lunedì 30 novembre 2009

6 eroi e un cialtrone

La lista delle 32 nazionali che parteciperanno al prossimo mondiale è ora ufficiale. Le ultime 7 squadre sono uscite fuori da altrettanti estenuanti ma pur sempre emozionanti spareggi. Sei calciatori hanno lasciato il segno, regalando(in alcuni casi) al proprio paese un momento storico o (in altri)restituendo un qualcosa di dovuto. Rory Fallon ha 27 anni,conta 3 presenze in nazionale e 2 goal. Gioca in Inghilterra nel Plymouth squadra che milita nella championship.Suo padre Kevin Fallon è stato il vice allenatore della Nuova Zelanda nel 1982, anno in cui gli All whites fecero la loro unica apparizione in coppa del Mondo. Rory è nato,segno del destino, proprio nel 1982 a Gisborne in Nuova Zelanda e proprio per "colpa" del papà di nazionalità inglese che allenava al tempo il Gisborne(che a quello che ho capito è una specie di accademia del calcio). Rory Fallon muove i suo primi veri passi da calciatore in Inghilterra nel Barnsley per poi passare a Shewrsbury,Swindon, Swansea ed infine appunto il Plymounth con cui vanta 100 presenze e 16 goal. Rory Fallon,come gia detto, ha 3 sole presenze e ben 2 goal,uno di questi goal è un micidiale colpo di testa che al 45esimo del primo tempo, stende il piccolo ma volenteroso Bahrain davanti al pubblico amico.Quel colpo di testa ha il sapore del riscatto di un paese che torna alla massima competizione calcistica dopo ben 27 anni,grazie guarda caso, proprio al ventisettenne Rory Fallon da Gisborne.(oltre al sapore del riscatto,c'è anche il sapore della birra, tanto è vero che a Milano al "four four two"i neozelandesi presenti in vista della partita degli All Blacks hanno consumato la media di sei pinte a testa) E' il 21 Giugno 1994 a Boston,Diego Armando Maradona dopo un serie infinita di passaggi riceve palla al suo ingresso in area di rigore e lascia partire una legnata che va ad infilarsi sotto l'incrocio dei pali,poi la corsa verso la telecamera urlando,sullo sfondo a fare da cornice all'ultimo goal internazionale della carriera del pibe c'è la nazionale greca nella sua prima ed unica presenza in un mondiale(3 partite 10 goal subiti 0 fatti)....fino ad oggi. Minuto 31 in quel di Kiev,Ucraina e Grecia sono sullo 0 a 0,stesso risultato della partita di Atene,l'eterno inesploso Georgios Samaras, serve alla perfezione Dimitris Salpigidis che scatta sul filo del fuorigioco,questione di millimetri,corre verso la porta palla al piede e appoggia delicatamente alle spalle di un incolpevole Pjatov. Dimitris classe 81, ha esordito con la nazionale nel 2005,non fa parte quindi dei 23 campioni d'Europa della cinica(e inguardabile) Grecia di Portogallo 2004, allenata sempre dal sempre prudente mister teutonico Otto Rehhagel. Salpigidis in patria veste la maglia del Panathinaikos, ad Atene è approdato dopo i sei anni passati nel Paok Salonicco, squadra della sua città natale di cui è stato anche capitano,arrivando a disputare i preliminari di champions. I 50 goal messi a segno nel Paok convinsero la dirigenza del Panathinaikos a puntare su Dimitris,fiducia ripagata al suo esordio in maglia verde con una tripletta. Salpigidis è una sorta di Filippo Inzaghi ellenico,vanta più di 100 goal in patria,nonchè 33 presenze e 3 reti in nazionale,l'ultima è certamente la più bella ed emozionante della sua carriera,quella che ha regalato alla sua nazione la seconda partecipazione ad un mondiale dopo quella da sparring partner del 1994. Comincia tutto con Miroslav Blazevic che incita a dovere il rovente catino di Zenica,Blazevic è uno che di miracoli se ne intende. Il pubblico Bosniaco assiepato nello stadio stracolmo comincia a crederci sul serio,Miroslav sa che può pareggiare i conti perchè in fondo la partita all'andata è finita solo 1 a 0 per i lusitani con goal del difensore Alves.Blazevic nei mondiali di Francia 1998 ha vinto il bronzo con la Croazia. Certo non si può paragonare La Croazia(con Suker Prosinecki,Jarni,Bilic,Boban) del 1998 con la Bosnia dei giorni nostri,ma è pur vero che il calcio Bosniaco è decisamente in crescita e per il saggio Miroslav la partecipazione al mondiale con la Bosnia equivale al terzo posto del 1998. Bastano però 55 minuti a risvegliare dal sogno Blazevic e l'intera Bosnia-Erzegovina,Basta un preciso diagonale destro del centrocampista di Oporto,del Porto e cresciuto nel Boavista Raul Meirelles.Mi chiedo da anni come mai il Signore abbia privato il Portogallo di un attaccante degno di questo nome e a chi mi ricorda Eusebio,io ricordo che Eusebio Da Silva Ferreira è nato in Mozambico. Basti pensare che il capocannoniere di tutti i tempi della nazionale portoghese è Pauleta...PAULETA!!....non penso di dover aggiungere altro. Cristiano Ronaldo,Nani e Deco che servono in avanti Liedson(peraltro brasiliano)Nuno Gomes o Helder Postiga è come bere un bottiglia di Sassicaia in bicchieri di carta. Raul Meirelles regala al Portogallo un altro mondiale servito da un perfetto assist di Nani e chissà che un giorno lo stesso Nani o Cristiano Ronaldo non possano servire una punta vera e propria e sperare in qualcosa di più di una semplice malinconico quarto posto. No,non chiedetemi cosa ci facessi lo scorso 19 Maggio sulle tribune dello stadio Matusa di Frosinone, durante Frosinone Albinoleffe,sinceramente non lo so neanche io,quello che so è che rimasi piacevolmente stupito da un giocatore ex Parma di nazionalità slovena che giocò una partita perfetta condita da un goal,rimasi anche stupito dal pubblico ciociaro che non sembrava infiammarsi per le giocate del giovane sloveno,solo in seguito venni a sapere che non andava a segno da un intero girone. Zlatko Dedic arriva a Parma a soli 17 anni.La speranza ovviamente è quella di sfondare nel calcio italiano ,Zlatko insegue questo sogno passando,per Empoli,Cremona,Frosinone,Piacenza e ancora Frosinone. In ciociaria Dedic trova un certo equilibrio segnando in 2 stagioni 13 reti,tanto basta a convincere il Bochum a sborsare ben due milioni di euro(staminchia!).Maribor 18 novembre 2009 dopo il 2 a 1 a favore dei russi nella partita d'andata tra i 12mila del Ljusky Vrt comincia a veleggiare odore di storica impresa ,minuto 44 del primo tempo, Valter Birsa(talento puro)largo a destra alza la testa, vede l'inserimento in area di Zlatko e fa partire un lancio talmente perfetto che il piedone destro di Dedic colpisce in automatico,Akinfeev immobile, Slovenia 1 Russia 0,Guus Hiddink vede lentamente sfumare il suo quarto mondiale di fila,dopo le ottime avventure sulle panchine di Olanda,Corea del sud e Australia.Al fischio finale l'intera Slovenia è in festa, l'eroe è proprio Zlatko Dedic, uno che non è riuscito ad esplodere in Italia, uno che faceva mugugnare Frosinone, uno che grazie al suo destro nel suo piccolo giocherà un mondiale da protagonista. Anche Antar Yahia come Zlatko Dedic è cresciuto in Italia(primavera Inter),anche Antar Yahia come Zlatko Dedic ha firmato il goal qualificazione della sua Algeria sul finale di primo tempo,anche Antar Yahia come Zlatko Dedic gioca nel Bochum. Quel missile calciato al volo di destro ha causato:una crisi diplomatica senza precedenti con l'Egitto,145 infarti,18 morti e 312 feriti nei 211 incidenti durante i festeggiamenti. Antar Yahia al contrario di molti suoi illustri "Connazionali" ha fatto una scelta di cuore,Antar infatti è nato a Mulhouse in Francia,inizialmente rispose ad un paio di convocazioni under 18 della nazionale francese, salvo poi decidere di rappresentare la nazionale algerina,una scelta di cuore,quello stesso cuore che è servito per riportare l'Algeria al mondiale. "El loco" Washington Sebastian Abreu oltre ad essere uno dei 1500 giocatori sudamericani a fregiarsi del tanto simpatico quanto scontato appellativo "Loco" è anche il classico zingaro del calcio.Dal 1996 ad oggi Abreu ha cambiato una squadra all'anno,il che fa intendere che un tantino "Loco" deve esserlo per davvero.Uruguay,Argentina,Spagna,Brasile,Messico,ancora Argentina,Israele,ancora Spagna e Grecia,evidentemente Abreu non riesce a star fermo, ma sa segnare,eccome,visto i suoi 276 goal in carriera. In mezzo a tutta questa "Pazzia" el loco riesce a collezionare 57 presenze e 28 goal con la "Celeste" posizionandosi ad una manciata di goal da Hector Scarone marcatore più prolifico nella storia della nazionale uruguaiana.Il 19 novembre durante il ritorno dello spareggio tra Uruguay e Costa Rica(andata 1 a 0 per l'Uruguay con goal di capitan Lugano)impiega solo 5 minuti ad andare a segno,entrando al 65esimo minuto e perforando il portiere Navas al 70esimo con un perfetto colpo di testa, figlio tutto del suo metro e 93 centimetri d'altezza.Il goal di Abreu rende vano il pareggio di Centeno(che piccola curiosità, segnò anche alla Roma quando indossava la casacca dell' Aek Atene)e da la possibilità al Loco(classe 1976) di partecipare al suo ultimo mondiale,con la speranza,magari,di superare Hector Scarone e nonostante la sua pazzia, di entrare a far parte per sempre della storia del calcio uruguaiano. Il settimo eroe potrebbe essere Robbie Keane che con quel rigore in movimento al 32esimo era riuscito a pareggiare i conti contro la Francia. Robbie Keane classe 1980 record di reti nella nazionale irlandese,Shay Given classe 1976 uno dei portieri più sottovalutati della storia del calcio al quale manca solo una presenza per superare il recordman irlandese Stauton,Kevin Kilbane classe 1977 anche lui una sola presenza per superare Stauton,Damien Duff classe 1979 uno dei migliori talenti di sempre per quel che riguarda l'Irlanda,vedono scipparsi probabilmente il loro ultimo mondiale da Thierry Henry classe 1977. Se ami questo sport,non puoi non adorare Henry che è fondamentalmente la più bella espressione del calcio raffinato.L'eleganza con cui Thierry attraversa il campo,la delicatezza con cui accompagna il pallone, fanno di Henry un giocatore unico nel suo genere.Vedere Henry che dopo quel gesto infame ,esulta sotto la curva è un po' come vedere la regina Elisabetta che partecipa ad un torneo di rutti. Lo spettro di Henry cialtrone è scacciato dalle mirabolanti imprese di questi 6 calciatori, certamente non campioni ma sicuramente onesti eroi per una notte.

