Sono passati vent'anni dalla pubblicazione di "Febbre a 90°" e in un articolo-riflessione l'autore, Nick Hornby, fa il punto sullo stato del calcio inglese e sulla sua evoluzione. La conclusione è amara: oggi non scriverebbe più quel libro.
Al di là dei giudizi sullo scrittore (non credo che Nick Hornby possa considerarsi qualcosa più di un "usato sicuro letterario"), credo che "Febbre a 90" abbia inaugurato una modalità di raccontare calcio fino ad allora assente nel panorama culturale, cogliendo il lato più umanistico di questo sport e riuscendo a descrivere come questo riempia, e rovini a volte, la vita delle persone.
La tesi dell'articolo di Hornby è che il calcio ha subito una rivoluzione totale, sia diventato prodotto, business, spettacolo, sia stato gonfiato dai soldi delle TV fino a diventare, paradossalmente, più bello e quindi meno poetico.
Un calcio che ha spazio solo per l'highlights e non più per il racconto.
Un calcio che ha spazio solo per l'highlights e non più per il racconto.
Lo stesso "boring Arsenal" narrato e amato da Hornby è diventato sotto Wenger il più alto esponente del calcio spettacolo in Europa (insieme al Barcellona), un'utopia coltivata dal tecnico alsaziano fino al dogmatismo, che è riuscita anche a portare a casa numerosi titoli segnando una svolta nella storia del club.
L'imborghesimento dei tifosi ha portato, dunque, all'imborghesimento del calcio e la Premier league si è fatta prodotto da esportare, diventando qualcosa di diverso da quel piccolo mondo antico per brutti, sporchi e cattivi che è stata fino all'inizio degli anni novanta. Naturalmente lo stesso Hornby si difende dalle accuse di essere stato anche lui parte di questo processo, di aver dato lui stesso il referente letterario a quella classe media ideale cliente di presidenti di club e venditori di diritti TV.
Non saprei dire se Hornby sia l'ultimo dei nostalgici o il cortigiano del calcio soft da divano, certamente va detto che la Premier League non solo si è imborghesita, ma si è letteralmente snaturata, ha subito una mutazione genetica radicale.
In questo senso, e vado al di là dell'articolo di Hornby, mi domando se il cambiamento del calcio inglese non sia altro che una delle ennesime conferme della totale perdita di identità della società britannica. L'equilibrio interno dello Stato britannico si è basato da sempre sul bilanciamento tra gli interessi della più grande work force non comunista del mondo e un ceto di privilegiati che miravano a perpetuare i loro riti godendone i benefici. Un equilibrio a sua volta retto da tre pilastri: l'impero, la marina e la corona.
Di tutto ciò non vi è più traccia nell'Inghilterra attuale. La classe operaia è diventata rifiuto sociale dopo la fine della rivoluzione industriale, il lavoro è diventato servizio appaltato, ceduto, fungibile e impersonale. I conservatori sono un nulla politico espressione di una casta che non esiste più. Marina e impero sono ricordi da celebrare al Giubileo e la Corona ha bisogno di più propaganda che soldi per sopravvivere. Il governo attuale è il peggiore e il meno credibile della storia inglese. Londra, la testa di ponte e cervello di uno stato unico nella storia, è diventata un hub finanziario, un playground, dove arabi russi e cinesi fanno scivolare i loro soldi. La città dove fu scritto il Capitale è oggi una puttana finanziaria in cerca di capitali per alimentare quel cancro inestirpabile, perché vitale, che è la City.
Tra populismo in Europa e politica della contigenza sul fronte interno l'Inghilterra sembra essere senza futuro. Non a caso, scricchiolando le architravi, i venti secessionisti soffiano con sempre maggiore insistenza.
Quindi come potrebbe ancora il calcio essere espressione di una nazione che ha perso la propria identità?
Non è un caso che il tema portante dell'ultimo James Bond, da sempre simbolo dello stato dell'arte della condizione umana d'oltremanica, sia proprio un insistente richiamo al "back to the roots", al ritorno alle origini, per quanto misere e laide, al bulldog, al rifiuto della tecnologia. Anche la cultura più popolare che ci sia sembra esprimere questa esigenza di ritrovare la propria natura, di tornare al proprio skyfall, per sconfiggere una minaccia che non viene più dall'esterno, ma è stata cresciuta e alimentata dalla stessa società inglese.
Difficile prevedere cosa succederà, quello che è certo è che non vedremo più il calcio inglese di una volta, ma vedremo sempre più magliette dal Manchester City ad Honk Kong e Dubai e, oggi, un Febbre a 90° non lo scriverebbe più nessuno.
Difficile prevedere cosa succederà, quello che è certo è che non vedremo più il calcio inglese di una volta, ma vedremo sempre più magliette dal Manchester City ad Honk Kong e Dubai e, oggi, un Febbre a 90° non lo scriverebbe più nessuno.