto
la suola, alzava la testa e faceva lanci millimetrici di 30-40 metri.
C’era
poi un giovane, promettente e fortissimo portiere: Angelo Peruzzi, ma sappiamo
come è andata a finire.
In panchina Ottavio Bianchi, allenatore del
primo scudetto del Napoli: classico allenatore italiano e che gioca
all’italiana nel senso tradizionale: marcatura a uomo con libero mascherato, ci
si adatta alla squadra avversaria e si cerca di non prendere gol. Se capita ne
facciamo qualcuno.
Torniamo
al fine estate calabrese. Quel mercoledì sera mi reco al bar sportivo del
paese, praticamente vuoto e chiedo al barista (panzone e coi baffi) se si può
vedere la partita. “Quale partita…??” mi dice. “E’ la partita della Roma, la
coppa Uefa….”, rispondo. Gentilmente e silenziosamente accende la TV, io mi
siedo aspettandomi in cuor mio 90 minuti di agonia, e invece dopo 30 secondi
dal fischio di inizio il miracolo: Carnevale la butta dentro su assist
fortunoso di Aldair. Olimpico in delirio. Il resto della partita è un
sostanziale assedio del Benfica ben orchestrato da Valdo, brasiliano dal piede
vellutato, che trova però un insuperabile ostacolo in Peruzzi.
Si
porta così a casa il risultato, che mi appariva una fragile assicurazione. Al
ritorno a scuola, tra noi romanisti (ovviamente eravamo la maggioranza)
giravano voci incontrollate su uno stadio, il Da Luz di Lisbona, impossibile da
espugnare e difficilmente da uscirci indenne: a ricreazione facevamo la
colletta, mi sembra 800 lire, per incaricare il bidello Ireneo, grande tifoso
giallorosso con il poster dell’83-84 dietro al banco, di andare a comprare il
Corriere dello Sport (a patto di lascargli il giornale a fine giornata).
Credo
tra l’altro che sia stato in quel periodo che mi sia reso conto di quante minchiate
spara il Corriere dello Sport.
Comunque
arriva il giorno del ritorno (nel quale indossiamo un’interessante maglietta
bianca con le scaglie giallorosse sulle maniche) e accade quello che sembrava
impossibile: al 27° su incursione del tedesco volante, Giannini la mette dentro
di ribattuta, sotto la curva dei tifosi romanisti. Il resto della partita
scivola via con i portoghesi incapaci di imporre il loro gioco e la Roma a
controllare la situazione. Al termine non ho più paura, non ho più timore:
tutto è possibile per questa squadra.
Il
turno successivo è preceduto da un evento che sconquassa l’ambiente a Trigoria
e lascerà il segno per molto tempo: Peruzzi, già una certezza nonostante la
giovane età, e Carnevale, comunque distinto attaccante che assicurava gol e qualità,
vengono squalificati per doping. L’impatto è devastante, c’è chi grida al complotto,
chi allo scandalo: sicuramente la società fa una gran bella figura di merda,
consigliando ai due di giustificarsi in maniera ridicola, prima invocando una
pasticca dimagrante presa per errore dalla mamma di Peruzzi dopo una
scorpacciata di cinghiale (perchè poi invocare la magnata di cinghiale? Forse
il carattere ruspante della presunta abboffata avrebbe reso la menzogna
maggiormente credibile…), poi lamentando uno sciroppo contro il mal di tosse.
Un anno
di squalifica (una mazzata…manco fossero stati cocainomani recidivi) e tante
grazie. Alcuni dicono che ci sia stata dietro una volontà politica per mettere
in difficoltà il Presidente Viola, ma un dato è certo: qualcosa di oscuro c’è
stato; il controllo venne dopo un Roma-Bari, e sempre dopo un Napoli-Bari venne
squalificato Maradona, essendo il Bari guidato da Antonio Matarrese. Solo
coincidenze? Inoltre pare che proprio Peruzzi (che poi fu gentilmente regalato
alla Juve, dove è diventato uno dei più forti portieri degli anni 90) e Carnevale
fossero in quell’inizio stagione spesso sorteggiati dall’antidoping, come a
volerli prendere in flagrante (la prima legge antidoping è arrivata subito
dopo, sul punto vi consiglio i libri di Sandro Donati, "Campioni senza Valore" e "Lo sport de doping", dove c'è un passaggio alla vicenda).
Col morale a terra la Roma si presenta a Valencia dove riesce a strappare un pareggio con una partita giocata in affanno (e un arbitraggio benevolo che ci grazia negando un rigore e annullando un gol al Valencia), grazie al gol di Ruggiero Rizzitelli, attaccante dai piedi scarsi e dal cuore grande.
Al ritorno all’Olimpico la squadra sta più in
palla e riesce a sconfiggere 2 a 1 un modesto Valencia, grazie a Giannini che
prende per mano la squadra e la guida per farla uscire dalle secche in cui si
era incagliata.
