domenica 10 giugno 2012

Literaria: "Doriani d'Argentina". Bentornata Samp!


"Doriani d'Argentina", di Alberto Facchinetti, Cinquemarzo edizioni
Ho aspettato molto, moltissimo per parlare di "Doriani d'Argentina" (edizioni Cinquemarzo, 2011), un curioso e divertente libro che Alberto Facchinetti, giovane e brillante autore veneziano, nonché persona di rara pazienza, ha voluto dedicare a tutti i calciatori argentini che hanno giocato nella Sampdoria. Ho aspettato in particolare un fatto che davo per ineluttabile, vale a dire il ritorno della Sampdoria in serie A, certificato ieri dal gol di Pozzi nel ritorno dei play-off contro il Varese. Lo davo per ineluttabile nonostante la travagliata stagione dei doriani, che hanno cambiato allenatore e mezza squadra in corsa, e che però hanno avuto la stessa pazienza dell'autore e sono rimasti attaccati fino in fondo al treno dei play-off, dove poi hanno messo sul piatto della bilancia la loro maggiore esperienza (qualcuno potrà obiettare che erano altre le squadre che meritavano di salire, su tutte il Verona di Juan Ignacio Gomez Taleb, per me il più forte dell'intera Serie B). D'altronde la Samp doveva pagare la sciagurata gestione dell'anno precedente e la nemesi di passare dalla Champions League all'Albinoleffe in meno di dodici mesi, peraltro a causa di un gol di Boselli al 96° di un derby, è una punizione sufficiente. Gli dei saranno stati sazi. Altro non si può augurare agli amici genovesi, e quindi sono felice che la maglietta più bella del nostro calcio torni a mostrarsi nella massima serie.

L'idea del libro di Facchinetti è molto semplice e, allo stesso tempo, geniale, perfettamente in linea con le piccole depravazioni e le manie classificatorie che contraddistinguono gli autori (vero Nesat?) e i lettori di questo blog: raccontare in un pugno di pagine la vita, non solo calcistica, di tutti e diciassette gli argentini che hanno giocato con la maglia della Sampdoria. In questo circo Barnum c'è di tutto: campioni e carneadi, idoli della curva e bidoni. Alberto, con un invidiabile lavoro bibliografico e di interviste, ha ricostruito la storia di ciascuno di loro, dedicando lo stesso spazio e la stessa passione, per dire, a fenomeni come Juan Sebastian Veròn e pippe al sugo come Jonathan Pablo Bottinelli. Perchè non c'è giudizio nelle parole di Alberto, tutti sono sullo stesso piano, ognuno ha contribuito a suo modo a forgiare l'immaginario collettivo blucerchiato e tutti meritano quindi lo stesso trattamento disincantato e innamorato. Per questo il libro mi è piaciuto, perchè è un libro di dettagli, di storie al margine, di momenti di vita e di calcio che altrimenti sarebbero andati persi, di gente che non ha mai vinto nulla, di nostalgia e vecchie bandiere che riposano negli armadi di case passate ai figli e poi ai nipoti.

“Da un po’ di tempo cercavo un’idea per scrivere un libro, quando sono incappato, diciamo casualmente, nella lista di tutti gli argentini che hanno giocato nella Sampdoria", mi ha risposto Alberto, quando gli ho chiesto come gli è venuta in mente la strampalata idea di scrivere questo libro. "La maggior parte li conoscevo, magari solo di nome. Di altri invece ignoravo persino la loro esistenza. Ho così iniziato una fase di ricerca: ho studiato le loro carriere e le loro vite, per quanto mi è stato possibile. Scoprendo che tutti, dai primi arrivati nel 1947 a quelli più recenti, avevano una bella storia. E così mi sono chiesto, perché non raccontarle tutte? L’ho fatto, e Doriani d’Argentina ne è il risultato". 

