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mercoledì 30 ottobre 2013

La Maledizione di Bèla Guttmann | PT. 2


L’esperienza italiana
Guttmann attraversa le Alpi per dirigersi a Roma. Un intermediario di mercato gli garantisce che la Roma è pronta ad investire su di lui, l’occasione è delle migliori, ma purtroppo la realtà è ben differente. Una volta arrivato a Roma, i dirigenti della società capitolina, non hanno idea di chi sia Guttmann e lo informano di non essere alla ricerca di un allenatore. Sembra un brutto incubo, ma per fortuna c’è il lieto fine. Tramite alcuni intermediari più affidabili, Guttmann trova il suo primo incarico nel “belpaese”, firma con il Padova.

Guttmann riattraversa il mare, gira un po' qua un po' là, e giunge a Padova. Propone che, gli si dia la squadra, senz'altro compenso immediato che il mantenimento: il contratto lo si farà poi. E prende a lavorare come solo chi ha fame sa fare. Gli danno i premi personali di partita, e lui li distribuisce ai giuocatori: un investimento... Allena gli uomini sul fiato, sulla freschezza, sulla resistenza fisica. E tira fuori una squadra che tecnicamente non fa faville, ma che corre, salta, calcia, lavora novanta minuti come un motore la movesse. Una squadra che, dopo tredici giornate di giuoco, ha perso una sola partita, e sta al secondo posto della classifica, e tira il colpo a battere la prima. Storia patavina del passato e del presente”. (Vittorio Pozzo)

Vittorio Pozzo, l’allenatore “eroe” della nazionale, unico ad aver vinto consecutivamente due campionati del mondo, ne intuisce lo straordinario talento nell’allenare, nonostante il Padova, la prima squadra italiana di Guttmann, non abbia al suo interno molti talenti. Ne riassume il percorso, che sfortunatamente, dopo questa incredibile serie positiva, crolla a causa dell’ennesima “follia” di un allenatore sempre sopra le righe.

Durante la stagione il portiere titolare del Padova è un certo Monsider, giocatore croato mal visto da compagni e tifosi in quanto giudicato di scarso livello, questo nervosismo latente nella squadra esploderà lasciando una crepa nel rapporto tra la squadra e l’allenatore.
Dalla 14^ giornata il Padova incassa 13 sconfitte. Bèla Guttmann è di nuovo esonerato con un gelido e misterioso comunicato che gli addossa: “...fatti concreti appurati da indagini ineccepibili che intaccano direttamente la responsabilità personale dell'allenatore”.


L’allenatore, poco dopo l’esonero, viene indagato dalla procura federale per aver ricevuto una percentuale in nero sul trasferimento del criticato portiere Monsider. A Guttmann viene ritirata la tessera federale ma continua a svolgere il suo lavoro clandestinamente e lo fa con la Triestina. I risultati e soprattutto le prestazioni non lo premiano e così, nonostante la restituzione della tessera federale, l’ungherese vola in sud America, dove troverà tutt’altro che fortuna nella serie cadetta del campionato argentino. A causa di problemi respiratori della moglie, Guttmann cerca un impiego nel Mediterraneo, consigliatogli dai medici. Raggiunge alla cipriota Apoel di Nicosia, dove permane tre mesi prima della grande occasione: il Milan.

Il Capolavoro di Guttmann
Appena arriva la chiamata del Milan, il mister ungherese vede in essa l’occasione perfetta. Il campionato è già iniziato ed il Milan galleggia a stento a metà classifica. E’ ormai risaputo che le migliori squadre di Guttmann hanno bisogno di una forte preparazione per ingranare, nessuno si aspetta risultati immediati e lui avrà il tempo di plasmare una grande squadra al suo credo calcistico. La fortuna gli riconoscerà l’audacia di tal gesto. Il primo anno il Milan ottiene un terzo posto a pari merito con la Fiorentina, ma la notizia è un’altra. La squadra è stata acquistata dal ricco industriale Andrea Rizzoli, editore e produttore cinematografico. Con lui arrivano soldi freschi, pronti ad essere investiti per un grande campione, fortemente voluto dal mister: Juan Alberto Schiaffino.