Esquina Blaugrana

Diverse circostanze portano ad una vittoria. Martedì scorso, l'inabilità caratteriale dell'Inter l'aveva fatta da padrona. Ieri sera, un errore di troppo ha permesso al Barca di venire a capo di una partita difficile ed atipica. Per una volta la stampa blanca decide di non puntare il dito contro Pellegrini. Mi permetto di farlo io. Un passo indietro. Più volte questa rubrica ha evidenziato una possibile incompatibilità tattica tra Ibrahimovic e la struttura del gioco del Barcellona. Più volte ha sottolineato che le caratteristiche dello svedese limitavano fortemente le opportunità offensive del collettivo. Non cambieranno le mie considerazioni tattiche in merito. Non è ancora tempo, ritengo, di salire sul carro dei vincitori. Quindi, non sanificherò Ibrahimovic, bensì vi spiegherò perché, mai come oggi, Pellegrini debba essere esonerato. Il cileno si presenta al Camp Nou e decide di giocarsela a viso aperto, di non aspettare il Barca. Ripudia l'atteggiamento dimesso proposto da Mourinho qualche giorno prima e prova, con altri mezzi, a mettere in pratica le lezioni tattiche di Gus Hiddink. Onorevole. Pellegrini tiene corti i suoi (complice una grande interpretazione del ruolo di Lass), alza il baricentro della difesa e non aspetta il fraseggio blaugrana. In pratica, come il Chelsea lo scorso anno, il Real Madrid toglie al Barcellona il perno di gioco al limte dell'area avversaria (i.e. Eto'o). Il Barcellona fatica. Il Real non ne approfitta: troppo isolati nelle loro campane di vetro i solisti bianchi. Valdes e Puyol ci mettono qualcosa di più che una pezza. La partita è dinamica ma snatura le due sqaudre. Caso vuole che Pep quel perno al limite dell'area non ce l'abbia più e che, per forza di cose, decida di avvalersi di Ibrahimovic. Lo svedese entra e porta in campo quell'incompatibilità tattica con la struttura del gioco del Barcellona. Come sempre, cioè, scappa dalla manovra e cerca la profondità. Gol. Semplice. Essenziale. Il punto debole che diventa il fattore vincente.

giovedì 26 novembre 2009

Inglourious Glories, Ch. I, Ipswich Town FC


13 punti ed il penultimo posto in classifica per l'Ipswich Town FC sono misera cosa. Misera per chi lassù in cima c’è stato e se lo ricorda. Il guerriero seduto in panchina lo sa, è pensieroso e non si arrende. Anche lui di coppe ne ha vinte, certo con altre maglie, ma poco conta. Sa bene che sapore può avere.

Tutto ciò era iniziato nel lontano 1878. Qualche partita a livello amatoriale in provincia e solo dopo molti anni, nel 1936, la chiamata nella Football League. Occorre attendere la stagione 1960-1961 per assistere alla prima promozione nella massima serie. Alf Ramsey sedeva in panchina dal 1955 e, in pochi anni, complici i gol di Ted Phillips e Ray Crawford, era riuscito a dare continuità ad una squadra in continua altalena tra la Seconda Divisione e le serie minori. Fino, appunto, alla storica promozione. Occorre, invece, solamente un altro anno per vedere l’Ipswich laurearsi campione d’Inghilterra. Ancora Ramsey in panchina, ancora Crawford cannoniere (assieme a Derek Kevan del West Bromwich Albion, con 33 gol in 41 partite). E’ la favola della Cenerentola che si scopre più forte di tutti. E’ la favola della cittadina del Suffolk che si scopre, con 56 punti, più forte del Tottenham campione l’anno precedente, delle due compagini di Sheffield e delle ben più blasonate squadre londinesi.

Da campione d’Inghilterra l’Ipswich Town è, quindi, ammesso a partecipare alla Coppa dei Campioni. Bene al primo turno: spazzata via la Floriana maltese; peggio al secondo: eliminazione per mano di quel Milan di Altafini, Rivera, Maldini e Trapattoni che poi alzò la Coppa battendo in finale il Benfica. E' cosa troppo grande la Coppa dei Campioni e i Tractor Boys pagano l'inesperienza. E da lì a breve anche il sogno della Prima Divisione si esaurisce. Retrocessione alla fine della stagione 1963-1964.

Inevitabile, inizia di un periodo di buio. Gli allenatori si succedono in panchina, prima Jackie Milburn, poi Bill McGarry, ma la squadra non trova mai i risultati. Portman Road mugugna, quella Blues è oramai disillusione.
Fino al gennaio ’69. Già, perché mentre gli Stones strimpellanno Midnight Rambler all'Inghilterra che conta, sulla panchina dell’Ipswich Town FC si siede per la prima volta Robert William Robson. Ora, per tutti, Sir Bobby Robson.

Sir Bobby Robson
Per l’Ipswich è di nuovo top flight. Una serie di stagioni al vertice ed una permanenza continua nella massima serie portano alla qualificazione per la Coppa Uefa nel ‘73 ed una FA Cup nel ’78. La seconda meta' dei Settanta e i primi anni Ottanta sono il periodo d’oro dell’Ipswich Town: oltre a Bobby Robson in panchina, in campo scende gente come lo scozzese John Wark, come Paul Mariner e Franz Thjssen. Poche squadre riescono a tenere testa ai Blues del Suffolk. Il profetico calcio tutto palla a terra e ricerca della profondità predicato da Bobby Robson fa tremare i più importanti team d’oltremanica (storica la vittoria per 6 a 0 contro il Manchester United).
John Wark
Ma non basta. Serve qualcosa di più perché una piccola città del Suffolk entri nella storia. Serve una Coppa Uefa.

E’ la stagione 1980-1981. L’Ipswich parte bene: un rotondo 5 a 1 all’Aris all’andata archivia i Trentaduesimi (al ritorno, a Salonicco, arriverà un’innocua sconfitta per 3 a1). Qualche patema ai Sedicesimi contro i Bohemians di Praga: 3 a 0 a Portman Road e sconfitta a Praga per 2 a 0. Tutt’altra storia Ottavi e Quarti. Il Widzew Lodz e il St. Etienne di Platini vengono sepolti da una valanga di gol. La squadra di Robson non si vuole più fermare. Non ci sta a non sognare più. I Blues si compattano e battono anche il Koln in semifinale: stesso risultato, 1 a zero, sia in casa che in Germania. E’ finale.

Portman Road non mugugna più come negli anni passati, per l’occasione la tana dell’Ipswich è diventata un inferno. Gli olandesi dell’AZ Alkmaar non sono nulla ed incassano un sonante 3 a 0. Le firme, come sempre, sono di Wark (su rigore), Thjssen, splendido nell’occasione, e Mariner. Sarà vano ogni tentativo della squadra olandese di ribaltare il risultato al ritorno. L’AZ solo sfiorò la rimonta e la Coppa Uefa quel giorno, l’alzarono i ragazzi di Bobby Robson. Poi tutto, di nuovo, svanì. Sir Bobby Robson passò ad allenare l’Inghilterra a fine stagione e la squadra lentamente scivolò ancora in Seconda Divisione (è il 1986 quando perde lo spareggio-retrocessione con il Charlton).

Dopo qualche anno di purgatorio ecco l’Ipswich che non ti aspetti. Nella stagione 1991-1992 arriva la promozione e la squadra si ritrova a fondare quella che è l’attuale Premier League. Altre due stagioni al vertice, ma poi nuovamente retrocessione.

Jim Magilton
Si torna alle gloriose battaglie contro il Norwich City (sono più di 130 gli East Anglian Derby - o Old Farm Derby, a dir si voglia - ad oggi giocati), all’ineludibile destino di chi è condannato a stare a mezza via, all’atroce terno al lotto dei playoff per la promozione, a quel dolce sogno di arrivare alle finali di Wembley. In quegli anni in campo a combattere scendono il nordirlandese Jim Magilton, vero eroe del calcio di periferia, l’argentino Mauricio Tarrico, capitan Geraint Williams, Richard Wright, Finidi George e l’irlandese Matthew Holland.

Roy Keane, il guerriero seduto in panchina, si guarda indietro. E’ per questo che non ci vuole stare.

