venerdì 29 aprile 2011
Inglourious Glories, Ch. VI, Aberdeen Football Club
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giovedì 28 aprile 2011
Literaria. "La passione del calcio". Incontro con Franz Krauspenhaar
Roma, giovedì 28 aprile, ore 19:30 Libreria Cafè Books & Brunch Via Saluzzo 53 |
"...una partita di calcio avviene in forma di dramma, ma sopravvive come epos. Non c'è nulla di più divertente di una partita di calcio e non c'è nulla di più noioso di una partita di calcio di cui si conosca già il risultato....Una partita di calcio si regge sulla sua peculiare forza drammatica, ma solo fino al fischio finale. Dopodiché diventa racconto, diventa epos, diventa mito".Ecco questo paradosso mi sembra sia ben chiaro a Krauspenhaar che nel suo libro ci racconta la storia di una passione, quella per il calcio, dall'inizio (gli anni delle figurine Panini a scuola, dei compagni di banco con gli occhiali, degli zii meridionali che lo portavano allo stadio, delle prime trasferte con i panini preparati dalla mamma e divorati dagli ultras sul treno, della cotta per l'Inter e dell'amore per il Milan, gli anni di Sivori e Sarti, Rivera e Calloni) alla fine (il calcio scommesse e la serie B, Berlusconi e la tradizione violata, il Milan che diventa "un gigante drogato", il mundial vissuto da sentinella in caserma, e poi la volgarità del calcio moderno, la noia sudafricana, interrotta solo da una breve eiaculazione spagnola), e il suo racconto quindi è dramma (gli anni della scoperta, del calcio vissuto) e epos (gli anni del disamore, del calcio raccontato, della maturità, tanto da fargli dire che il calcio "è stata una parentesi", perchè "la nostra vita è fatta di ben altro") allo stesso tempo, raccontato con leggerezza e compassione, nostalgia e umorismo (un incipit di un capitolo che sembra rubato a uno dei racconti di Superwoobinda di Aldo Nove fa così "Quand'ero ragazzo andavo matto per le telenovelas brasiliane". Che meraviglia!).
Disse una volta l'allenatore tedesco Sepp Herberger che "la gente va a vedere una partita di calcio perchè non sa come finirà", ed è per questo motivo che è un piacere leggere il libro di Franz Krauspenhaar, e un dovere partecipare all'incontro di stasera.
martedì 26 aprile 2011
Literaria: "Fuori campo". Cronaca tragicomica dell'Italia attraverso il calcio
Camera con vista su stadio italiano |
"Cassano, poeta, bisogna goderselo finché dura. Per gli amanti di cose meno effimere, nella Roma c'è anche Francesco Totti, che, al momento, è il miglior calciatore al mondo. Anche se non è bello far dichiarazioni di queste proporzioni in modo così brusco".
Il lettore italiano crede di non imparare nulla di nuovo, perchè, soprattutto il lettore-tifoso italiano, tutte quelle storie le ha già vissute in prima persona; eppure, ed in questo a mio parere risiede l'interesse del libro, che consiglio vivamente di leggere, anche solo come bagno di umiltà, è come se tutte quelle storie il lettore-tifoso le rivivesse nuovamente, ma con un altro paio di occhiali (come quelli sulla copertina), da un'altra prospettiva, facendo attenzione a diverse sfumature. Ricordo -vado proprio a memoria- che in chiusura di un libro su come Proust può cambiarci la vita il finissimo scrittore svizzero-inglese Alain De Botton scriveva che noi non dovremmo andare nei luoghi della Recherche per guardarli con i nostri occhi, ma dovremmo guardare al nostro mondo con gli occhi di Proust, è quella la vera ricompensa. Analogamente, i brevi affreschi di Gonzàlez ci servono a ripensare ai nostri anni calcistici, vissuti con l'esasperazione del tifoso, con gli occhi di un osservatore esterno, di un turista, di un ospite, di uno spagnolo.
"Allo stadio Olimpico può succedere di tutto. E' diventato uno stadio senza legge. Il tipo che ha feirto alla testa l'arbitro Frisk nel primo incontro europeo non è mai stato identificato, e questo non fa che rafforzare la sensazione di impunità di chi oltrepassa le porte di un recinto in cui sussiste un obelisco con il nome di Benito Mussolini. Durante il derby di giovedì scorso qualcuno ha tirato in campo un petardo che ha stordito Totti e l'arbitro. Non sono stati presi provvedimenti. Non sono stati presi provvedimenti neanche l'anno scorso, quando gli ultras di entrambe le fazioni si sono messi d'accordo per obbligare a sospendere la partita, come dimostrazione del fatto che lì erano loro a comandare, e non certo l'arbitro nè la polizia. In realtà, qualcosa è successo, perché sia la Roma che la Lazio quest'anno hanno subito sanzioni a livello europeo. Le sanzioni, però, consolidano quei sentimenti di ingiustizia e persecuzione che, a loro volta, rafforzano i fascisti".