Inoltre Guttmann si va a riprendere un suo giovane pupillo allenato ai tempi della Triestina, un tale Cesare Maldini e consegna le chiavi della porta a Lorenzo Buffon con un semplice e breve consiglio: “Piccola cosa più piccola cosa fa grande capolavoro”.
La squadra è una macchina da guerra, così composta nei ruoli chiave; Nils Liedholm reinventato come centromediano davanti alla difesa è un vero leone, un genio della tattica. Sorensen e Schiaffino, a dare velocità e classe come mezzali di centrocampo, in avanti “il pompiere” Gunnar Nordahl come ariete dell’attacco.
Il Milan, nelle prime 10 partite, ottiene 9 vittorie consecutive ed un pareggio contro la Juventus di Gianpiero Boniperti.

Inizia una terribile flessione del Milan, si pensa sia successo qualcosa nello spogliatoio, ed i sospetti vanno tutti la direzione di Guttmann, non nuovo a questo tipo di contrasti con i suoi calciatori. I rossoneri otterranno una sola vittoria in tutto il girone di ritorno. Il nervosismo è palpabile e le voci, più o meno veritiere, si moltiplicano. Una di queste è reale, Guttmann e la moglie Marianne, sono in un locale di Milano, incontrano Lajos Czeizler, suo collega nonché connazionale, con rispettiva consorte. Nonostante siedano al tavolo insieme dopo una discussione, i due allenatori vengono alle mani . Nella rissa vengono coinvolte le mogli, Marianne, moglie di Béla, spacca una bottiglia in testa alla signora Czeizler.

I due ungheresi s’incontrano sul campo due settimane più tardi, con le rispettive squadre : Milan e Sampdoria.
Per il Milan ennesima disfatta, perdono 1 a 3 e Czeizler, beffardo si gode la vittoria e getta il proprio disprezzo umano su Guttmann, una volta giunto a colloquio con i giornalisti nel postpartita. Guttmann tace, è convocato in piena notte nella sede della società, il suo destino è appeso ad un filo.
Alle prime luci dell’alba la dirigenza decide : Esonero.
Guttmann, il giorno dopo svuota il suo armadietto al centro sportivo, all’uscita trova dei giornalisti e dichiara “Sono stato licenziato anche se non sono né un criminale né un omosessuale. Addio” e si congeda con un teatrale inchino.
Di lui si perdono le tracce fino all’aprile dello stesso anno, quando non sarà la cronaca calcistica a portarlo di nuovo alla ribalta.

Guttmann il pomeriggio del 2 aprile 1955 è alla guida della sua auto per le vie del centro di Milano. Due bambini attraversano la strada all’improvviso. Guttmann, a causa dell’alta velocità della sua auto, non riesce a frenare. Uno dei due bambini muore. E’ novembre e Guttmann viene rinviato a giudizio. In prossimità dell’udienza l’ungherese fugge dall’Italia, abbandonando la sua neo squadra, il Lanerossi Vicenza.
Nel maggio si torna a parlare di lui, la stampa spagnola annuncia le trattative, ormai prossime alla conclusione, tra Guttmann e la dirigenza dell’Atletico Madrid. Un emissario madrileno, torna da Budapest con il contratto firmato. Nonostante ciò, nessuno ha mai visto Béla Guttmann dalle parti di Madrid. Un altro mistero sul quale l’allenatore, non farà mai luce.



La Rivoluzione Brasiliana
Béla, notevolmente provato dall’ultimo anno trascorso, si prende una pausa dalla panchina. Sottoscrive un contratto come direttore tecnico dell’Honvèd di Budapest. La squadra è chiamata ad un tour in Brasile. Nel frattempo l’Ungheria è scossa da aspri scontri civili a causa della rivoluzione antisovietica. L’Honvèd decide così di prolungare il soggiorno in terra brasiliana fino al termine delle ostilità. Guttmann non rimane con le mani in mano, incontra dirigenti ed alti esponenti del calcio brasiliano, uno di questi gli parlerà di una possibilità di allenare il San Paolo. Dopo aver studiato la squadra, l’ungherese preme per incontrare i dirigenti. Arriva la firma e Béla rivoluzionerà il modo di fare calcio in Brasile. I giocatori brasiliani sono dotati di grande fisicità e tecnica ma secondo l’ungherese i loro allenamenti non aiutano nell’esaltazione di queste caratteristiche, quindi studia un piano di allenamento personalizzato per ogni singolo giocatore paulista. Cambia modulo, introducendo l’avanguardistico 4-2-4 e chiede un solo acquisto : Zizinho.