La Samp '48-'49, in cui giocavano Curti e Lorenzo
Chi sono dunque questi argentini? Confesso che io non li conoscevo tuttti. I nomi però sono tutti bellissimi. Si parte dal 1947 con il trio composto da Oscar Lucas Garro, Juan Francisco Calicho e Carlos Bello, che insieme non riescono a scendere in campo più di sette volte. Peraltro l'anno dopo Calicho (che più verosimilmente è un personaggio inventato da Soriano, ma Alberto giura che è esistito) andò all'Empoli e segnò quasi trenta gol. Il più talentuoso era Bello che però non riuscì a sfondare neanche nel Sestri Levante e nell'Arsenal Taranto (sic), e quindi proprio un fenomeno non doveva essere. Meteora fu pure José Osvaldo Curti, che giocò solo la stagione '48-'49; i vecchi tifosi blucerchiati lo ricordano però per aver aperto e chiuso le danze in un derby vinto 5 a 1, così come a Medellìn lo ricordano perchè, quando allenava la squadra locale, indossava sempre e solo una camicia gialla. Ben più noto - soprattutto a Roma, dove allenò entrambe le squadre della capitale - è Juan Carlos Lorenzo, l'Hombre Orquesta che si insediò nel centrocampo della Samp del '49, che l'aveva prelevato dal Boca. Come giocatore però non lasciò grandi ricordi, almeno non pari a quelli che regalò ai posteri come allenatore. Maniaco superstizioso, quando le sue squadre perdevano bruciava maglie e scarpini indossate dai giocatori (peraltro col fuoco faceva anche altri riti propiziatori negli spogliatoi prima delle partite). Alla Roma se lo ricordano per la "colletta del Sistina" con cui tentò di salvare la società dal disastro finanziario. Alla Lazio costruì le fondamenta della squadra che Maestrelli portò poi al trionfo (prima di tornarci dopo oltre dieci anni per costruire le fondamenta della serie B...). Memorabili le direttive impartite ai suoi calciatori: ai difensori chiedeva di ungersi le mani di pomata e quindi di sfiorare gli occhi degli attaccanti per impedire loro di vedere, oppure ordinava di mettersi una foto della moglie dell'attaccante avversario nei calzettoni e di mostrargliela durante il match per innervosirlo. Lorenzo ebbe la giusta ricompensa di tanta eccentricità venendo citato - lui davvero - da Soriano in numerosi suoi scritti, nonchè interpretato da Leo Gullotta nel film "Mezzo destro, mezzo sinistro" (l'indimenticable Juan Carlos Fulgencio, "el pernacho de uno lo pagan todos"). Nel cuore dei tifosi sampdoriani sono rimasti anche Mario Sabatella, buona ala sinistra che arrivò nel '49 dal River Plate, e Humberto Jorge Rosa, centrocampista che però diventò davvero grande solo dopo il trasferimento al Padova di Nereo Rocco nel '56.

Facciamo un break. Qualcuno si chiederà: ok, stupendo, ma qual è il leitmotiv di queste storie? Cosa rende speciale la storia degli argentini - e non quella, ad esempio, degli inglesi o dei camerunesi - della Samp? Secondo l'autore, il senso del libro, il collegamento tra la Sampdoria e l'Argentina, l'ha trovato lo scrittore Massimo Raffaeli nell'introduzione, che parla di "affinità elettiva tra gli emigrati genovesi che sbarcarono alla foce del Rio della Plata e chi porta sulla maglia lo stemma orgoglioso del Baciccia, l'intrepido lupo di mare con tanto di berretto e di pipa" facendo riferimento al talento prodigato, sperperato, quasi in maniera autolesionista; alla consapevolezza che c'è più nobiltà nella sconfitta che nella vittoria, una vera e propria "abitudine alla sconfitta" sviluppata da entrambi i popoli. Effettivamente le storie dei doriani d'Argentina sono tutte più o meno sfortunate, anche quando sono vittoriose c'è sempre un velo di malinconia. Comunque, sia come sia, a me il libro piace a prescindere dal trovargli un senso, e anzi spero che Alberto continui magari con volumi dedicati agli estoni del Fortuna Sittard e ai brasiliani del Teramo.