domenica 24 aprile 2011
Il re delle scommesse
Ieri ho deciso di ripetermi |
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mercoledì 20 aprile 2011
Italo Che Fece L’Italia - Uno sceneggiato televisivo (Parte 2)
EPISODIO III
MILANO: PER UN PUGNO DI DOLLARI
E’ il 1959.. E l’Italia grassa e festante (la crescita sale oltre il 6%) canta Nel Blu Dipinto Di Blu.. la famiglia, mero luogo delle indagini campionarie dell’Istat e non ancora sacro fulcro della civiltà occidentale, si riunisce come sempre intorno alla merce: le novità degli elettrodomestici e dell’automobile.. E’ il 1959.. E Italo Allodi (che lascia Mantova l’anno prima dell’arrivo dei virgiliani in serie A, ma il dado l’ha tratto lui) ed Helenio Herrrera (un anno dopo) approdano all’Inter.. E il calcio non sarà mai più come prima.. HH lo rivoluziona dal punto di vista tattico, atletico e del linguaggio: abbandona il WM e, spostando Picchi dalla fascia destra al ruolo di libero, inventa quello che sarà poi considerato il marchio di fabbrica dell’italico pallone: il catenaccio.. concepisce l’idea del ritiro prestagionale e contribuisce a creare il cosiddetto giornalismo sportivo con scoppiettanti conferenze stampa in cui parla di arbitri, guardalinee, avversari, politica, complotti e sesso degli angeli.. Sembra copiare in tutto e per tutto comportamenti di quel dandy di Setubal che gli succederà alla guida dei nerazzurri.. Herrera ha plasmato la compagine nerazzurra con la sua lungimirante (e lusitana) tattica, tutto è pronto per il trionfo.. eppure..
Eppure nel primo campionato della strana coppia Allodi-Herrera non tutto va come previsto.. Alla 28a giornata del campionato di Serie A 1959-60, durante lo scontro diretto al Comunale di Torino tra l’Inter seconda e la Juve capolista, c’è un’invasione di campo dei tifosi bianconeri.. la partita viene sospesa, e viene assegnata all’Internazionale la vittoria per 0-2 a tavolino.. Ma la CAF, su richiesta della Juve e su pressione di Umberto Agnelli, allora presidente federale, annulla lo 0-2 ed ordina la ripetizione della partita.. Il 19 giugno, giorno del replay, l’Inter prende la clamorosa decisione di schierare i ragazzini della Primavera, viene sconfitta 9-1 (gol della bandiera, e del destino, di un giovane Sandro Mazzola su rigore..) ma lancia un preciso avvertimento: il campionato è falsato, così non vale neanche la pena di giocarlo.. Di questo si accorge il giovane Allodi, che capisce che è un problema suo, HH non può farci niente, non è una questione di moduli, di tattica sul campo.. è una questione di potere, di strategia nei corridoi.. Ma il potere, nelle società civili, civiche e burocratiche di Occidente, stati di eccezione permanenti, lo si raggiunge solamente attraverso la corruzione, pars construens del potere stesso.. Ed allora quel dandy postrisorgimentale di Italo Allodi, che vanta, a suo dire, antenati Garibaldini, capisce che per fare l’Italia deve svincolarsi dal potere della cassaintegrazione della FIAT e costruire anche lui la sua personale Autostrada del Sole della corruzione.. con tutte le sue incomprensibili diramazioni e le sue strane deviazioni..
Gli imperscrutabili e rizomatici arabeschi politico-amministrativi messi in atto da Allodi, che oramai in società ha mano libera e potere assoluto, unite alle indubbie competenze calcistiche di Herrera e all’entusiasmo e ai soldi del munifico patron Angelo Moratti, portano a Milano da Barcellona per una cifra record e fuori mercato il pallone d’oro Suarez.. che s’inserisce perfettamente nel tessuto della squadra composta da campioni affermati come Mariolino Corso e Armando Picchi e giovani di belle speranze provenienti dal settore giovanile come Bedin, Facchetti e Mazzola.. Ma l’arrivo di Suarez, che resta fuori infortunato per gran parte della stagione e la promozione in prima squadra dei giovani talenti della primavera nerazzurra non bastano: e nel campionato 1961-62 - quello della Milano templare e rosacrociata dei centravanti inglesi - l’Inter di Gerry Hitchens arriva seconda a meno 5 dal Milan (che trova i gol di Altafini per sostituire quelli del mitico Jimmy Graves, che scappa da Milano dopo 10 reti nelle prime 10 partite per divergenze con il tecnico Nereo Rocco.. o così si disse..) E’ nella stagione successiva che tutto cambia.. In estate arrivano Jair e Burgnich e a primavera, il 5 maggio del 1963 l’Inter viene sconfitta all’Olimpico (e come sempre la storia ci obbliga a ripeterci: e i nomi, i luoghi e le facce cominciano a sovrapporsi in un eterno presente di corsi e ricorsi storici..) ma dalla Roma invece che dalla Lazio come nel 5 maggio 2002, e diventa quindi campione d’Italia con 4 punti di vantaggio sulla Juve.. L’Internazionale FC vince l’ottavo scudetto della sua storia, Italo Allodi il primo.. Gli dei hanno deliberato: Italo può fare l’Italia, può nascere la Grande Inter..