Agli ottavi di finale ci ritroviamo contro il
Bordeaux, semi sconosciuta squadra francese che si rivela avere una difesa
scandalosa dotata di portiere citofono: complice anche un terreno di gioco che
sembra quello di un oratorio e una serata freddissima che ghiaccia le mani del
povero Bell (per la cronaca in quel Bordeaux giocavano Lizarazu e quel gobbo di
Deschamps), ne riusciamo a fare 5 con tripletta di Voeller e doppietta di
Gerolin. E’ una Roma in ripresa e il ritorno è una passeggiata, anche grazie al
portiere Bell che pensa bene di sublimare la bella prestazione dell’andata facendosi
espellere già nel primo tempo: finisce 0-2 con doppietta di Voeller e tutti
felici!
Ai quarti di finale ci aspetta l’Anderlecht: squadra forte, più forte di noi. L’anno prima si era arresa in finale di Coppa delle Coppe alla Sampdoria campione d’Italia solamente ai supplementari: e invece con una prova pazzesca di tattica e agonismo la Roma gliene rifila 3: di particolare il 2 a 0 di Voeller su punizione, credo uno dei pochi o forse l’unico della sua bella carriera (culminata con la Coppa Campioni vinta col Marsiglia in finale contro il Milan di Capello e in coppia com Alen Boksic).
Il ritorno è una festa soprattutto per i
tifosi in trasferta, che illuminano il grigio stadio belga e si godono la
tripletta di Voeller, scatenato come una bestia….praticamente come tocca palla
la mette dentro: risultato finale 2-3.
Per la semifinale sfida con una squadra
danese assolutamente sconosciuta: il Brøndby (piccola cittadina vicino Copenaghen).
All’epoca non era affatto strano che una squadra non nota e neppure
particolarmente forte arrivasse in fondo ad una competizione europea:
l’eliminazione diretta, anche in coppa Campioni e nella Coppa delle Coppe,
poteva favorire squadre senza blasone che davano tutto per dieci partite l’anno
e si ritrovavano alle fasi finali a giocarsi un posto nella storia. Oggi
sarebbe impossibile.
In Danimarca pare che ci siano problemi di
ordine pubblico: lo stadio è una bagnarola e basterebbero i tifosi in trasferta
per riempirlo tutto. Non ci sono neanche le recinzioni, e le autorità danesi,
preoccupate dal vitalismo latino dei romanisti, pensano (bene) di mettere le
barriere al settore ospiti, col risultato di creare una gabbia per polli.
La partita è difficile e il Brøndby (in cui
gioca il portiere Schmeichel) cerca in tutti i modi di segnare, ma la diga
eretta da Bianchi e le parate di Cervone preservano uno 0-0 da giocarsi tutto
al ritorno.
Qualche giorno prima della partita di ritorno
comincia lo psicodramma: ce la fa l’infortunato Voeller a giocare o non ce la
fa? La sua presenza è fondamentale: capocannoniere del torneo, la Roma si
aggrappa a lui per arrivare in finale. A scuola il solito giro tra i banchi del
Corriere dello Sport, fino a quando leggo la scritta a titoli cubitali che mi
rassicura: “segno anche con una gamba
sola”. Il tedesco giocherà, e sarà fondamentale: dopo il vantaggio di
Rizzitelli e l’autogol di Nela (per la verità nel tentativo di rimediare ad una
bella cappellata difensiva di Comi), durante un assedio scomposto, davanti al
fantasma dell’eliminazione, riesce non so come a buttarla dentro in una mischia
a due minuti dal 90°.
L’Olimpico è di nuovo in delirio.
Siamo in finale: c’è un posto nella storia
anche per me.
L’Inter
è più forte di noi e alla fine il 2-0 dell’andata - con un rigore inventato
dall’arbitro russo su cui giravano strane storie di soldi e intermediari - li
garantisce dalla finale di ritorno. L’uno a zero con gol di Rizzitelli non
basta, e sette anni dopo la finale di Coppa Campioni dobbiamo subire un’altra
finale persa in casa. La settima Coppa Italia vinta contro la Sampdoria campione
d’Italia non servirà ad asciugare le lacrime, siamo su due piani completamente
diversi. Nel frattempo la società passa di mano: il presidente Viola è morto e
gli eredi cedono il pacchetto azionario a Giuseppe Ciarrapico.
Quella finale persa contro l’Inter è stata una
mazzata durissima: ero convinto che ce l’avremmo fatta, non era pensabile che
un’altra squadra avrebbe potuto alzare la Coppa nel nostro stadio. E invece
successe. A 10 anni avevo sperimentato una delusione così grande da essere
vaccinato per tutte quelle che ho vissuto in seguito, e non sono state poche.
E’ come se quella fantastica cavalcata nella coppa Uefa 90-91 mi abbia catapultato all’improvviso da uno stadio in cui il tifo è un passatempo piacevole ad uno in cui il tifo è fonte di emozioni fortissime: per questo sento un’empatia verso uno sconosciuto coetaneo tifoso sampdoriano, che l’anno successivo in finale di Coppa Campioni contro il Barcellona vivrà un’amarezza ancora più grande. Non ho vissuto il tuo dolore, ma ti posso capire benissimo.