Futbol tapas

                                
Brevi appunti sul calcio spagnolo.
1. La disastrosa prima parte di stagione dell'Atletico Madrid ha -purtroppo- un nome e un cognome: Diego Forlàn. Il biondo bomber uruguaiano è la pallida controfigura della scarpa d'oro dell'anno scorso. Anche ieri sera, contro l'Apoel, ha avuto due occasioni buone per dare i tre punti alla squadra di Piràmides, ma le ha sciupate malamente. Forlàn resta un attaccante fortissimo, un principe dell'area di rigore, calcia benissimo con entrambi i piedi, e poi è un grande professionista, persona simpatica, perbene, ma quest'anno -come il primo anno a Manchester, quando gli servirono otto mesi per segnare il primo gol (neanche Larrivey ha fatto peggio)- proprio non ci siamo. Forlàn è depresso, perchè la lontananza dal gol lo rende scontento. Come ogni bomber che non trova la porta, si vede lontano un miglio che è infelice. Allora indietreggia fino alla tre-quarti, oppure pecca d'egoismo, o addirittura si nasconde: Forlàn ha bisogno di qualche bella doppietta, di una serata da protagonista, per riprendersi in mano l'Atleti. Qualcuno maligna che ci sia rimasto male quest'estate, dopo che il padre l'aveva "offerto" al Barcellona, ed invece alla corte di Guardiola arrivò Ibra. A trent'anni, era il suo ultimo treno per la gloria, ed invece è  arrivato il rinnovo di controatto con i colchoneros. Ora gli rimane solo -se non si suicidano contro il Porto- l'Europa League; magari cambiare aria gli farà bene, e ritroverà il gol e la felicità perdute.
2. E' di oggi la notizia che il Rubin Kazan, fresco campione di Russia, avrebbe offerto 20 milioni al Villareal per Giuseppe Rossi. Il sottomarino giallo ha rispedito l'offerta al mittente, perchè non può privarsi del "Bambino" (come lo chiamano in Spagna) in un'annata difficile come quella attuale, nonostante l'arrivo di Nilmar e nonostante il ragazzo del New Jersey stia trovando la via del gol con moltissima difficoltà. Lo stesso Rossi non sembra molto convinto del trasferimento a Kazan (e ci credo). Che poi, avranno pensato al Villareal, se per Rossi offrono 20 milioni oggi, di sicuro dopo il Mondiale, che il buon Giuseppe potrebbe giocare da protagonista, arriveranno offerte ancora più importanti. Rimane il fatto che Rossi è -almeno in prospettiva- un ottimo giocatore, e non si capisce come l'estate scorsa nessuna squadra di serie A abbia voluto puntare su di lui (visto anche che, qualsiasi riferimento alla Juve è casuale, costava un terzo di Diego e la metà di D'Agostino..).
3. Sono curioso di vedere dove finirà "el Chori" Domìnguez, stella del Kazan (se il Rubin ha cercato Rossi è perchè sa che perderà l'argentino, a fine contratto), e potenziale fuoriclasse. In Spagna dicono che già quest'inverno potrebbe accasarsi al Valencia, all'Atletico Madrid o al Saragozza. Certo che sarebbe bello anche vederlo in Italia, magari in Lega Pro.
4. Come ormai tutti sanno, la vera moda dell'anno tra i calciatori è quella di andarsi a curare a Belgrado dalla famosissima dottoressa Marijana Kovacevic, che utilizza nei suoi trattamenti magici massaggi con fluidi di placenta di cavallo. L'ultimo a farsi rimettere in piedi è stato il grande Pelat, Iván de la Peña, che è stato consigliato dal suo amico (ed ex perico) Albert Riera, oggi al Liverpool. Ma come funziona questo metodo che tanto scalpore sta generando? Lo racconta lo stesso Riera: "Funziona. Non c'è nessun segreto. In ogni sessione (che può durare da 20 minuti a 2 ore, dipendendo dalla gravità della rottura muscolare) ti connetti a una macchina di ultrasuoni rivestito di un gel fatto con la placenta di cavallo. Si notano solo le scosse di elettricità". Non vi nego allora il mio morboso desiderio di potermi sottoporre presto alle sapienti mani grondanti placenta di cavallo della dottoressa Kovacecic (di cui, peraltro, non circolano molte notizie, nè foto).
5. A proposito di Espanyol -e qui chiudiamo-, una storia triste: Shunsuke Nakamura, indimenticato fantasista giapponese ex Reggina ed ex Celtic, il grande acquisto dell'estate, non riesce ad ambientarsi nel rigido 4-2-3-1 di mister Mauricio Pochettino. Al club blanquiazul sono molto delusi perchè con il suo arrivo pensavano di aver preso due piccioni con una fava: un giocatore di qualità e il lasciapassare per il florido mercato giapponese, dove ogni calciatore locale che gioca all'estero è seguito con bramosa ubiquità. Ed invece, 387 minuti dopo (quelli che ha disputato nella Liga), Nakamura non si è adattato (a Glasgow faceva -tatticamente- il comodo suo), non è titolare in campo e la società non ha concretizzato nessun successo di marketing nipponico. Va detto che anche i continui viaggi per giocare con la sua nazionale non l'hanno aiutato. Inoltre, il buon Shunsuke non ha potuto portarsi la famiglia a Barcellona, perchè -raccontano i ben informati- ha avuto problemi per trovare la scuola per i suoi due figli (probabilmente non era così convinto dell'utilità di fargli imparare il catalano..). Vive allora da solo a Sant Cugat (una sorta di Olgiata di Barcellona), accompagnato dalla sua solitudine. Chissà se la sera torna a casa, esce sul terrazzo e ripensa con nostalgia ai tramonti sullo Stretto..

Incompetenza territoriale

Non possiamo non soffermarci un secondo sull'ennesima scialba prova della Juventus, vittima di guarduolite acuta e di dirigenti morattiani. La cosa, ovviamente, mi riempe di gioia e soddisfazione, ma nonostante ciò non possiamo, da calciofili quali siamo, ignorare tale evento.
Ferrara (si proprio lui, quello del "Danette, troppppo bbbuone") è evidentemente nel pallone più totale, altrimenti non saprei come giustificare la squadra messa in campo ieri sera.
Del Piero esterno sinistro è una forzatura che non vedevo dai tempi di Sacchi, così come l'insistenza nel mettere in campo Felipe Melo, centrocampista la cui maggiore qualità sembra essere il non sapere ancora cosa farà da grande. Non è un incontrista, non è un regista, cosa è? Ve lo spiego io: un pacco da 25 milioni ben orchestrato dal magnifico Messere Pantaleo Corvino.
Lo stesso Diego, troppo presto additato come fenomeno, si è visto solo contro la Roma.. Dunque se tanto mi da tanto anche Maccarone è un Fenomeno.
Marchisio tornerà a breve ad essere titolare con buona pace di tutti gli amanti del calcio, posto che questo ragazzo a mio parere è destinato ad una carriera scintillante. Resta un mistero il motivo per il quale in mancanza di un esterno sinistro di ruolo si continui ad ignorare De Ceglie, giocatore a mio parere di qualità e quantità.
L'azzardo Ferrara è stato grosso, ma ancor più grave è stata la scelta di investire 60 milioni di euro per Diego e Felipe Melo, quando a quelle cifre potevi portarti a casa gente di caratura internazionale. Ad onor del vero, bisogna peraltro ricordare che il rischio di una campagna acquisti folle si era vista sin dagli inizi, con l'acquisto del trentaseienne Cannavaro e con la querelle relativa all'ingaggio di D'Agostino per sonanti venti milioni di Euro. Chi tratta D'Agostino è a priori un incompetente, chi poi lo tratta a quelle cifre è destinato ad uscire dal giro del calcio con la stessa velocità con cui ci è entrato.
Pare che la Juventus, dopo i (ne)fasti degli anni della triade sia attualmente coordinata e gestita da persone non al livello del blasone e del budget cui dispongono.
Si vocifera che il grande coordinatore occulto sia il mago del calcio capitolino: Daniele Pradè.

domenica 22 novembre 2009

Esquina Blaugrana

Alcune note positive. Molte negative. Innanzitutto, bene che nonostante la serie interminabile di infortuni (ora ci si è messa pure la H1N1... - fuori Tourè, Abidal e Marquez) il Barca continui ad essere un punto di riferimento quanto a calcio giocato. Il tutto deve essere letto in chiave, guarda caso, Xavi-Iniesta: sempre più valore aggiunto, sempre più indiscussi padroni a centrocampo attraverso un costante controllo di ogni fase di gioco. Altra nota positiva, si è visto un poco di Leo Messi. Un paio di buoni scatti e tanto lavoro. Per una volta anche tanta corsa (oltre ad un allarme infortunio già rientrato, grazie al cielo). Reputo una nota positiva anche aver portato a casa un punto da Bilbao. Il Barca non dovrebbe ragionare così (e non lo ha fatto), ma a conti fatti credo che il San Mames sia storicamente un brutto campo per il Barca. Facile scivolare. A me un punto va bene. E poi se devo essere sincero quest'anno il Bilbao mi sembra una signora squadra. Le note negative sono i fatti: 1. il Real Madrid sta sopra, pur giocando con un filo di gas; 2. il gol dell'Athletic è stato molto bello, ma non è un gol che una grande squadra si può permettere di prendere a quel modo. Un Sacchi, un Capello, non so cosa direbbero ai loro giocatori se si azzardassero solo a pensare di farsi trovare schierati a quel modo... Aggiungo, leggo sotto ("Appunti del Sabato") di una "maiuscola prestazione di Chygrynsky". Si, bene, piedi buoni (effettivamente, due grandissime aperture sono partite dai suoi piedi), ma sul gol Llorente era roba sua e manco ha saltato; 3. Bojan ha fatto male a qualcuno? Capisco che Pedro sia un fenomeno, ma pure Bojan meriterebbe forse un pochino più di considerazione. Spero che Pep mi dia ragione e lo schieri prima punta contro l'Inter, così da comporre, assieme ad Henry e Messi, l'attacco a mio avviso più completo; 4. il calendario. E' vero che il Barca sta giocando, tuttavia, arriva l'Inter tra due giorni ed il Real domenica... Io rimango un poco perplesso. Nulla sarà decisivo, ma, sicuramente, attendibile. Nel calcio nulla arriva per caso: non vorrei che come sempre dalle parti di Les Corts se ne dimenticassero. Chiudo con un'ultima considerazione extra-blaugrana. C'è chi se la passa molto molto peggio: i Colchoneros. Ieri ennesima sconfitta. Il paradigma della squadra coi grandi nomi che non raccatta un punto neanche a pagare. C'è da dire, a parziale discolpa, che quella a La Coruna non è trasferta facile.