EPISODIO IV
IMBERSAGO: PER QUALCHE DOLLARO IN PIU’
Ma Allodi, che si è sempre piccato di essere stato partigiano e comunista in un’Italia votata al miracolo economico e al miracolo di San Gennaro, capisce che se si accontenta del volere degli dei, capricciosi e poco avvezzi a mantenere le promesse, il giocattolo può smembrarsi in breve tempo.. dopo avere stretto il suo degasperiano pugno di dollari, per avere qualche dollaro in più, che non sia sempre quello sporco di petrolio elargito dal munifico Moratti, deve fare qualcosa anche lui.. Anzi, qualcosa lo ha già fatto.. pazientemente ha già tessuto la sua tela: ha stretto alleanze a livello nazionale ed internazionale, ha fatto promesse, siglato patti, firmato accordi, ha leccato il dolce miele e bevuto l’amaro calice, ha adulato dove ha potuto e minacciato dove non è riuscito.. E così, in una notte di novembre, nella villa della famiglia Moratti ad Imbersago - riva destra di un non ancora putrido e marcescente fiume Adda, pronto a gettarsi inutilmente in quel braccio di quell’inutile lago, come inutile è il libro che lo celebra - in una notte di quelle in cui le pere butirro maturano repentinamente, Italo Allodi si accascia sulla poltrona davanti al fuoco e sorride..
E’ il 1963.. E Occidente è diviso in blocchi: se di uno non si sa nulla, e chi sa non parla, nell’altro accadono cose strane.. Un uomo nero osa dire che ha un sogno, anni dopo verrà ucciso a sangue freddo e chiamato terrorista.. Un uomo bianco invade l’Indocina, poi viene assassinato dalla mafia per non essere riuscito a invadere Cuba e riprendersi i casinò de La Habana, anni dopo verrà chiamato pacifista.. E’ il 1963.. E se in Vaticano viene eletto Paolo VI, in Italia il Molise diventa regione autonoma (non si sa se per l’intervento di Oltretevere o meno..) E’ il 1963.. E mentre la colonna sonora è il Quando Quando Quando di Tony Renis che vince il Festivalbar, il Milan è la prima società italiana che vince la Coppa Campioni.. doppietta di Altafini a Wembley contro il campione in carica Benfica dei mozambicani Eusebio e Mario Coluna.. E’ una sera di novembre del 1963 e Italo Allodi, seduto su una poltrona nella villa dei Moratti a Imbersago, sorride: sta sfogliando la Fenomenologia di Mike Buongiorno, in cui un accademico amante della buona tavola sostiene che il successo del presentatore televisivo sia dovuto alla sua mediocrità.. sorride perché quel pacioso professore non sa che dietro quella mediocrità c’è un Piano, e se ne accorgerà troppo tardi.. Ma lui sa, lui è uno che del Piano fa parte, lui il Piano lo disegna.. Lui è un ragno: ha tessuto la tela, ora è il momento di raccogliere le mosche che ci sono rimaste impigliate..