Il San Paolo vola sulle imponendo un bel calcio, addirittura la nazionale brasiliana, entusiasmata dal calcio del San Paolo di Guttmann, farà suo modulo e stile di gioco, in vista dei mondiali del 1958 in Svezia. Il San Paolo vince il campionato e l’anno dopo il Brasile vince il suo primo mondiale.
Dino Sani, centrocampista sia del San Paolo che della nazionale brasiliana campione del mondo, disse: “Il San Paolo di Guttmann era il volto dell’Ungheria, ribelle e sognatrice”

Il ritorno in Europa
Torna in Europa da vincente Guttmann, in Portogallo c’è il Porto ad aspettarlo. L’ungherese prende la squadra in corsa, è terza in classifica, distante 4 punti dagli acerrimi nemici del Benfica. Guttmann ed i suoi arrivano all’ultima giornata a pari punti con i rivali di Lisbona. L’ultima giornata del campionato 1958-59 entrerà per sempre nella storia del calcio portoghese. Il Benfica, se vuole aggiudicarsi il titolo, deve battere il Torreense con almeno 4 gol in più rispetto al Porto, che in casa sfida il CUF.
A Lisbona la partita è scandalosamente corrotta. L’arbitro assegnerà ben 3 rigori a favore del Benfica e 12 minuti di recupero complessivi tra primo e secondo tempo.
A Oporto la squadra di Guttmann vince dominando 3 a 0, questo vuol dire che il Benfica dovrà vincere 7 a 0. L’impresa, nonostante la compiacenza dell’arbitro, poi radiato a fine campionato, non riesce. Il Benfica vince 7 a 1 ed il Porto si laurea campione di Portogallo.
Al termine della partita l’allenatore dichiara “E’ la mia vittoria più drammatica”, i dirigenti in estasi, lo omaggiano con il logo del Porto ricoperto di diamanti, ma quello che scopriranno poche ore più tardi è un vero shock. “Guttmann ha firmato per il Benfica” titolano i giornali.


La Leggenda del Benfica
Mentre i tifosi del Porto sono inferociti per il tradimento del loro ormai ex mister, a Lisbona si festeggia l’arrivo di un “vincente”. Alla conferenza stampa di presentazione, Guttmann spiega a modo suo, il perché dell’addio al Porto:
Oporto è bella, ma è una città molto umida. E a me non piace intrattenermi in posti che mettono a rischio la mia salute”.
Immaginate la reazione di un tifoso del Porto…
Se l’esperienza brasiliana fu definita una “rivoluzione”, quella al Benfica fu una vera “guerra”. Guttmann nel suo contratto, volle ed ottenne una clausola che gli concedesse carta bianca sulle scelte tecniche, oltre allo stipendio d’allenatore più alto d’Europa .

Nessuno dei dirigenti avrebbe mai immaginato come Guttmann avesse sfruttato quella clausola. I giornali parlano di circa 20 calciatori della squadra titolare del Benfica licenziati, a vantaggio dei ragazzi delle giovanili e solo 4 acquisti dal mercato, inoltre tutti provenienti dalle colonie portoghesi : il bomber Josè Aguas, le mezzali Joaquim Santana e Mario Coluna ed il portiere Costa Pereira.
Quello che accade a Lisbona è incredibile, Guttmann s’innamora del Benfica ed il Benfica s’innamora di lui.
In conferenza stampa Guttmann pronuncia una frase che tutt’oggi i tifosi esibiscono come vanto :
Piove? Fa freddo? Fa caldo? Che importa? Anche se la partita fosse durante la fine del Mondo, tra le nevi del monte o in mezzo alle fiamme dell’inferno, per terra, per mare o per aria, loro, i tifosi del Benfica, vanno lì, appresso alla loro squadra. Grande, incomparabile, straordinaria massa associativa!