Appunti del sabato


I consueti brevi appunti su un divertente sabato calcistico vissuto intensamente.

1. Inghilterra. Liverpool e Manchester City ci hanno regalato un quasi-derby del nord tiratissimo. Due squadre fortissime -anche se oggi, a dir la verità, gli azzurri mi sembrano un gradino sopra i reds-, quadrate, gagliarde, hanno lasciato poco spazio alla fantasia e allora il match si è deciso con un doppio duello rusticano nelle rispettive aree di rigore tra Skrtel e Adebayor, nel primo lo slovacco ha allungato il piedone, nel secondo il togolese ci ha messo la testa, e uno a uno. Ma non è finita lì. A quel punto, e mancavano venti minuti, la partita si è infiammata: gran giocata in verticale del City (che quando gioca in verticale, in velocità, è letale) e Ireland firma il bellissimo 1-2. La Kop ammutolisce ma ci pensa il grande Yossi Beanyoun (che talento!) a ristabilire il pareggio dopo appena un giro d'orologio, lesto ad insaccare un insidioso tiro-cross del leziosissimo N'Gog. Ho detto che il City mi sembra più forte del Liverpool e che questo è l'anno buono per creare una breccia nel dominio delle solite quattro (peraltro ieri l'Arsenal ha perso in casa del Sunderland, con una zampata del redivivo Darren Bent. E quando Wenger fa entrare Carlos Vela vuol dire che siamo alla canna del gas, il segnale che la partita è persa): lo dico perchè nonostante tutti i suoi problemi (manca la famosa amalgama) l'organico dei citizens è di gran livello e può sopperire anche alla contemporanea assenza di gente come Robinho, Tevez, Santa Cruz, Toure (come è successo ieri, con l'apache che è entrato solo nel secondo tempo, cambiando la partita). Al contrario, il Liverpool ha una rosa non equilibrata: il greco Kirgyakos è un disastro, soprattutto se gioca in coppia con Skrtel (forse solo Dainelli e Natali formano una coppia più statica, ma vedi dopo); Lucas Leiva non ha il piede e il passo per fare gioco (ieri neanche un minuto per il Principino di Montesacro); Torres fa reparto da solo mentre il suo sostituto, il francesino N'Gog, per quanto si impegni, non farebbe reparto da solo neanche a calcetto. Comunque grande partita ieri, e tutto ancora in bilico.
 
2. Spagna. La notizia è il sorpasso in vetta del Real Madrid dopo un anno e mezzo (era dalla prima giornata del campionato scorso, quando il Barça perse 1-0 a Soria contro il Numancia, che non succedeva). Le merengues si accontentano del risultato minimo in casa contro il Racing Santander, grazie ad un gol del solito Higuaìn e soprattutto al secondo pareggio avversario consecutivo (dopo il possibile 3-3 dell'Atlètico nell'ultimo derby) annullato ingiustamente -per fuorigioco inesistente- a dieci minuti dalla fine. Considerando che in settimana tornerà anche Cristiano Ronaldo, ristabilito dal malocchio (el brujo Pepe permettendo), tra otto giorni si prospetta un super-clàsico col Barcellona da leccarsi i baffi. Barcellona che fa la sua onesta partita nella tiepida serata di Bilbao, ma si distrae su un inserimento del sempre più leggendario Gaizka Toquero e rimane inchiodata sull'1-1. Indimenticabili i jeans di Caparròs, uno dei miei allenatori preferiti, per la sua gestualità da torero e le sue poche, semplici ed efficaci idee sul gioco del calcio. E' incredibile come l'allenatore più andaluso che ci sia (dopo Manolo Jimènez e il grande Paco Chaparro, ex del Betis) abbia trovato la sua casa in Euskal Herria. Da segnalare i costanti fischi ad Henry, la cui mano galeotta contro l'Irlanda lo costringerà ad un finale di carriera poco simpatico, e la maiuscola prestazione di Chygrynskiy, stopper col look da anabattista ed i piedi buoni.
 
3. Italia. Meravigliosa partita all'Artemio Franchi, dove il più forte centravanti del nostro paese si batte contro la peggiore difesa del campionato: la sua! Il Gila è un grande, è un sogno d'attaccante, ma non serve a nulla se a difendere i suoi gol piazzi due statue come Dainelli e Natali, presi in velocità da Bojinov, Amoruso (sic!) e Lanzafame (talento puro: da seguire) per tutta la partita. C'è da dire che Guidolin si è inventato un modulo eccellente ed il suo Parma ha disputato la partita perfetta, trainato dalla qualità di Dzemaili (indiavolato) e Galloppa (grazie Pradè!), e dalla corsa inesauribile di Zaccardo e Paolo Castellini (mio vecchio pallino, qualcuno se lo ricorderà). Soprattutto, mi resta negli occhi l'immagine di Christian Panucci che ruba palla, esce in dribbling, si fa venti metri palla al piede e poi con un elegantissimo lancio d'esterno mette Lanzafame davanti al portiere, per il gol che decide la partita. Vedo Panucci e penso, con rabbia, alla Sensi, a Pradè, e in questo caso anche a Spalletti, il cui atteggiamento con il Grinta non ho mai condiviso. Panucci è e resta un grande giallorosso, uno di quelli che ho amato di più nell'ultimo decennio, non si meritava la solita fuga alla chetichella da Trigoria, la solita mancanza di rispetto, il solito oblio. Spero per lui che il sogno Parma continui.
 
4. Russia. Il campionato più truccato del mondo è finito ed ha vinto di nuovo il Rubin Kazan. Con mio dispiacere, per qualche mese non potrò più scommetterci sopra. Tutta la mia famiglia ringrazia.

giovedì 19 novembre 2009

Carbonara giallorossa


Uscendo per andare alla posta e a pranzo il portiere dal palazzo mi ha omaggiato con una copia del Messaggero che mi ha fatto compagnia mentre aspettavo che la vecchia con il pollo in un sacchetto in fila davanti a me alla posta finisse di spedire tutte le raccomandate che si era dimenticata di compilare a casa e mentre la professionista con l'accento pesante in fila davanti a me al bar finisse di ordinare "er panino co'a sarsiccia". Ne approfitto allora per fare una modesta glossa al boxino "Qui Trigoria" che quotidianamente ci tiene aggiornati sulle elettrizzanti vicende giallorosse:

 
- Ieri sera l'ineffabile Pradè era a Londra per una "piccola missione, di studio, di mercato", per vedere Serbia-Sudcorea (peraltro, secondo me Pradè è il classico paleto che va a Londra e va a cenare in un ristorante italiano, ordina la carbonara e poi, dopo averla assaggiata, fa l'occhiolino al commensale e gli dice "e questa la chiamano Carbonara? Dovrebbero provare quella de mi nonna", e ride) . Oltre al funambolico Jovanovic (in scadenza con lo Standard Liegi) e al ginnasiale Krasic (Cska Mosca), l'osservato speciale era Zigic, punta del Valencia. Parliamone allora.  Zigic -centravanti vecchia scuola, spilungone con poca tecnica (ma neanche troppo poca, vista la sua stazza) e molto fisico- è un giocatore strano perchè negli ultimi due anni ha fatto -per due volte- il viaggio andata/ritorno Valencia - Santander, con risultati modesti sul Mediterraneo ed invece ottimi sul Cantabrico. Potrebbe allora dedursi che è il classico buon giocatore che fa fare il salto di qualità ad una piccola squadra (come è il Racing, che con lui vola), ma che in una realtà più ambiziosa scolora nell'anonimato. D'altronde, anche quest'anno, per la terza volta, non sta riuscendo ad imporsi nella squadra di Unai Emery, se non come onesto rincalzo al guaje Villa. Ciò detto, ben venga alla Roma, e per due motivi: innanzitutto, perchè la Roma attualmente è una piccola squadra; e poi, perchè così torneremmo finalmente a vedere un gol di testa di un centravanti, ovvero il modo più immediato per far gol, che però i lupacchiotti più giovani ormai pensano sia stato vietato dalla FIGC, non avendone mai visto uno (dopo Batistuta, forse solo Carew segnò per sbaglio un volta di testa, prendendo poi a calci tutti i bidoni dello stadio).
 
- "A Trigoria, però, restano ammaliati da Van Nistelrooy". Tralasciando la leggenda che vuole il riufiuto della dirigenza romanista rispetto al trasferimento del bomber olandese quando era ancora in patria, perchè non integro fisicamente, può obiettarsi a questa notizia che si tratta del solito fumo lanciato negli occhi di noi tifosi creduloni. Intanto perchè Ruud non è -come spesso si legge- in esubero nell'attacco del Real Madrid, ma è semplicemente la prima riserva, altrimenti l'avrebbero già ceduto quest'estate,  e quindi bisognerebbe convincere Valdano a privarsi del giocatore; inoltre, bisognerebbe convincere Valdano anche a fargli pagare per intero lo stipendio dal suo presidente, visto che il buon Ruud non credo si accontenti degli spiccioli che prende Guberti; infine, bisogna convincere il calciatore a passare una stagione nella melmosa parte destra del campionato italiano, ma su questo potrebbe far leva il desiderio di giocare con continuità in vista degli imminenti Mondiali sudafricani. Ciò detto, non è che Van Nistelrooy dia molte garanzie da un punto di vista fisico (l'ultima partita giocata, dopo aver segnato, si è di nuovo infortunato); c'è quindi il rischio che venga a fare coppia con Totti non in campo, ma a Villa Stuart.
 