Nei cinque anni seguenti l’armata nerazzurra a quel primo scudetto vinto ne aggiunge altri 2.. Nel 1964-65, all’ultima giornata con 3 punti sul Milan arriva il nono, e nel 1965-66, con 4 punti Bologna, arriva il decimo, quello della stella.. l’Inter diventa la beneamata, acquista tifosi in ogni regione della penisola (pure in Molise..) e nel resto di Europa.. mentre a Milano - grazie al romanzo popolare del solito Gioanbrerafucarlo che riprende una distinzione in auge dagli anni venti - i tifosi nerazzurri bottegai e appartenenti alla piccola borghesia indigena sono chiamati bauscia, in opposizione a quelli milanisti, proletari, immigrati, ed operai, che son detti i cacciavit.. Il giovane burino della bassa padania Alan Ladd, quello bello come un attore del cinema, quello che è uscito dalla porta dello spogliatoio per rientrare dalla finestra degli uffici dirigenziali, diventa in breve il dirigente più vincente della storia del calcio italiano.. Italo comincia a fare l’Italia, partendo dalla costruzione di una squadra magnifica.. la Grande Inter che diventa una filastrocca - Sarti, Burgnich, Facchetti (respiro corto) Bedin, Guarneri e Picchi (respiro lungo) Jair, Mazzola, Domenghini, Suarez e Corso - ad uso e consumo di generazioni future di interisti e non solo.. Poi qualcosa si rompe negli equilibri interni, Herrera va ad allenare la nazionale spagnola ed Allodi, quando Moratti lascia la presidenza a Fraizzoli, emigra per altri lidi.. Anni dopo, di quei meravigliosi anni sessanta meneghini alla corte del petroliere nerazzurro, Allodi ricorda “Per l’Inter di Moratti avevo bloccato Pelé. Era già tutto fatto, ma il presidente si tirò indietro. L'Italia viveva momenti di tensione per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici e Moratti non volle far la figura del miliardario innamorato del suo giocattolo..” Non solo è sempre stato in anticipo sui tempi precorrendo e percorrendo il futuro, ma ha anche sempre voluto stravincere quel dandy postrisorgimentale che da Asiago era partito per la conquista dell’Italia.. e questo in futuro gli costerà molto.. Perché per unificare la penisola, la storia insegna, bisogna radere al suolo Bronte..
EPISODIO V
LONDRA: IL PASSANTE CHE IN QUELLA GRIGIA MATTINA
E’ il 2003.. E quaranta anni esatti dopo quell’uomo nero che aveva avuto un sogno, un altro uomo nero, diventato il primo segretario di stato di colore degli Stati Uniti, si presenta davanti al consiglio di sicurezza dell’Onu con una boccetta piena di polvere bianca.. dice che è antracite.. Il sogno di quel primo uomo nero si è trasformato in un incubo.. E’ il 2003.. E mentre fuori da Occidente, nel mondo caotico e colorato ancora brulicante di vita e di utopia, l’ex operaio metalmeccanico Lula diventa presidente del Brasile, dentro un Occidente ormai decomposto ed in putrefazione gli ex imperi angloamericani decidono di invadere la Mesopotamia che di Occidente fu culla.. E’ l’8 novembre 2003.. E il passante che in quella grigia mattina sulla metropolitana londinese si fosse messo a sbirciare le pagine sportive del già non più sobrio e nemmeno autorevole Times, avrebbe notato un articolo di Brian Granville - giornalista sportivo molto attento alle cose italiane che già negli obituaries del Guardian (8 giugno 1999) aveva dipinto un poco lusinghiero ritratto di Italo Allodi.. Granville è andato a Budapest per cercare di parlare con Gyorgy Vadas, ottimo arbitro ungherese che il 20 aprile del 1966 diresse la semifinale di ritorno di Coppa dei Campioni tra Inter e Real Madrid.. Va infatti ricordato che la Grande Inter di Allodi ed Herrera divenne tale non solo per i 3 scudetti vinti in campo nazionale ma anche, e soprattutto, per i trionfi in campo internazionale.. Nomen omen, l’Internazionale FC vinse infatti 2 Coppe dei Campioni, nel 1964 e nel 1965 (e due Coppe Intercontinentali nel 1965 e 1966..) Nella primavera del 1966 nulla sembrava quindi in grado di impedire loro di sollevare la terza Coppa dei Campioni consecutiva.. Invece, arrivati in semifinale contro il Real, dopo l’1-0 per le merengues nella partita di andata i nerazzurri non vanno oltre il pareggio a San Siro e non riescono così a qualificarsi per la terza finale.. Una delle conseguenze di quel pareggio a San Siro è che l’arbitro ungherese Gyorgy Vadas non arbitrerà mai più.. Come mai?
Se lo è chiesto anche Brian Granville, che è andato a Budapest a chiedergli il perché.. Vadas preferisce non rispondere, lascia però a Granville l’indirizzo di un giovane giornalista ungherese, Peter Borenich, con cui ha parlato e le cui rivelazioni sono contenute nel libro Only The Ball Has A Skin, incentrato sulla corruzione nella federazione calcio ungherese fino agli anni ‘80.. E così, se la lettura della lista della lavanderia di un templare ci ha permesso di comprendere la componente esoterica del maggio parigino e ci ha avvisato che dopo Marx c’è solo aprile, se la lettura della lista degli appartenenti alla Loggia P2 ci ha aiutato a ricostruire gli ultimi trent’anni di storia politico-massmediatica del paese, grazie alla lista di nomi contenuta in un libro ungherese diventa ora possibile ricostruire la narrazione postrisorgimentale del calcio italiano.. Ritorniamo indietro al primo trionfo europeo della Grande Inter.. E’ il 27 maggio del 1964 e Italo Allodi, partito decenni orsono dai campi polverosi della Bassa Padania, porta l’Inter a sollevare la Coppa dei Campioni al Prater di Vienna: 3-1 al mitico Real Madrid.. Ma osservando bene la fotografia di quel trionfo, si può notare alle spalle del bel Alan Ladd la faccia inespressiva ed insignificante di tale Dezso Solti, un rifugiato ungherese.. Pur non avendo alcun ruolo ufficiale all’interno della società nerazzurra, Solti occupa le mansioni che oggi chiameremmo di addetto agli arbitri (Meani permettendo..) In quella Coppa Campioni 1963-64, dopo avere superato l’Everton nel primo turno con una lectio magistralis sul catenaccio impartita dal professor Herrera, dopo essersi liberati del Monaco e del Partizan Belgrado nei turni successivi grazie alle prodezze di Corso, Jair e Mazzola, l’Inter in semifinale si trova di fronte lo scoglio Borussia Dortmund.. E’ qui che entra in gioco l’addetto agli arbitri..