Tito Cucchiaroni
La vera figura leggenda del libro è Ernesto Bernando Cucchiaroni, per tutti semplicemente Tito. Ala imprendibile che, nonostante fosse a fine carriera, fece vivere alcune grandi stagioni ai tifosi all'inizio degli anni sessanta. Tito fu così amato che nel 1969 parte del tifo doriano - come molti già sanno - aveva già intitolato a suo nome il primo gruppo Ultras nato in Italia. Leggendaria fu anche la sua morte prematura, avvenuta in circostanze misteriose quando aveva appena 44 anni (infarto in tribuna, malore in campo, incidente stradale, non si è mai capito, il nostro amico Gippis potrebbe dedicargli un documentario...). Tito Cucchiaroni è anche il doriano d'argentina preferito da Alberto Facchinetti. "Per questo libro", mi racconta, "ho intervistato parecchie persone di fede blucerchiata, ragazzini negli anni Sessanta, e tutti ricordano in campo la sua pelata che lo facevano apparire più vecchio di quanto fosse.Tito deve essere stato una gran bella persona, oltre che un ottimo giocatore. Amato tanto a Genova, quanto nel suo paese natale nella provincia argentina di Misiones”. Anche Francisco Ramòn Lojacono regalò solo gli sgoccioli della sua carriera alla Samp, dove arrivò - bruciato da una vita di eccessi, soprattutto quelli della Dolce Vita romana (fu molto paparazzata la sua torrida storia d'amore con Claudia Mori) - nel '64 quando ormai era "grasso e semi-immobile". Una bella pippa fu Luis César Vicente Carniglia Lòpez, che se arrivò a giocare in serie A fu solo perchè era il figlio di Carniglia sr., noto allenatore degli anni sessanta. Gli anni settanta furono inaugurati dalla figura più ricorrente della storia degli argentini sampdoriani: il numero 10 sulla carta fenomenale e in pratica una meteora. Il primo della lista fu Dante Mircoli, anche detto me dole perchè ogni giorno ne aveva una. Di lui si ricorda soltanto una splendida punizione contro il Varese (corsi e ricorsi storici!). Vent'anni dopo ci furono l'indimenticabile Angel Alejandro Morales, detto Matute, cui un po' improvvidamente el flaco Menotti assegnò la maglietta e le responsabilità di Roberto Mancini (Menotti lo faceva giocare dietro a Montella e Klinsmann, ma Morales non ingranò fino a un gol spettacolare contro la Juve; peccato che poi l'allenatore di Rosario venne esonerato e Matute con Boskov non giocò mai più), e soprattutto Ariel Arnaldo Ortega, il burrito (qualcuno ha già spiegato il perchè del soprannome, vedasi alla voce "tubo nero"), erede di Maradona solo nei vizi (penso possa dirsi, tanto è fatto notorio, che Ortega fosse un'alcolista a tempo pieno), che come ha scritto Matteo Dotto di Mediaset "se avesse condotto una vita normale, neppure professionale, sarebbe potuto diventare un vero fenomeno; peccato che era di un'ignoranza e di un'indolenza spaventose, e l'alcol ha fatto il resto". Elegante come sempre anche quello che di lui disse Jorge Valdano, quando commentò che a frenarlo fu "quel virus tipicamente argentino capace di convincere i campioni che la pigrizia conferisca prestigio". Non c'è bisogno di essere Nostradamus per immaginare che Ortega è uno degli idoli di questo blog...