- "Doni (con la Seleçao nemmeno un minuto) ieri ha parlato con Ranieri dopo la non convocazione per Inter-Roma. Si sono chiariti, pare". Qui bisogna dire tre cose: la prima, solo certe radio romane possono mettersi a fare polemica pure con Doni. Voglio dire, mi pare ingeneroso mettersi a criticare un portiere arrivato come un turista, gratis, con uno stipendio da giardiniere, che si è invece rivelato non certo un fenomeno ma un onesto arquero. Le stesse radio che se la prendono sempre con i più deboli e, per esempio, su Juan non dicono niente ("eh ma quando gioca lui..". Già, ma quando?). Qui -ed è la seconda cosa- il solito scandalo è quello della Federazione Brasiliana e della sua faccia tosta. In porta, naturalizzassero Cesare Battisti e ci mettessero lui, visto che non ce lo vogliono ridare. Infine, terza cosa, la mia proposta gettata al vento è di smetterla con la tradizione dei giocatori brasiliani, che salvo onorate eccezioni (non c'è bisogno di fare nomi), di solito hanno più saudade che voglia di giocare. Basta caipirinhe, basta "no sono au siento po siento": io ritornerei alla buona vecchia scuola tedesca (Voeller-Berthold-Hassler dite qualcosa), gente tosta, con due palle così.
 
- Infine, "De Rossi resta ricoverato. Quando uscirà? Non si sa". Grazie Vieira.

* Dimenticavo la notizia più importante: "Quel bilancio è nullo: Unicredit sferra un nuovo attacco a Italpetroli, la società dei Sensi che controlla la Roma. Lo stadio è lontano, ora serve un acquirente". Brindiamo!

Grazie Trap!




L'ennesima lezione che hai dato a tutti noi.

mercoledì 18 novembre 2009

La partita del cuore

Si parlava di politica nel calcio qualche post addietro,di come qualche partita potesse in qualche modo essere alterata in campo e sugli spalti da qualche seria diatriba storica o semplicemente folkloristica,ieri a Omdurman è probailmente accaduto l'inverso,ovvero una partita di calcio è riuscita a rompere forse per sempre l'armonia di due nazioni storicamente "Amiche". Nel 1896 Omdurman fu teatro di una sanguinosa battaglia tra anglo-egiziani e Dervisci(grazie wikipedia! prima di oggi pensavo Omdurman fosse una marca di dentifricio) il 18 Novembre del 2009,Omdurman sobborgo di Karthoum, capitale del devastato Sudan, è tornata alle cronache mondiali grazie ad un altra guerra. Algeria-Egitto spareggio secco per la partecipazione al primo mondiale in Africa della storia,quello che si terrà in Sudafrica nel 2010. Il calcio africano è in continua evoluzione grazie anche alla serie di giocatori squisitamente tecnici(e non solo tutto fisico e polmoni) che in questi ultimi 15/20 anni hanno scalato la ribalta europea e internazionale. Algeria-Egitto riporta il calcio del continente nero(grazie Edoardo Vianello per il prezioso sinonimo)a livelli tribali o almeno così poteva sembrare prima del match.Intendiamoci, il clima era effettivamente da Banlieue parigina sull' orlo di una sommossa,ma con mia(e credo anche vostra) grande sorpresa l'organizazione sudanese ha retto l'urto delle 2 agguerite tifoserie nord-africane. In uno stadio stracolmo di algerini,egiziani e ben 15mila inquietanti poliziotti sudanesi a farla da padrone è la giustizia, divina o terrena che sia, che restituisce ai magrebini un mondiale scippato pochi giorni prima al Cairo. Nel gruppo c della zona africana Algeria e Egitto hanno chiuso appaiate sia nei punti che nella differenza reti in virtù del 2 a 0 siglato dai faraoni con Moteab al 95. Nel pre partita una situazione a dir poco ostile aveva visto accogliere il pullman algerino a suon di sassate. L' Algeria qualificata fino al 95simo è stata probabilmente(....)condizionata dalla pesante aria che si respirava al Cairo. Ieri in Sudan ha prevalso invece, il merito di una nazionale più determinata e decisamente in crescita,con un ammonito finito sul tabellino dopo soli quaranta secondi,con un difensore come Yahia(ex primavera Inter)che inventa un goal da centravanti puro,con i nervi ben saldi nonostante davanti avessero i campioni d'Africa,con un portiere di 24 anni che gioca da veterano senza farsi prendere dal panico neanche dopo un grave errore.Benzema e Nasri per fare solo due esempi, sono talenti prestati alla nazionale francese ma con chiare origini algerine,che aumentano il rimpianto di una nazione che vede da sempre i propri campioni indossare la casacca bleus(vedi Zidane).Ieri l'Algeria intera è tornata a sognare,non lo faceva dai tempi del mondiale del 1986 da quando in campo scendeva il due volte pallone d'oro africano Rabah Madjer detto il "tacco di Allah",da quando nel 1990 alzò il suo unico trofeo la coppa d'Africa.Sono passati 23 anni dal suo ultimo mondiale dopo una sofferenza immane fatta di sassi,crisi diplomatiche e spareggi blindati ed infiniti.......ma scommetto che non esiste un solo algerino sulla faccia della terra che non ammetta che ne sia sinceramente valsa la pena.

martedì 17 novembre 2009

Calcio e (è?) politica

Mi hanno sempre fatto ridere (risa seguite immediatamente da indifferenza) quelli che fanno sfoggio di ingenuo purismo da boy-scout e affermano che calcio e politica non hanno e non devono avere niente a che vedere (considerazione spesso seguita dalla rammaricata "e sai, è per questo che non vado più allo stadio"). Vorrei raccontare loro di una notizia che arriva oggi dalla Spagna, e cioè che il Parlamentino dei Paesi Baschi ha chiesto ufficialmente alla Federercalcio spagnola che la nazionale torni a giocare in Euskadi, dopo ben 42 anni d'assenza. E' questo infatti un atto più politico che sportivo, nel solco dell'opera di riavvicinamento alla spagnolità che sta perseguendo l'inedito governo basco attuale, formato dalla strana coalizione di socialisti e popolari - inedito perchè, a seguito delle elezioni della primavera scorsa, per la prima volta dalla caduta del franchismo, il PNV (il partito nazionalisto basco) ha perso il comando. Il Parlamentino ha approvato l'iniziativa con i soli voti contrari del PNV e dell'altra piattaforma nazionalista Aralar, reclamando alla federcalcio che una partita (anche amichevole) della selecciòn venga ospitata a Bilbao, San Sebastiàn o Vitoria. Addirittura, l'ultima partita disputata sul suolo basco ebbe luogo nel 1967, cuando la Spagna vinse 2-0 contro la Turchia nel girone di qualificazione dei campionati europei del 1968. Si tratta di una vera e propria gatta da pelare per il presidente della federcalcio iberica, Villar, perchè si era parlato tanto di questa possibilità ma fino a ieri, a parte qualche isolata dichiarazione di politici locali, non era mai stata avanzata nessuna proposta ufficiale.

Il problema per il quale si è evitato, in tutti questi anni, che la nazionale giocasse in terra basca è intuitivo e non c'è bisogno di spiegarlo. Si pensi solo al trattamento che il Real Madrid (emblema della Spagna prepotente e dominatrice secondo la vulgata basca) riceve ogni volta che gioca a Bilbao o a Pamplona. Si pensi soprattutto all'ultima finale di Copa del Rey, disputata a Valencia, tra Barcelona e Athletic Bilbao: due squadre in simbiosi con le loro "nazioni", rappresentative delle stesse come se fossero le sue nazionali, trionfo di bandiere catalane e ikurriñe sugli spalti, fischi assordanti all'inno spagnolo, il malcelato disappunto del re Juan Carlos. Un flop per lo Stato, "sequestrato" in uno stadio da due Comunità Autonome. Una partita della selecciòn in Euskadi è, prima ancora che un appuntamento calcistico, un evento politico. Ed è giusto che sia così, perchè il calcio non è il mondo di Heidi, un mondo immaginario slegato dalla vita reale. Ed allora, in ballo c'è l'immagine di una nazionale che, negli ultimi anni e grazie alla sua stupefacente sequenza di vittorie e bel gioco, è stata fatta rientrare a forza nel cuore degli spagnoli, propagandando i media un attaccamento popolare alla squadra che in realtà non è mai esistito; e soprattutto, c'è l'immagine di una nazione che l'onda lunga del successo sportivo l'ha apertamente cavalcato per i suoi fini, mediante l'equazione tifiamo la nazionale spagnola=tifiamo la Spagna. Ma in un territorio in cui la squadra principale è già una piccola nazionale, e dove comunque gioca una selezione "nazionale" (che non è una barzelletta come la nazionale padana), giusto o sbagliato che sia, questo calcolo politico non può funzionare. E così, ad esempio, Eusko Alkartasuna (EA), movimento nazionalista moderato basco, non si è fatto attendere ed ha commentato l'iniziativa dicendo che il passaggio della nazionale per le terre basche "non contribuirà ad accrescere il sentimento spagnolo in Euskal Herria". Addirittura, recita il comunicato ufficiale che "chiedere che la Spagna giochi nei Paesi Baschi è una frivolità che tocca l'irresponsabilità".