Dopo il 2-2 dell’andata allo Stadion Rote Erde (doppietta di Brungs per i gialloneri e gol di Mazzola e Corso per i nerazzurri), il ritorno è affidato al sapiente fischietto dello slavo Tesanic.. Le cronache dell’epoca dell’Istituto Luce raccontano come il direttore di gara decida, con patriottico e gagliardo spirito risorgimentale italico (ma perché poi, visto che era slavo?) di non espellere i picchiatori nerazzurri, soprassedendo su un violentissimo tackle di Suarez che manda in ospedale un avversario.. Le cronache più recenti di Granville e Borenich suggeriscono che l’arbitro Tesanic sia stato corrotto dal faccendiere Solti per conto di Allodi.. Fatto sta che questo discusso e discutibile arbitraggio della semifinale di ritorno contro il Borussia permette alla beneamata di vincere 2-0 (Mazzola e Jair) e di accedere alla finale al Prater di Vienna, dove trionfa contro le macerie del Real nel giorno dell’ultima partita della saeta rubia Di Stefano e del mitico Puskas.. Il 3-1 sul Real (doppietta di Mazzola e gol di Milani, in un match sempre dominato dai nerazzurri) è, come spiega l’I-Ching, il momento in cui l’inizio di ogni trionfo contiene in sé il segnale che la caduta è dietro l’angolo.. Il segnale in questo caso è la semifinale contro il Borussia.. il demiurgo l’arbitro Tesanic.. La leggenda narra che dopo quell’arbitraggio il fischietto slavo si sia guadagnato vacanze vitalizie sulle rive del Mare Adriatico pagate da Moratti.. La cronaca si affida alle confessioni di un connazionale dell’arbitro, che lo avrebbe incontrato in quell’estate del 1964 e a cui il Tesanic avrebbe confidato di essere lì a spese di un noto petroliere.. Le previsioni del tempo confermano che da quell’estate sul cielo padano e plumbeo di Asiago cominciano ad addensarsi le prime nubi nere della corruzione.. Bronte è vicina..
I riferimenti a persone, luoghi, eventi, aziende, istituzioni esistenti sono da considerarsi esclusivamente occasioni narrative e vengono qui utilizzate solo in quanto repertorio di un immaginario condiviso..
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domenica 17 aprile 2011
Breve elogio della gomina degli arbitri spagnoli
Don César Muñiz Fernández |
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venerdì 15 aprile 2011
Italo Che Fece L’Italia - Uno sceneggiato televisivo (Parte 1)
“Non mi offendo se mi accostate a lui. Anzi, sono contento: Moggi l'ho cresciuto io.”
Italo Allodi (intervistato dalla Gazzetta dello Sport - 25 giugno 1997)
“Per me sarà sempre una persona indimenticabile. Io non l'ho mai abbandonato perché è merito suo se sono nel calcio: in pratica mi ha creato. E' stato un precursore del calcio moderno.”