Altro - ultimo - intermezzo, prima di finire con i calciatori più vicini alla nostra memoria. Per me la cosa più affascinante del libro non risiede nel testo, ma nel contesto. L'autore del libro, infatti, il nostro amico Alberto, non è un tifoso sampdoriano, anzi, non è neanche genovese! Gli ho chiesto lumi anche su questo aspetto bizzarro. “Io abito in un paesello di campagna, tra Padova e Venezia, in provincia di quest’ultima città", mi ha spiegato, "e non so neanche io perché tifo Samp. E' una cosa che un po’ mi sfugge. Ricordo soltanto che nella seconda metà degli anni ottanta (credo fosse il 1987 o il 1988, io sono invece dell’ottobre ’82), papà stava guardando una partita in tv tra una squadra con una maglia bellissima e un’altra con una maglia normale. Il giorno dopo gli chiesi il risultato. Vincemmo noi, ed è stato quello il mio battessimo blucerchiato. Ci tengo tuttavia a dire che per il Doria nutro un autentico affetto, e questo libro è il mio piccolo omaggio, ma che non mi considero un tifoso fanatico”. Queste parole valgono più di un premio Pulitzer per quanto mi riguarda; alla faccia dei pennivendoli professionisti, mi viene da dire. Questo è amore, cazzo! 

Gastòn Còrdoba
Gli ultimi calciatori sono anche i più vicini ai nostri anni, perchè ci siamo scambiati le figurine e li abbiamo usati alla playstation. C'è il giovanissimo Juan Sebastian Veròn, arrivato nel '96 a Marassi dove ancora riecheggia il mitico coro "Veròn Veròn, tira la bomba, Veròn Veròn" sulle notte de El Porompompero; probabilmente uno dei giocatori più forti ad aver mai militato nella compagine blucerchiata. C'è Fernando Daniel Gastòn Còrdoba, la cui stagione 1998-1999 può riassumersi in due dati: una presenza in campionato e una notte in questura (per aver insultato, insieme a Ortega e Catè, dei poliziotti che li avevano fermati perchè guidavano ubriachi nel centro storico); peraltro poi Còrdoba ha vinto pure una Copa Libertadores da titolare con l'Olimpia de Asunciòn. C'è Hugo Armando Campagnaro, oggi colonna del Napoli e dei manuali di diritto penale in tema di omicidio colposo, c'è il suo collega di difesa Jonathan Pablo Bottinelli, di cui si ricorda un gol liberatorio di petto in Coppa Uefa contro il Siviglia e null'altro, e c'è infine Fernando Damiàn Tissone, ancora di proprietà della Samp, anche se quest'anno ha giocato in prestito al Maiorca.

Arrivati in fondo a questa divertente carrellata, mi sento di chiedere a Facchinetti quale altro argentino gli sarebbe piaciuto vedere giocare nella Samp. "Vediamo", prende tempo. "Forse mi sarebbe piaciuto che nella storia della Samp fosse entrato, magari anche di striscio, il grande Omar Sivori. Che avesse speso gli ultimi anni di carriera con  addosso la maglia più bella al mondo. Me lo immagino, nella fase declinante della sua carriera, a deliziare il pubblico con i suoi calzettoni sempre abbassati”. Certo che sarebbe stata una grande coppia con Tito Cucchiaroni. Non mi rimane altro da dire se non ricordare che il libro si trova in tutti i migliori negozi on-line e che per qualunque cosa, non solo per parlare dei doriani d'Argentina, il nostro amico Alberto Facchinetti (che peraltro è già in libreria con un nuovo libro che non vediamo l'ora di lggere) è raggiungibile all’indirizzo email [email protected]. Ah, dimenticavo: bentornata Samp!!

2 commenti:

  1. Post meraviglioso.


    In questa partita c'è tutto: Morales, il cobra Tovalieri, Del Piero sconcertante, macellaio Montero, il freddissimo Peruzzi, moto perpetuo Pippo Inzaghi. http://www.youtube.com/watch?v=fkllhC98TO8

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  2. stupendo....idea geniale.......

    quandosi parla di Ariel Ortega
    penso sempre a questo goal.....

    http://www.youtube.com/watch?v=wBhosaZZXgc

    Le due genovesi non dovrebbero mai retrocedere.... il derby della lanterna è esaltante....

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