Non si tratta allora di prendere posizione sulla questione basca (ognuno avrà le sue idee, dettate da affinità culturali e conoscenza della situazione storico-politica; nello stesso territorio basco, ci sono quelli che sono felici di poter finalmente assistere a una partita della propria nazionale, e altri che ne farebbero volentieri a meno), quanto di ricordare, ancora una volta, ai tanti benpensanti del pallone, che se davvero non vogliono che la politica contamini il loro "gioco", è meglio che si limitino alle idilliache partite di calcetto della domenica in parrocchia, perchè qui fuori il calcio è un'altra cosa, il calcio è un altro mondo, il calcio è la vita normale che viviamo tutti i giorni, polemiche (politiche) comprese.

lunedì 16 novembre 2009

Holly e Benji fra i cantoni

Vista l'attenzione che questo blog sta dedicando al calcio svizzero occorre certamente riportare la notizia della sorprendente vittoria della nazionale elevetica al mondiale under 17. Si tratta di un'impresa che supera per fantasia quelle di Holly e Benji e del loro improbabile Giappone dei cartoni animati. Certo, i mondiali giovanili non hanno grande valore euristico (basti pensare che la Nigeria seconda classificata si giocava il quarto titolo di categoria), però è innegabile la novità insita nella vittoria svizzera. Bisogna considerare vari fattori, non avendo visto le partite non posso dire quanto abbia influito il peso di Sepp Blatter (un vecchio amico del blog), però al di la di queste cosiderazioni dietrologiche occorre dire che forse si sta aprendo un nuovo fronte nel mondo del calcio: le nazionali del futuro saranno quelle che sapranno cavalcare meglio il fattore melting pot. L'"ospizio europa" potrebbe trovare nuova linfa fornendo il proprio know-how di strutture e di sapienza tecnica per disciplinare talenti di etnie ricche di qualità ma povere di organizzazione. Gli alfieri dei neo campiocini si chiamano Seferovic e Ben Khalifa che sicuramente non sono nipoti di Guglielmo Tell. La balcanizzazione del calcio svizzero potrebbe avere lo stesso effetto dell'africanizzazione per quello francese negli anni 90 e così sarà per altre nazioni (l'under 21 tedesca è per otto undicesimi composta da figli di immigrati). Dobbiamo aspettarci un calcio che sia l'equivalente della cucina fusion?

Tropico del cancro

A caldo, dopo una piccola rassegna stampa, voglio esprimere il mio apprezzamento per la scelta di Bobo Vieri di andare a giocare in Brasile. Ho sempre ritenuto Vieri, più che un mercenario, un nomade del calcio, un apolide sradicato e vagamente naif. La scelta di andare in Brasile è , poi, davvero inconsueta e controcorrente soprattutto in un paese che cerca il Brasile in Via Gradoli. Vai Bobo, seguiremo le tue gesta anche in quel campionato dall'erba altissima e dai difensori improbabili!

venerdì 13 novembre 2009

L'erba del Ticino

Dopo il racconto dell'epica finale di due anni fa contro il Basilea, oggi per il Bellinzona è il turno della cronaca spicciola. Avevo scritto che di fronte alla recente allarmante serie di risultati negativi, quasi tutti con sconfitte di larghissima misura (1-7 con lo Youngboys, 0-5 con il San Gallo, 0-7 con il Grasshoppers Zurigo, cui è da aggiungersi l’eliminazione - per 4-5 - in Coppa Svizzera ad opera del Kriens), il posto dell'allenatore dimissionario Marco Schällibaum l'aveva preso Davide Belotti, ex stopper rosa-granata e già baluardo del Vicenza dei miracoli. In realtà non avevo capito che quello era solo il classico traghettatore in attesa del vero sostituto. Ebbene, come scrive il quotidiano ticinese il mattino, la riserva è stata sciolta, gli indugi sono stati rotti, il dado è stato tratto, e il nuovo tecnico è l'italianissimo Alberto Cavasin. Il mister trevigiano, cacciato un mese fa dal Brescia, cerca così una piccola rivincita fuori dall'Italia; ma d'altronde si sa, l'erba del Ticino è sempre più verde. Cavasin ha firmato sino al termine della stagione in corso e si presenterà domani alla squadra al "Comunale". Gli obiettivi sono chiari: racimolare i punti necessari alla salvezza (ora la squadra è penultima) e recuperare il morale che le ultime batoste in campionato ed in coppa Svizzera hanno fatto a pezzi, magari puntando sulla consacrazione del gioiello Russotto. Vederemo se ci riuscirà, o se si farà esonerare dopo un paio di mesi, com'è sua consuetudine. Auguri Bellinzona!

La punizione del secolo

Non importa che tu l'abbia vissuta o meno, quando si parla di mondiali la prima immagine che ti viene in mente è quella che vede Diego Armando Maradona davanti ai 115 mila dello stadio Atzaeca  che dribbla mezza Inghilterra, Regina compresa e schiaffa la palla alle spalle di un incredulo Shilton. Era il 22 Giugno del 1986. Il 22 Giugno di dodici anni prima la storia dei mondiali aveva aggiunto un altra perla non esteticamente affascinante e perfetta come quella di Città del Messico ma altretanto stupefacente.

A Gelsenkirchen si giocava Brasile-Zaire, erano i campionati del mondo del 1974, quelli del calcio totale dell'Olanda di Cruyff, organizzati e vinti dalla Germania-Ovest. Il Brasile aveva ottenuto nelle prime due gare due punti, pareggiando 0 a 0 contro Jugoslavia e Scozia, lo Zaire aveva chiuso le prime due sfide con un onorevole sconfitta per 2 a 0 contro la Scozia ed una tremenda disfatta per 9 a 0 contro la crudele Jugoslavia, che provocò addirittura la richiesta (in lacrime) di sostituzione (dopo 21 minuti e tre goal incassati) da parte del portiere Zairese Kazadi (eletto nel 2000 estremo difensore del secolo per quello che riguarda la Repubblica Democratica del Congo-ex Zaire).

Brasile-Zaire terminerà con un secco e non eccessivo 3 a 0 a favore, neanche a dirlo, dei campioni del mondo in carica. Non riesco a trovare l'esatto minuto in cui Ilunga Mwepu entra nella storia dei mondiali e del calcio in generale. Siamo nel secondo tempo e il Brasile è in vantaggio, un calciatore carioca viene falciato da due giocatori africani ad una ventina di metri dalla porta difesa dal suscettibile Kazadi. L'arbitro rumeno Renea prova in qualunque maniera a tenere a debita e giusta distanza la difesa dei leopardi di Kinshasa, opponendosi anche fisicamente all'avanzare della disordinata barriera colored. Appena riuscita la titanica impresa, il direttore di gara fischia, Roberto Rivelino (per molti uno dei giocatori brasiliani più forti di sempre) prende una lunga rincorsa, in quello stesso momento Ilunga Mwepu ha un black-out, corre verso la palla e la calcia con una puntata terrificante verso la porta difesa dal brasiliano Leao; Rivelino è incredulo, i calciatori della Selecao sono increduli, lo stadio di Gelsenkirchen è incredulo, Renea (che ha la faccia di uno che vorrebbe chiedere "cosa cazzo ti è passato per la mente?") ammonisce il numero due africano ed è particolarmente imbarazzato nel farlo, forse anche dispiaciuto.

Ilunga chiede spiegazioni, non si da pace, poi china la testa e allarga le braccia tornando mestamente in barriera, Rivelino comincia a ridere, i calciatori brasiliani cominciano a ridere e con loro tutta Gelsenkirchen, addirittura Jairzinho sghignazzando fa un eloquente gesto con la mano come a dire "questo è pazzo". Questa è la scena più divertente della storia della coppa del mondo. Finchè non scopri lo strato neanche troppo sottile di tristezza che la circonda. In seguito alla pesante debacle contro Jugoslavia, il dittatore Zairese Mobutu (non esattamente Winnie Pooh) aveva inviato le sue poco socievoli guardie personali all'albergo che ospitava Ilunga e compagni, con la minaccia che se avessero perso con più di tre goal di scarto contro i campioni del mondo in carica (non esattamente la Pistoiese) difficilmente sarebbero riusciti a tornare a casa (Mobutu era dedito alle fucilazioni pubbliche).

In un intervista Ilunga Mwepu giustificò così il suo folle gesto, aggiungendo anche che mentre vedeva Jairzinho e tutti i brasiliani ridere di lui cominciò a dare a voce alta del "bastardo" a tutti i suoi avversari, perchè non si rendevano conto di quello che poteva accadere a lui e alla sua squadra in caso di 4 a 0. Ilunga calciando quel pallone ha cercato di allontanare l'angoscia e la paura per la sua incolumità personale e per quella dei suoi compagni. Rese anche noto che lui e i suoi colleghi partirono per la Germania con la speranza di tornare ricchi e famosi in patria ma che in realtà giocarono quel mondiale gratis. Concluse la sua intervista dicendo che potendo tornare indietro avrebbe dedicato la sua vita all'agricoltura. Era un giocatore sfortunato Mwepu, in quella stessa stagione lo Zaire vinse la Coppa d'Africa, Ilunga però in semifinale con l'Egitto causò con un autogol il momentaneo 1 a 0 a favore dei padroni di casa.

Una volta a dirla tutta ebbe fortuna: nel 9 a 0 della Jugoslavia Mwepu scalciò un avversario, l'arbitro però si confuse e cacciò dal campo un suo compagno. Fu solo per uno scambio di persona che Ilunga non evitò la più grossa figura di merda della storia del calcio, se il cartellino fosse stato sventolato in faccia a lui, Rivelino, Jairzinho e il mondo intero non avrebbero riso del suo gesto tragicomico. Non si ride mai delle sfortune altrui e fu così che la Jugoslavia spaccona nel secondo girone realizzò zero punti, il Brasile campione in carica arrivò quarto, sconfitto nella finalina da una grande Polonia, Jairzinho che quello stesso anno tentò l'avventura europea con il Marsiglia fallì miseramente e concluse la sua carriera tra Bolivia e Venezuela.