Luciano Moggi (nel giorno della morte di Allodi - 3 giugno 1999)
PROLOGO
NAPOLI: UNA LACRIMA SUL VISO
Lo vedi lì, piangere, in un’aula di tribunale a Napoli, mentre un sostituto procuratore della repubblica lo accusa delle peggiori nefandezze.. E allora ti chiedi.. se questo è un uomo, o è un fottutissimo truffatore.. che, avvertendo l’imminente chiusura del sipario sulla sua (fino ad allora strepitosa e straripante) carriera, mette in scena l’ultimo grande spettacolo.. Lui è stato il grande burattinaio di oltre vent’anni di calcio italiano.. Ha saputo calpestare il palcoscenico come nessun altro.. E’ sempre stato lì, a metterci la faccia, non si è mai tirato indietro, ha accettato ogni ruolo in ogni rappresentazione.. così ha costruito il suo potere.. No, non è mai stato lì, nessuno ha mai visto la sua vera faccia, era dietro le quinte a manovrare i pupi, sotto il gobbo a suggerire la battuta.. così ha costruito il suo potere.. E’ stato Talleyrand, Rasputin, Richelieu e l’occhio di Carafa.. Ha guidato il carrozzone del calcio italiano attraverso la storia, lo ha aiutato a guadare le rapide della modernità.. Lo ha diretto, condotto, influenzato.. ha deciso, stabilito, disposto, deliberato.. ha tramato, intrallazzato, condizionato, calpestato, corrotto.. Poi, come spesso accade in Italia, è stato tradito dagli amici, ed è infine caduto per mano di un giudice.. E’ stato allora, a Napoli, durante un interrogatorio, che improvvisamente il re è rimasto nudo ed è scoppiato in lacrime.. si è messo a piangere.. Se questo è un uomo o un fottutissimo truffatore starà agli dei giudicarlo.. A noi è dato solo raccontare la sua storia e pronunciare il suo nome.. No, il suo nome non è Luciano Moggi.. Il suo nome è Italo Allodi..
Ma nella nostra storia i nomi e le facce di Italo Allodi e di Luciano Moggi diverranno indistinguibili come in un labirinto di specchi.. Uguali saranno i personaggi - i calciatori, gli allenatori, i dirigenti, i faccendieri, gli arbitri, i guardalinee, i presidenti - con i quali i due hanno stretto patti di sangue, di merda e di denaro.. la merce, sempre la stessa: l’anima del calcio italiano.. Uguali saranno i luoghi dove sono ambientate le loro storie.. per entrambi l’ultima rappresentazione pubblica è avvenuta in un’aula del tribunale di Napoli.. dove hanno pianto davanti ad un pubblico ministero che stava indagando sul marcio del calcio italiano.. Eppure.. Eppure a proposito uno, Italo Allodi, la storia ha creato il mito postrisorgimentale del grande uomo che unificò il calcio italiano, di colui che inventò il ruolo del dirigente sportivo ed il calcio moderno.. Mentre a proposito dell’altro, Luciano Moggi, la cronaca ci racconta di un perfido malfattore, di un subdolo mercante disonesto che ha costretto tutti gli amici, ed erano tanti, che prima lo chiamavano amichevolmente Lucianone ad apostrofarlo poi come Lucky Luciano.. e a prenderne retroattivamente le distanze.. Ma chiunque abbia scalato anche solo alcuni dei 49 scalini che conducono alla saggezza, sa che lo Yin e lo Yang si cercano, si insinuano, si compenetrano e si mescolano.. E così, anche nella nostra storia, il padre e il figlio, il maestro e il discepolo, sono inseparabili.. loro non sono due, sono uno.. sono l’uno del potere che si fa due nelle figure archetipiche di bene e male dell’inconscio collettivo di Occidente per poi tornare a essere uno nella storia che stiamo per raccontare.. Loro non sono due, sono uno.. Come uno è stato il mezzo utilizzato, l’unico predisposto al controllo nella dialettica del potere di Occidente: la corruzione.. Come uno è stato il fine, l’unico perseguibile nella dialettica del potere di Occidente: il dominio assoluto..
Questa è la storia di Italo, il dandy postrisorgimentale che fece l’Italia del calcio.. E, come in tutte le storie, il passato si dimostrerà essere causato dagli avvenimenti del presente, e non viceversa.. Questa è la storia del calcio moderno in salsa tricolore, tra complotti internazionali e bucatini all’amatriciana, che nasce e muore l’11 di giugno del 1986, il giorno in cui Italo Allodi piange in quell’aula del tribunale di Napoli, accusato nell’inchiesta detta del Secondo Totonero di avere deciso risultati delle partite di serie A, B e C per favorire le scommesse clandestine (ché all’epoca del rampante proibizionismo socialista degli anni ’80 le scommesse erano illegali..) da un procuratore della repubblica torinese, Giuseppe Marabotto, che poi risulterà essere nei venti anni seguenti il complice delle malefatte, calcistiche e non, di Luciano Moggi.. Colui che, grazie a quel processo prenderà il posto di Allodi prima alla guida societaria del Napoli e poi al timone dell’intero calcio italiano.. Questa storia di trionfi e di cadute, di luci e di ombre, di potere e di corruzione, nasce e muore in un’aula di tribunale di Napoli in un’estate di un quarto di secolo fa: il giorno in cui il figlio uccide il padre, il discepolo supera il maestro, gli ruba le carte dall’archivio segreto, ed il carrozzone del calcio italiano può finalmente entrare nell’era del calcio spettacolare del tardo capitalismo.. Dei venti anni seguenti in cui il movimento del pallone che rotola su un campo verde, già fattosi merce nel dopoguerra, è sussunto a spettacolo conosciamo molto.. Ci è dato sapere chi sia Luciano Moggi e cosa abbia fatto.. Ma chi era Italo Allodi?
