
lunedì 29 novembre 2010
domenica 28 novembre 2010
Ho visto cose che voi umani
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Palermo - Roma 3-1 |
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venerdì 26 novembre 2010
Tremare il Mondo non fa

Semplice o, forse, no.
Dal concetto di fideiussione, infatti, nasce l'inghippo. Da stipendi non pagati e da due fideiussioni che, a detta dell’attuale presidente del Bologna Football Club Sergio Porcedda, si sarebbero rivelate fasulle.
Si dice avrebbero dovuto coprire insolvenze pregresse e liberare, contestualmente, i soldi dei diritti TV (rectius: una rata dovuta da Sky dei diritti TV. Le precedenti già sono state investite per pagare ulteriori stipendi arretrati).
Il problema è che le fideiussioni e l'emittente delle stesse - una finanziaria inglese - si sono rivelate realtà fantomatiche.
In ogni caso, non sono chiari per gli inquirenti il fine ed il meccanismo attraverso il quale le operazioni sono state concluse. Si legge, infatti, in un articolo pubblicato sul sito de "Il Resto de Carlino" lo scorso 20 novembre 2010: "Non e’ chiaro se con quelle garanzie si mirasse a riottenere del denaro (si parla di circa 6 milioni di euro) che sarebbe stato dato in garanzia per l’acquisto di alcuni giocatori (attraverso il meccanismo della “stanza di compensazione”). Per la transazione il broker aveva pattuito come compenso (il 3% sulla fidejuissione) garantita anche con due assegni. Uno e’ stato bloccato, l’altro sarebbe ancora nelle mani del broker".
Ma di fatto da una fideiussione nasce un inghippo le cui proporzioni sono ancora da valutare.
Trapelano voci.
La base di passivo dovrebbe ammontare a circa 30 milioni di Euro. Stipendi non pagati e relativi oneri fiscali. A questa dovrebbero aggiungersi altri 8 milioni di Euro circa di passività varie ed eventuali, nonché qualche milione di Euro relativo ad una rata non pagata al Club Atletico Penarol per l’acquisto di Ramirez. Infine, gli arretrati dovuti al Comune di Bologna per l’affitto del Renato Dall’Ara e un’operazione di scambio di giovani della Primavera conclusa con il Parma.
Totale: 40/45 milioni di Euro. Assolutamente uno sproposito per una società che solo qualche mese fa (al tempo del passaggio della maggioranza delle azioni dalla famiglia Menarini a Porcedda) è stata venduta per una ventina di milioni di Euro.
Le possibili conseguenze del disastro.
In primis, il Bologna rischia una penalizzazione in classifica. Una manciata di punti (1, 3 o 5) che potrebbe avere un forte impatto sul discorso salvezza, anche alla luce dell’equilibrio registrato nella parte sinistra della classifica fino ad oggi.
Inoltre, c’è il rischio fallimento. Per evitare il fallimento occorre ripianare le passività. Per ripianare le passività servono nuovi acquirenti e denaro vero (non solo il pareggio del disavanzo, ma anche una base di capitale che permetta al Bologna di galleggiare).
Voci di corridoio parlano di un interesse di Banca Barclays, che a mezzo del proprio portavoce avrebbe manifestato l’intenzione di rilevare il 70% dell’azionariato del Bologna Footbal Club.
Fatto sta che la squadra è in una situazione poco invadibile.
Peccato. Perché a mio avviso questo è il più bel Bologna degli ultimi anni (meglio: il miglior Bologna, assieme a quello della stagione ‘01/’02, dell’era dopo-Baggio).
Perché la rosa è infarcita di giovani e perchè c'è un progetto.
Perché il Bologna finalmente corre e gioca con tre centravanti sempre, perché schiera un grande Marco Di Vaio (bellissimo il gol al Brescia) e sa difendere e muoversi senza palla.
Perché il Bologna - nessuno lo sa - ha una Storia importante e perché meriterebbe più rispetto.
lunedì 22 novembre 2010
Il tempo delle mele nerazzurro
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venerdì 19 novembre 2010
Esquina Blaugrana
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martedì 16 novembre 2010
No Regrets


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lunedì 15 novembre 2010
Onore a Luciano Spalletti, zar di Russia
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La profondità |
martedì 9 novembre 2010
Riabilitare Del Piero?