Ilunga Mwepu oggi è allenatore in seconda in quel di Malta. Nei momenti liberi torna nella Repubblica Democratica del Congo, con sua moglie Jeanne. Probabilmente lavora la terra e mentre lo fa ripensa a quel 22 giugno.. grazie a quel gesto scellerato dettato dal panico Ilunga Mwepu sarà ricordato per sempre nella storia del calcio proprio come Maradona.. alla faccia della Jugoslavia.. del Brasile.. ma soprattutto di Jairzinho.

Quella Roma targata Flamengo: il tragicomico 88-89 di Renato e Andrade


(Renato Portaluppi con Miss Scudetto)

Una delle poche consolazioni che rimangono quando le cose vanno male è pensare che, in passato, le cose sono andate anche peggio, eppure oggi siamo in grado di riderci su. E' questo ciò che provo mentre sfoglio un vecchio libro che credevo perso, e che invece ho ritrovato (non senza commuovermi parecchio), nascosto tra gli album Panini: "Roma 88-89", di tal Nicola Bosio. Un libro, appunto, che presenta ai fedelissimi tifosi giallorossi una delle stagioni più tragicomiche della squadra capitolina, quando ancora non era iniziata; quando dunque l'illusione dell'estate non aveva ancora lasciato posto alla depressione dell'inverno. D'altronde, le foto (oggi si direbbe vintage) in copertina fanno ben sperare: il capitano Giuseppe Giannini, il vecchietto Bruno Conti e il tedesco volante Rudi Voeller fanno sfoggio di una romanticissima maglietta targata Barilla (sponsor tecnico nr), quella indimenticabile con il lupetto sul cuore, e danno l'idea del potenziale tecnico a disposizione di mister Liedholm. Eppure, quell'anno, o meglio, anche quell'anno.., qualcosa andò per il verso storto. Io avevo cinque anni, e quella fu la mia prima vera stagione vissuta dietro alla Magica - forse già allora avrei dovuto capire in che razza di guaio mi ero andato a cacciare.

Le premesse c'erano tutte. Saltato Sven Goran Eriksson nell'estate 1987, sulla panchina della stagione 87-88 era tornato il barone Liedholm, che aveva portato la squadra ad un onorevole terzo posto, non senza qualche contestazione da parte dell'esigentissima platea capitolina verso la fine della stagione. Ad ogni modo, un piazzamento del genere faceva ben sperare per la stagione successiva; "del resto", come riporta il mio libro, "i mezzi per sognare...ci sono certamente". La contestazione dell'anno precedente aveva avuto come effetto quello di convincere il presidente Dino Viola [approfitto allora per salutare l'amata moglie Flora, scomparsa l'altroieri] e il tecnico Nils Liedholm a rafforzare l'undici di base e a creare una rosa valida e competitiva in vista di una stagione davvero ricca di appuntamenti (campionato, coppa Italia e coppa Uefa, per non farci mancare niente). Il primo colpo messo a segno dal "Senatore" fu l'ingaggio di Ruggiero Rizzitelli, conteso a suon di miliardi alla Juve di Boniperti, anche per far dimenticare la delusione per la partenza del bomber Roberto Pruzzo, che dopo dieci campionati con la Roma si avviò a chiudere la sua prolifica carriera nella Fiorentina. In effetti, tornando a Rizzitelli, il funambolico centravanti cesenate pareva ormai indirizzato verso Torino, ma quando la sua firma con la Vecchia Signora era solo una formalità ecco che intervenne Viola, che con una super offerta di dieci miliardi riuscì ad accaparrarsi uno dei giovani attaccanti più promettenti del panorama internazionale. Ma a parte Rizzi-Gol, tutti i giornali sportivi furono concordi nel considerare un altro acquisto come il fiore all'occhiello della campagna acquisti giallorossa: Renato Portaluppi, eccezionale ala proveniente dal Flamengo.

Sulla nuova stella della Roma di Nils Liedholm si scrisse parecchio ancor prima del suo arrivo, ma solo dopo averlo visto giocare qualche partita di precampionato e coppa Italia ci si rese conto dell'importanza e della straordinaria grandezza di questo fantasioso giocatore. D'altronde, in Brasile, nelle file del Flamengo, Renato era un vero e proprio idolo, tanto che alla notizia della sua partenza per Roma i sostenitori della squadra rossonera carioca scatenarono un'autentica rivolta contro la società.
Ma niente impedì a Renato di approdare alla corte di Dino Viola, con ovvia soddisfazione dello stesso presidente, di Liedholm e dei tifosi della Magica, che elessero subito Renato loro nuovo profeta. Capelli lunghi, calzettoni abbassati, maniaco del dribbling e preparatissimo tecnicamente e fisicamente, Renato aveva tutte le carte in regola per diventare presto uno dei migliori giocatori a livello internazionale. Certo, arrivò a Roma con la fama di essere uno che ama molto la vita, soprattutto quella un po' spericolata e notturna, e a tal proposito i tifosi romanisti erano un po' preoccupati per strane voci che volevano il campione brasiliano vero e proprio idolo delle discoteche e delle donne. Addirittura, le pagine rosa dei quotidiani italiani aprirono un vero e proprio caso, attribuendo alle sue performance sessuali una possibile inconsistenza in mezzo al campo. Pettegolezzi, tra l'altro, che lo stesso brasiliano non fece altro che confermare alla presentazione ufficiale, dove esordì affermando: "Più che i terzini, dovranno essere le loro mogli a stare attente a me". Ma, come ricorda giustamente il libro, "in fondo, ai tifosi interessano i risultati e Renato ha fino ad oggi contribuito in maniera determinante ai successi giallorossi nel girone preliminare di coppa Italia. Ed è giusto che il calcio giocato a volte sconfigga il pettegolezzo".

Oltre all'eclettico Renato, può dirsi che la mossa più importante per l'economia del gioco di Liedholm fu senza dubbio l'acquisto, per un miliardo e mezzo, sempre dal Flamengo, del centrocampisto Jorge Luìs Andrade. Il suo non indifferente biglietto da visita fu la fresca elezione come miglior giocatore dell'ultimo campionato carioca. Titolare della nazionale Olimpica brasiliana, Andrade arrivò con la fama di buon uomo d'ordine, un classico incontrista molto utile per il gioco a zona di Liedholm. In realtà, Andrade si era messo in luce nel campionato brasiliano non solo per le sue geometrie: le sue doti migliori erano i lunghi lanci a smarcare l'uomo e il tiro dalla distanza. Compagno di squadra dello straordinario Zico e del grande Junior, vinse anche una coppa Intercontinentale e una Coppa Libertadores. Durante l'estate si parlò molto di una possibile incompatibilità con il duo Giannini-Desideri, ma in realtà il brasiliano giocava molto più arretrato dei suoi compagni, garantendo un ottimo filtro a centrocampo e un valido appoggio di rimessa. Per la sua eleganza in campo, i tifosi lo accolsero soprannominandolo "marajah", ed anche il libro infatti è ottimista: "non appena avrà assimilato il modulo tattico a zona di Liedholm e si sarà adattato alle esigenze di un calcio che non è certo spettacolare come quello carioca, ma estremamente pratico, la sua buona riuscita non dovrebbe tardare ad arrivare. Del resto anche il mitico Falcao aveva avuto non pochi problemi all'inizio, e una volta che li aveva superati era riuscito ad incantare l'esigentissima platea romanista".

Quindi, dopo l'acquisto del giovane Di Mauro dall'Avellino, l'insaziabile dirigenza romanista mise a segno due colpi finali davvero importanti: dal Milan arrivò Daniele Massaro, elemento utilissimo che preferì cambiare aria piuttosto che fare panchina con i campioni d'Italia rossoneri, e dal Napoli Moreno Ferrario, scaricato dopo la nota "rivolta dei quattro" contro Ottavio Bianchi dell'anno precedente. Con il recupero di Sebino Nela, che era stato fuori per infortunio per circa un anno, e con un Conti ancora pronto all'uso, la Roma aveva così assestato il suo organico, che prevedeva tra i pali l'esperto Tancredi, con l'alternativa del promettente Peruzzi, in difesa Tempestilli, Nela, Manfredonia (spostato nel ruolo di libero dopo la partenza di Signorini), Collovati, Oddi e Ferrario, a centrocampo Andrade, Policano, Gerolin, Massaro, Giannini, Conti e Desideri, e in attacco Renato, Rizzitelli e un finalmente ritrovato Rudi Voeller, che la società riconfermò dopo mille incertezze (per i pochi gol segnati l'anno prima). Ecco la foto ufficiale:



Obiettivamente, il Barone aveva in mano una rosa di tutto rispetto, davvero competitiva, ed allora anche il mio libro si fece prendere dall'entusiasmo (illudendo così anche un bambino come me): "A sei anni dalla vittoria del tricolore e da quella fantastica era targata Falcao, la formazione giallorossa tenta ora una nuova scalata; i mezzi per arrivare in alto ci sono e la convinzione di ben figurare in questo campionato ha ormai pervaso tutti, dai dirigenti ai giocatori, dagli addetti ai lavori ai tifosi. Se poi dovesse arrivare anche qualche trofeo o addirittura lo scudetto...sarebbe tutto di guadagnato". Nicola Bosio, ovvero un profeta.