EPISODIO I
BASSA PADANIA: BURN BABY BURN
E’ il 1928.. Fuori da Occidente.. nel mondo caotico e colorato ancora brulicante di vita e di utopia, nasce da qualche parte in Rosario, Argentina, Ernesto Guevara de la Serna.. In Europa, utero di Occidente, ieri come oggi diviso al suo interno e sospettoso del vicino, la Francia inizia la costruzione della Linea Maginot.. ci si prepara all’ennesima guerra.. In Italia, buco del culo di Europa, ieri come oggi diviso al suo interno e sospettoso del vicino, la gente si è votata anima e corpo all’adorazione del carisma e all’obbedienza all’autorità.. ci si prepara a qualificare come organo costituzionale il Gran Consiglio del Fascismo, ci si prepara ad istituzionalizzare la dittatura.. E’ il 1928.. Ad Asiago, inutile comune stretto tra i monti calcarei della bassa Valsugana e la depressione caspica della Pianura Padana - un posto che solo un coglione come D’Annunzio poteva descrivere come “la più piccola, ma la più luminosa città d’Italia” - il 13 aprile nasce Italo Allodi.. Figlio di un ferroviere e di una casalinga, il giovane Italo si trasferisce presto a Suzzara, provincia di Mantova, dove attraversa indenne il primo ventennio italiano di dittatura dello spettacolo (che il secondo è dato a noi) frequentando le scuole e cominciando a giocare a calcio.. Ma nonostante l’impegno, non riesce a diventare un grande calciatore, anzi, a dirla tutta è una mezza pippa: centrocampista e poi difensore, attraversa l’immediato dopoguerra girando in lungo ed in largo quella Bassa Padania calcistica tanto cara a Giuanbrerafucarlo.. le sue squadre si chiamano: Padova, Cavarzere, Suzzara, Bondenese, Gladiator, Santa Maria Capua Vetere, Forlì, Parma, Carrarese, Fabbrico, Mantova.. Gira molto e non sfonda mai.. A Parma, in serie C, gioca assieme a Edmondo Fabbri e Cestmir Vyclpalek, lo zio di Zdenek Zeman (che la storia è un eterno ritorno di nomi e di luoghi e di fatti), che un giorno in campo gli dice: “Sei talmente scarso che non riesci a battere neanche una rimessa con le mani..” Una sentenza definitiva, una bocciatura che avrebbe segnato la vita calcistica di qualsiasi persona, che si sarebbe dedicata ad affaccendarsi in altre faccende, ma non di Italo.. lui non è qualsiasi persona, lui non si abbatte, lui è eroe postrisorgimentale ed ha una missione da compiere: unificare il calcio italiano..
Gli anni ’50.. La guerra è finita.. La storia ha pisciato sui cadaveri del fascismo e la geografia ci ha inserito in Occidente (il Patto di Varsavia pagava meno, mentre il Mediterraneo - culla millenaria di odori, sapori, spezie e culture - non è stato nemmeno preso in considerazione..) E’ vero, nel paese c’è ancora tensione, i contadini occupano le terre ed il ministro dell’interno Scelba costituisce la famigerata celere.. Ma grazie alla valigia piena di dollari con cui De Gasperi torna dal suo viaggio americano siamo in pieno boom economico.. Boom baby boom.. Burn baby burn.. I ragazzi di vita pasoliniani dimenticano le miserie della guerra, magari venendo deportati (pardon, emigrando, eravamo sotto l’egida della Nato, non nel Patto di Varsavia) nelle fabbriche delle metropoli del nord.. Il Piano Marshall ricopre di dollari quella strana appendice geografica della cortina di ferro: e a farli fruttare al meglio, in pieno spirito individualista di impresa privata, sarà soprattutto quel nordest dove è cresciuto il piccolo Italo e nelle cui balere ha imparato a ballare il filuzzi.. Gli anni ’50.. Dagli stabilimenti di Mirafiori esce la Fiat 600, la prima auto famigliare per tutte le tasche.. la RAI inizia le trasmissioni.. Luchino Visconti abbandona il neorealismo, se mai lo ha fatto, e costruisce l’estetica del piacere rivoluzionario: la bellezza può essere un’arma per costruire un mondo migliore ci racconta, ma nessuno lo ascolta.. Il paese preferisce vivere tranquillo nell’ignoranza e sognare Pane, Amore e Fantasia e cullarsi con le melodie di Nilla Pizzi nei festival di Sanremo.. E’ un’Italia tutta tesa a dimenticare il passato e a costruirsi un opulento futuro, e quel simpatico guascone di Italo Allodi, che le cronache dell’epoca definiscono “bello come un attore” e chiamano “il playboy di Suzzara”, nonostante a giocare non sia proprio bravissimo capisce che, in quell’Italia in bianco e nero proiettata verso i colori della modernità, col calcio ci si può costruire una carriera, anche senza giocare.. col calcio si può cavalcare il miracolo economico, si possono fare i soldi, si può provare l’ebbrezza del potere..