Del Piero è all'apparenza tre carriere, o forse due, ma più probabilmente una sola con una lunga interruzione. Ma soprattutto, a Del Piero (un po' come hanno fatto con questo Paese secondo Stanis) l'hanno rovinato i toscani, o per meglio dire l'egemonia toscana sulla lingua italiana e conseguentemente sulla lettura delle cose - Wittgenstein insegna - per come viene fatta in questa nazione.
Verosimilmente per un lascito toscano, dunque, siamo naturalmente portati a identificare l'artista del pallone - categoria cui indubbiamente Del Piero appartiene - con il poeta. Ma come poeta e in generale come letterato lo juventino è gravemente inadeguato: ben al di là e spesso contro ciò che dicono i numeri e le statistiche, Del Piero sembra carente di continuità, incapace di costruire qualcosa, privo, per utilizzare un termine attualmente molto di moda, di una narrazione. Giunto a fine carriera, si fa quasi fatica ad affermare che ne abbia mai avuta una, per quanto appaiono sfilacciati e incoerenti i suoi trionfi e le sue decine e decine di gol. La questione, tuttavia, sta nel fatto che Del Piero non è un poeta e non è toscano; giudicarlo in base a quei criteri porta inevitabilmente a sottostimarlo. Gianni Agnelli volle paragonarlo a un pittore, Pinturicchio, ma sbagliò anche lui: Del Piero, veneto della provincia di Treviso come Giorgione, del quale condivide l'estro coloristico, somiglia più a un mosaicista, a uno stuccatore, a un qualche decoratore. Conserva in sé l'estrema raffinatezza bizantina che santifica il gesto e contemporaneamente lo strappa via dalla realtà. Del Piero è falso, lo si critica spesso con quest'argomento: ma è falso perché non può essere vero, giacché non è naturale.
Del Piero è un grande conservatore; anche in questo, è fondamentalmente veneto, e l'emigrazione al Nordovest l'ha cambiato pochissimo. La sua conservazione la si intenda in senso etimologico; placido e insieme emotivo, narciso perché onestamente innamorato di sé, finto in quanto teatrale, Del Piero incarna il veneto classico per come lo descriveva Piovene nel suo "Viaggio in Italia": "Questa regione porta dentro un amore di sé, un narcisismo per usare il gergo corrente, una voluttà perpetua di guardarsi allo specchio, una felicità nel suo pittoresco, una delizia nel fare teatro di sé e della propria condizione, che lo distraggono dalla spinta per il mutamento e lo affezionano al suo stato. I veneti si compiacciono di darsi e di dare spettacolo, accentuando a bella posta le loro inclinazioni, manie, e persino gli aspetti ridicoli e difettosi".
Del Piero è talmente veneto che quando esordisce in serie A è già Del Piero: contro ogni dettame occidentale, il ragazzo non ha alcuna intenzione di avviare una crescita e di migliorarsi. E migliorarsi dove? C'è già la minima tessera del mosaico, c'è già la pennellata che completa un idillio, c'è già l'intera facciata che si rispecchia molle nei canali. Che Del Piero non possa crescere e non voglia cambiare è evidente fin da subito: e infatti, quando inizia il vero e proprio progetto della Juve di Moggi-Lippi-Agricola, questo si costruisce più contro Del Piero che con lui. La riprova è in effetti la finale di Coppa Campioni con il Borussia Dortmund, in cui Del Piero (e la decenza) sono sacrificati da Lippi alla scelta di una formazione post-taylorista. En passant, la metamorfosi della Juventus divertente e "rocchiana" del primo Lippi in quella che giungerà a Calciopoli (attraverso una crescita costante della boria e una decrescita altrettanto netta delle vittorie fuori d'Italia) ricorda un po' la trasformazione delle imprese artigianali del Nordest nelle tigri di inizio Duemila; e la crisi del primo mostro, cui Del Piero sembra essere sopravvissuto tornando alle origini, può essere d'insegnamento oggi che anche il secondo modello, insidiato dalla propria stessa natura e dalle storture di uno sviluppo disordinato, appare ugualmente in crisi.
In ogni caso, l'apparente non integrabilità di Del Piero (e la prima parte della sua carriera) ha termine con il grave infortunio di fine 1998; quando torna, l'artigiano veneto è diventato un mero esecutore, irriconoscibile perfino fisicamente, e forse antropologicamente: l'agilità ha lasciato spazio alla potenza, la fantasia all'applicazione, l'efficacia sporadica alla mediocrità continuata. Per otto anni Del Piero è prigioniero di quell'organizzazione e di quella filosofia, che gli costano oltretutto una serie infinita di figuracce e la sempre crescente ironia degli appassionati di calcio. Lo juventino è ormai il flop per eccellenza: all'Europeo 2000, la sua tecnica improvvisamente approssimativa ci impedisce in due occasioni di chiudere la finale. A me, peraltro, nessuno toglierà mai dalla testa l'idea che Del Piero o il suo inconscio abbiano voluto sbagliare: quella vittoria, se ci pensate, avrebbe glorificato un calcio italiano che era già allo sbando morale e soprattutto avrebbe fissato nella memoria di tutti un Del Piero, ora sì, davvero falso. Sarebbe rimasto negli annali, infatti, il del Piero operaio del Nordovest, fuoriclasse normalizzato in tuta blu, il che avrebbe costituito una violenza alla storia personale e all'identità dell'uomo di San Vendemiano. In quegli anni, comunque, la noiosa e patetica normalità di quel Del Piero è rotta solo ogni tanto da lampi emotivi, a riconfermare l'insopprimibile veneticità dell'uomo: come in quell'omaggio all'Avvocato Agnelli accarezzato nella porta del Piacenza.
Quando però il castello moggiano crolla, Del Piero si libera: contro le ironie e le convinzioni di tanti - ero anche io tra quei molti - si spoglia semplicemente di otto anni di integrata realtà e torna alla sua antica falsificazione ("una fantasia dell'Oriente, di una delicatezza che non ha l'Oriente vero": ancora Piovene). Del Piero è il suo gol alla Germania all'ultimo minuto dei supplementari: assolutamente inutile ai fini della vittoria, ma bello, consapevole di essere bello, e dunque necessario per legittimare la vittoria del Mondiale, se è vero che l'Italia esiste o dovrebbe esistere per insegnare al mondo la bellezza.
Del Piero, in conclusione, non è una poesia da declamare, non è un romanzo da leggere, non possiede un racconto e non fonda un'epica; privo di dialettica e non interessato a sfidare l'esistente, non ha niente da asserire. La sua sola universalità, come in certa arte bizantina, si compie nel fortunato momento in cui la purezza del gesto si fonde con la ricchezza dei materiali, quando cioè la sua costante in-naturalità diviene sovra-naturale; ma un gol di Del Piero non può certamente innalzare a Dio, e dunque la sua unica verità è in se stesso e nella sua molle e straordinaria bellezza.
lunedì 8 novembre 2010
Quel che resta del derby
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Il cuore oltre l'ostacolo |
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Bryce Dallas Howard, grande tifosa della Roma, come il padre |
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