Sottotitolo: terzo di una serie di articoli a contenuto, o sfondo, metafisico, in questo caso talmente austero, à la Dardenne, da non essere corredato neanche da una foto (gli altri due: sull'identità calcistica e sullo giocare bene).
Quando eravamo piccoli (non è il caso di indagare fino a quando ci siamo considerati tali, e quindi fino a quando abbiamo messo in atto questo test) avevamo sviluppato un metodo molto attendibile, tra il serio e il faceto, per valutare l'attitudine e la sensualità con cui le nostre amiche praticavano una certa attività amatoria. Il test - e mi sorprenderebbe che non fosse noto ai più, trattandosi di un test diffuso e applicato sull'intero territorio nazionale (la prima volta me ne parlarono dei ragazzi di Livorno su un'isola corsa) - consisteva nel far pronunciare alla ragazza (generalmente una compagna di classe con labbra generose), chiedendole di scandire bene le sillabe, il vocabolo onomatopeico e malcelatamente allusivo "ovolollo". Osservando con attenzione il movimento labiale e mandibolare, composto da due atti ben definiti (l'ovo, con la bocca che si dispone come un tubo e le labbra che si inarcano, e poi il lollo, con la bocca che si rilassa e la lingua che dà due colpetti sul palato superiore), potevamo dedurre con discreta precisione (almeno così immaginavamo) se la nostra amica ci sapeva fare, se aveva esperienza, se brancolava nel buio ovvero se rifiutava tale pratica. A furia di ripetere questo esperimento capivamo al volo il soggetto che avevamo davanti e potevamo anche avventurarci in catalogazioni parascientifiche. Il problema tuttavia era che, a fronte di tante rilevazioni, non avevamo mai la possibilità di verificare i nostri dati sul campo, e quindi non avevamo mai la controprova del nostro talento come osservatori (e quindi del talento delle nostre amiche).
Mi chiedo allora come facciano gli osservatori di calcio a rendersi conto, magari in pochi minuti, del valore di un calciatore. Mi chiedo se anche loro utilizzino dei trucchi come il nostro ovolollo. Lasciamo perdere i campioni, quelli che, nel video che li ritrae da ragazzini alti un metro, già sono più forti di tutti i compagni e gli avversari messi insieme. Quelli sono buoni tutti a riconoscerli, e vanno presi al volo (per la verità, ci sono pure casi di cazzate incredibili in questo senso, come capitò con Francescoli ad esempio). In altri termini, non ci sogneremmo mai di sottoporre Nicole Minetti alla prova ovolollo (para què?). Ma tutti gli altri, i giocatori cioè normali, buoni, anche forti, come si riconoscono e si distinguono rispetto a compagni di squadra ugualmente normali, buoni, anche forti?
Dicono i giornali che la Roma ha comprato un tale Marquinho, centrocampista brasiliano della Fluminense. Dicono i giornali che è una mezz'ala sinistra con un gran tocco di palla. Senza averlo mai visto giocare, sono pronto a scommettere che in Brasile, in ogni squadra delle prime cinque divisioni, c'è almeno una mezz'ala sinistra con un gran tocco di palla. Che in Brasile, come dai un calcio a una pietra, escono fuori cento Marquinho. Al netto di ogni questione economica, di immagine, di impicci, e quindi ipotizzando (per quanto - lo riconosco - sia un'ipotesi irrealistica) che gli acquisti vengano effettuati solo su base tecnica, ci dev'essere un metodo per capire che proprio quella mezz'ala sinistra, e non quella che gioca nell'altra squadra o nell'altra ancora, è il più forte nel suo ruolo o, meglio, il più adatto a giocare nella squadra di cui si è osservatore o direttore sportivo.
Si dirà: in parte è intuito, in parte è esperienza, in parte è statistica. Diciamo anche che le tre parti sono equivalenti (33,3%). Per intuito, quella sorta di "fede animale" (per dirla alla Santayana) che mi permette di credere senza aver bisogno di una una conferma, riconosco subito, dopo un paio di movimenti ben fatti e di palloni ben giocati, che quella mezz'ala ha delle buone qualità. Per esperienza, quella stratificazione di episodi che mi hanno portato fino a lì, so che non tutti sono capaci di fare quelle giocate a quel livello. Per statistica, quella roba inutile che serve ai commentatori televisivi per sfidare ogni domenica Jacques de La Palice, posso verificare tutte le informazioni e i dati sul ragazzo e ricavare un quadro di insieme sulle sue stagioni passate e prevedere il possibile rendimento futuro. Perfetto, ma non (mi) basta. Per telefonare al presidente e dirgli di preparare l'assegno, per non fare una figura di merda davanti a 60 mila persone, ho bisogno di una scintilla in più, di sentire sotto la pelle (e non solo nel cervello) l'eccitazione per ciò che il calciatore in questione potrà regalarmi con la maglia della squadra per cui lavoro. Quella scintilla, quell'emozione, quel sogno, si concentrano nello 0,1% rimasto scoperto, apparentemente una nullità, ed invece il fattore decisivo: quel fattore che non può che essere il nostro ovolollo.
Ho letto una volta di come un osservatore storico dell'Inter abbia fatto comprare Biabany. Confesso di non ricordarmi per filo e per segno l'aneddoto nè di avere sotto mano la fonte, quindi chiedo perdono per eventuali imprecisioni o invenzioni del mio Alzheimer. A Parigi per guardare un altro giocatore che gli era stato segnalato, si presenta sul campo dove si sarebbe dovuta svolgere la partita e si accorge che non c'è nessuno. Ha sbagliato l'orario ed è in anticipo di tre ore. Tanto per, chiama un informatore per sapere se, nel frattempo, può andare a visionare qualche altro ragazzo. L'amico gli dice di andare in una banlieu non lontana, dove, in mezzo ai palazzoni, si gioca una partita raffazzonata di ragazzi più o meno di strada. In particolare, gli dice di tenere d'occhio un certo centravanti. L'osservatore trova questo campo improvvisato nella polvere, trova i palazzoni, trova la partita, ma non trova - o magari non riconosce - questo centravanti. Tuttavia, nota un'aletta molto rapida che appare molto più forte degli altri, che a suon di dribbling e gol gli fa scattare una molla. Alla fine della partita ci va a parlare, convince i cugini, e gli fa firmare un contratto da professionista sul cofano di una macchina. Qualcuno dirà che Biabiany si è rivelato una mezza sega. Può anche essere, ma per come è stato preso, è stato comunque un affare. Un affare il cui merito va tutto al vecchio osservatore. In un'ottica più professionale (calciatori che giocano su campi veri, in campionati ufficiali, e non per strada) suppongo sia questo il famoso metodo Udinese.
Altre volte il procedimento è più complesso. Penso alla videoteca del figlio di Gaucci a Perugia, quasi un youtube ante litteram. Milioni di ore di filmati di giocatori assurdi, visionati all'infinito fino a convincersi che sì, quel cinese, quel coreano o quell'iraniano non sono affatto male (si è visto). Ma la domanda non cambia, e rimane: come si capisce se è un giocatore è veramente forte, al di là del commento che qualsiasi calciofilo mediamente competente (vale a dire tutti i frequentatori di questo blog) potrebbe fare? Qual è il modo per sentire di aver fatto la scelta giusta? Qual è la tecnica che utilizzano i maestri del calciomercato? In attesa di scoprirlo, mi auguro almeno che Sabatini si sia ricordato di far pronunciare ovolollo a questo Marquinho. Voglio ancora pensare che si tratta di un metodo infallibile.