A dirla tutta, anche le altre squadre si erano ben attrezzate; anzi, può dirsi che il calciomercato 1988 fu davvero pirotecnico, anche grazie alla nuova regola che permetteva di tesserare un terzo straniero, oltre ai due già ammessi. Come ricorda wikipedia, ne approfittò innanzitutto il Milan che completò così il terzetto olandese ingaggiando dagli spagnoli del Zaragoza il centrocampista Frank Rijkaard, mentre il Napoli prese il mediano Alemão, sempre dalla Liga spagnola (dall'Atletico Madrid). La Juventus voltò pagina: in panchina arrivarono Dino Zoff insieme all'amico Gaetano Scirea, ritiratosi dall'attività agonistica al termine della stagione precedente: una coppia di tecnici che piacque a critica e tifosi. Il colpo dell'estate comunque lo fece la Fiorentina assicurandosi dal Como il forte centravanti Stefano Borgonovo. Tra i tanti stranieri che arrivarono, due furono quelli destinati a lasciare il segno (anche, seppure per diverse ragioni, tra i tifosi romanisti): l'uruguaiano Ruben Sosa alla Lazio e l'argentino Claudio Paul Caniggia al Verona. La Fiorentina si assicurò dal Pisa il giovane regista brasiliano Carlos Caetano Bledorn Verri, meglio noto come Dunga, giocatore di sicuro avvenire. Grandi colpi anche per l'Inter: ceduti Passarella (tornato in Argentina al River Plate) e Scifo (ai francesi del Bordeaux), arrivarono i tedeschi Lothar Matthäus e Andreas Brehme, entrambi dal Bayern Monaco; a completare il terzetto straniero arrivò dalla Fiorentina la seconda punta Ramon Diaz. Ma il vero colpo di mercato dei nerazzurri fu il giovane e promettente Nicola Berti, preso sempre dai viola, centrocampista dalla infaticabile corsa e dallo spiccato senso del gol. Altri acquisti folcloristici furono Tita al Pescara, Milton al Como, Demol e Aaltonen al Bologna, Severeyns e Been al Pisa, Vincze al Lecce, Skoro  e Müller al Torino, Cvetković e Arslanović all'Ascoli, Zavarov e Rui Barros alla Juventus. Insomma, fuochi d'artificio.

A questo punto rimane da dire cosa accadde in questo famoso campionato 88-89. In realtà -come molti si ricorderanno- ben poco: lo vinse l'Inter (l'ultimo prima di molti, moltissimi anni), anzi lo stravinse, guidata dai gol di Aldo Serena (capocannoniere con 22 centri). Secondo arrivò il Napoli; il detentore Milan si "accontentò" del trionfo in coppa Campioni; la Sampdoria di certi ragazzi terribili vinse la coppa Italia. E la Roma, che "se poi dovesse arrivare anche qualche trofeo o addirittura lo scudetto...sarebbe tutto di guadagnato"? E il funambolico Renato? E il metronomo Andrade?

La stagione giallorossa -tanto per cambiare- fu altalenante e (viste le premesse) incolore, conclusa con un misero ottavo posto in campionato, frutto dello spareggio per l'Uefa perso sul neutro di Perugia contro la Fiorentina: uno a zero, gol -manco a dirlo- del grande ex Roberto Pruzzo. In coppa Italia, non superò il secondo turno a gironi. La cavalcata in coppa Uefa, dopo aver sconfitto Norimberga e Partizan, fu stroncata da un doppio 2-0 inflitto dai gialloneri della Dinamo Dresda [mi piace ricordare che uno di noi ha a casa la loro sciarpa]. Peraltro, la stagione fu segnata da due grandi dispiaceri: uno a livello sportivo, con la sconfitta nel derby per 1-0 con gol di un giovanissimo Di Canio; e uno, molto più grande, a livello umano, con la vigliacca morte a Milano di Antonio de Falchi.

Renato Portaluppi non riuscì mai ad ambientarsi, almeno in campo (fuori pure troppo), tanto che lasciò la Roma dopo una sola deludente stagione. Eppure, come anticipato, era partito con il passo giusto: in coppa Italia segnò 3 gol in 5 gare al primo turno. Tuttavia, la vena realizzativa si esaurì lì. Da quel momento segnò solo un'altra volta, in coppa Uefa contro il Norimberga, partita nella quale venne anche espulso. In tutto giocò, in campionato, 23 gare senza mai andare a segno. Ciò non gli impedì di guadagnarsi un affettuoso coro della curva sud, sulle note della celebre canzone portata al successo da Mina: "Renato, Renato, Renato, la cocaina te sei pippato...".
Oggi, quando non tromba, Renato siede sulla panchina del Fluminense.


Infine, Jorge Luìs Andrade. L'inserimento in squadra ad inizio stagione non fu dei migliori: ancora troppo lento, forse per l'eccessiva faticosità del nostro torneo, Andrade stentò ad entrare nel vivo del gioco. Ben presto, iniziò ad essere malvisto dai compagni di squadra per lo scarso dinamismo che dimostrava sul campo e per lo scarso impegno che dimostrava negli allenamenti. Dopo le prime deludenti partite, anche i tifosi mutarono opinione e gli cambiarono il soprannome: per la sua lentezza, Andrade divenne "Er Moviola". Il suo momento più alto lo toccò durante l'incontro di ritorno di coppa Uefa a Dresda, con la neve ed il campo ghiacciato, quando Nils Liedholm lo fece entrare ma lo sostituì dopo pochi minuti, dopo averlo visto scivolare e cadere per terra. In totale, collezionò in maglia giallorossa solo 9 presenze. Non a caso, a fine campionato, i tifosi romanisti esasperati e delusissimi dal cattivo rendimento della squadra, esposero uno striscione molto significativo: Andrade tutti a 'fan culo. A fine torneo tornò in Brasile per proseguire, con molta calma, l'attività agonistica fino a quarant'anni, facendo l'allenatore-giocatore.
Oggi, Andrade fa ancora l'allenatore in Brasile, e probabilmente non avrà perso la sua tragicomicità. Purtroppo, o per fortuna, neanche la Roma.

[tutte lo foto vengono da qui. grazie]


mercoledì 11 novembre 2009

L'ultimo inglese

Una volta si diceva che gli inglesi erano divisi in due categorie: i soldati che estendevano i confini dell'impero e gli altri 50 milioni che conquistavano il mondo seduti in pub. John Terry ben potrebbe rientrare in ognuno di questi due gruppi. John è l'ultimo inglese, la traccia di un calcio che forse non esiste più. Difficilmente qualcuno nel Chelsea egualierà il suo palmares e il suo carisma da vero capitano coraggioso di mille imprese come il goal al Barça nella Champions 2005. I grandi campioni, però, si vedono nelle difficoltà e l'ultimo gol siglato a poche ore dalll'arresto del padre per spaccio è l'ennesima conferma degli attributi del numero 26. Picco letterario della sua vita resta il rigore delle finale di Mosca, una di quelle resacas che neanche un English breakfast a base di aspirina e acqua minerale può cancellare. Io, però, credo che nel calcio ci sia sempre un disegno, una designazione ineludibile nell'algebra del mistero, per cui sono convinto che quella stessa divinità che ha messo una buccia di banana invisibile su quel dischetto saprà restituirgli il credito regalandogli una zuccata vincente o uno spunto in una mischia in una calda notte sudafricana, e magari fargli alzare la coppa da Skipper dell'Inghilterra. Onore a John Terry, per quel poco di Premier League che c'è rimasta.

martedì 10 novembre 2009

Il silenzio dopo Zeman


Parlare di Zdenek Zeman è per me parlare di calcio nella sua massima espressione e quindi sempre un piacere; ma è anche un dovere morale perchè la damnatio memoriae cui è stato confinato dal mondo del pallone richiede la continua testimonianza di chi invece non dimentica il suo insegnamento. Pare assurdo che il detonatore del più grande scandalo sportivo del nostro tempo, le cui dichiarazioni hanno trovato plurima conferma in registrazioni e testimonianze giudizialmente accertate (da cui è plausibile inferire che in realtà ciò che è uscito è solo la punta di un iceberg), sia stato messo da parte come un oggetto fuori moda, quando non bandito come un ciarlatano da illustri addetti ai lavori. Finchè Zeman sarà costretto a calpestare i campi da golf e non quelli da calcio avremo la prova della corruzione di un sistema che non tollera intrusi. Diceva un poeta catalano che "come dopo una detonazione cambia il silenzio, così la guerra ci lasciò sordi per molto tempo", ed è vero, dopo le parole di Zeman aleggia sul calcio italiano un silenzio diverso, un silenzio strano, un silenzio assordante. Sono stati anni grigi questi, anni sprecati ostinatamente ad imparare a non sentirsi sordi, e a non sentirsi soli. Il silenzio di oggi è allora un nuovo silenzio, perchè riempito dalla nostra fiducia in un futuro diverso per il calcio. Non permetteremo che il boato zemaniano si dimentichi tra le pieghe della storia; non lasceremo che ritorni la sordità. Almeno io, no. Per questo motivo, mi ha colpito una frase che ho distrattamente ascoltato poco fa in un'intervista -diciamo- incrociata a Zeman e al figlio (oggi allenatore nelle serie minori)  su sky; mi ha colpito una frase proprio di quest'ultimo, secondo cui, in realtà, la presenza del padre non ha affatto cambiato il mondo del calcio, che senza di lui sarebbe stato lo stesso, perchè il mondo del calcio non l'ha mai capito e quindi è come se non l'avesse mai avuto. Non è un caso che un attimo dopo Zeman dica che la sua più bella esperienza come allenatore l'ha vissuta a Licata; detta da lui, è una frase priva di retorica, di moralismo, di paradossalità, ma piena invece di umanità, di passione, di vita. Sono certo che tutti gli allenatori che l'hanno osteggiato (da Capello a Lippi, passando per tutti gli altri) risponderebbero citando il loro più importante successo. Qualcuno potrà obiettare: Zeman dice così perchè non ha scelta, non avendo vinto niente. Non è vero: Zeman ha vinto il premio più importante, quello della nostra memoria eterna. Gli altri invece, il mondo del pallone tutto, se li porterà via la schiuma dei giorni, e resteranno solo delle coppe in un museo, oggetti vuoti che circondano di solitudine. Mi chiedo allora cosa sia rimasto di Zeman nel nostro calcio, se qualcosa è rimasto, e se ne è valsa la pena.