EPISODIO II
MANTOVA: L’ORO NERO
Appena dismessa la maglia del Mantova, il bell’Italo chiede al suo allenatore e mentore Edmondo Fabbri di provarlo come vice, ma Fabbri glielo fa capire chiaro e tondo che non è il caso: “Non sei tagliato per fare l' allenatore, meglio se provi a lavorare in segreteria..” Niente da fare, il giovane Italo non ha sfondato come calciatore e non sfonderà nemmeno come tecnico.. Chiunque a questo punto si sarebbe arreso, avrebbe mandato tutto a puttane.. ma non lui, non quel dandy postrisorgimentale, sempre elegante e bello come un attore, che le ragazzine estasiate chiamavano Alan Ladd, in omaggio ad Alain Delon, e a cui il nome, Italo, gli imponeva di fare di Italia, non di stare a guardare mentre altri la facevano.. Come racconterà più tardi: “Mi sono sempre ispirato a una frase di Bernard Shaw: Solo gli imbecilli giustificano il successo dei migliori attribuendolo alla fortuna..” Italo Allodi esce allora dalla finestra del palcoscenico calcistico, né giocatore né allenatore, solo per rientrare prepotentemente dalla porta principale, quella della segreteria, un ruolo che fino ad allora non aveva alcun significato.. A Mantova, insieme a Fabbri in panchina, Italo Allodi costruisce l’epopea del Piccolo Brasile, come ebbe a chiamarlo un giornalista toscano fulminato dal gioco fluente e palla a terra di quella splendida provinciale.. Porta in riva al Mincio giocatori come Giagnoni, Bibolini, Martinelli, Cuoghi, Recagni, Giavara, Ravelli, Vaccari e Fantini.. E i virgiliani, in solo quattro anni, salgono dalla serie D alla serie A.. Il giovane segretario (che il ruolo di dirigente non era stato ancora pensato, o meglio, lui non lo aveva ancora ideato..) trova anche una sponsorizzazione, la raffineria locale Ozo, ed in suo onore modifica i colori sociali della squadra da biancazzurri a biancorossi.. Da allora il Mantova gioca con una splendida maglia bianca con diagonale rossa tipo River Plate.. I suoi primi passi come dirigente nel mondo del calcio fruttano al Mantova scalata in serie A e un lucrativo contratto di sponsorizzazione.. il giovane Allodi ci sa fare..
E’ il 1955.. La società Internazionale FC è appena stata rilevata da Angelo Moratti.. Un inizio come piazzista di prodotti petroliferi, Moratti ha l’intuizione di acquistare una raffineria texana, smontarla in pezzi, e ricostruirla ad Agusta, provincia di Siracusa, crocevia delle rotte mediterranee.. Poi vende la raffineria di Augusta alla multinazionale Esso e rileva per 100 milioni di lire la società nerazzurra: quell’investimento gli apre porte che fino ad allora non si sarebbe mai sognato di varcare.. Se per il potere da signoria medievale degli Agnelli il calcio è sempre stato il circensem da offrire ai propri servi della gleba, per il nuovo ricco meneghino il calcio è un grimaldello con cui forzare l’ingresso in società.. Sette anni dopo avere rilevato l’Inter, Moratti ottiene gli appoggi politici ed i permessi amministrativi per costruire il suo personale polo di raffinazione del petrolio a Sarroch, vicino a Cagliari.. (Esattamente trent’anni dopo, sempre nella depressa terra di mezzo padana, qualcun altro tenterà di acquistare l’Inter, la sua squadra del cuore, come biglietto da visita per entrare in società ed ottenere i vantaggiosi appalti della politica.. ma non ce la farà, e dovrà ripiegare sull’altra squadra cittadina, quella rossonera.. Ma questa, come direbbe qualcuno, è un’altra storia..) Dalle raffinerie dell’Ozo Mantova a quelle del Internazionale FC.. gli dei hanno lasciato sul percorso di Allodi una traccia di oro nero che il giovane Italo Allodi non si farà scappare..
I riferimenti a persone, luoghi, eventi, aziende, istituzioni esistenti sono da considerarsi esclusivamente occasioni narrative e vengono qui utilizzate solo in quanto repertorio di un immaginario condiviso..
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lunedì 11 aprile 2011
Ve saluta Carnevale
a |
Si fa per scherzare... |