Il Benfica non solo gioca bene, ma vince il campionato senza perdere neppure una partita. I giornali scrivono di “una massa unica che si muove all’unisono” e poi ancora “Un’armata tatticamente invincibile”. Quel Benfica ha fame, prende consapevolezza della sua forza partita dopo partita e si guadagna “un posto in paradiso” ovvero ; la finale di Coppa Campioni contro il Barcellona.
Il Benfica sconfigge il Barcellona 3 a 2, conquistando la sua prima Coppa dei Campioni ed interrompendo l’egemonia del Real Madrid che da 5 anni consecutivi vinceva la competizione.


  
L’arrivo del fenomeno
La stagione 1961/62 è segnata da un solo acquisto nel mercato estivo, un giovane diciottenne di belle speranze proveniente dal lontano Mozambico, un tale Eusébio. A consigliarlo a Guttmann, è Bauer, suo ex calciatore al San Paolo. Gli dice “Ho visto un negretto formidabile che corre i 100 metri in 11 secondi netti e che col pallone sa fare di tutto”. Guttmann non ci pensa due volte e convincerà il giovane talento a firmare. L’ungherese non solo si occupa dell’acquisizione ma anche dell’ambientamento dello stesso, invita i suoi calciatori a stare vicino al ragazzo che viene “da così lontano”.


La stagione non inizia nel migliore dei modi, infatti il Benfica perderà la finale di Coppa Internazionale contro il Penarol. L’allenatore addossa la colpa alla dirigenza, rea di aver organizzato una pessima trasferta. In realtà c’è dell’altro, il Benfica perde punti in campionato, ma per fortuna mantiene un buon ruolino di marcia in Coppa Campioni. Arriva in Semifinale contro il Tottenham e lì, il genio dell’ungherese, esce di nuovo allo scoperto. Alla vigilia della gara di ritorno in Inghilterra, Guttmann tra lo stupore generale, annuncia che l’anno prossimo non allenerà più il Benfica e cerca anche di far capire, che vi sono dei contatti proprio con il Tottenham. E’ tutto falso, il suo unico intento, è quello di mandare in confusione l’avversario, ed anche stavolta la mossa è vincente.
Il Benfica vince e si guadagna una finale storica contro il Real di Puskàs e Di Stéfano.


Il primo tempo si conclude con 5 gol e tanto spettacolo, ma il risultato provvisorio è di 3 a 2 per i “blancos”. Il 36enne Puskas, nemico giurato di Guttmann, ha già segnato tre gol, su servizi di Di Stéfano. Ma il Benfica non molla e con i gol di Aguas e Cavém, torna in partita.
Negli spogliatoi Guttmann guarda in faccia i suoi ragazzi e da abile psicologo qual è gli dice: “La partita è vinta. Loro sono morti!”

Nella ripresa, Guttmann piazza un uomo su Di Stéfano, è la mossa vincente. Il Real non riesce a creare più nulla e i portoghesi iniziano a produrre calcio. Al 51’ Coluna approfitta di un errore di Puskas e segna dai 25 metri. Segna anche la “pantera nera” Eusébio. Al 65’, una punizione di Coluna mette la parola “fine” alla partita. Il Benfica vince 5 a 3 ed è campione d’Europa per la seconda volta consecutiva. Il Benfica è nella storia, i suoi uomini sono nella storia ma soprattutto il suo allenatore. Béla Guttmann è nella storia.

Il crollo dell’impero ungherese
Nonostante lo storico successo, a Lisbona vi sono numerose crepe. I giornalisti, rimproverano a Guttmann di non esser riuscito a vincere il campionato, lui risponde furente “Il Benfica non ha il culo per sedersi su due sedie”. Il Mister però, più che con i giornalisti, ha un problema con la società. La quale non vuole corrispondere all’allenatore, nessun compenso per la vittoria della Coppa Campioni.
L’avido Guttmann, ancora una volta, fa saltare il banco. Se ne va sbattendo la porta come mai aveva fatto prima ovvero, lanciando una maledizione al suo club:
“Da qui a 100 anni nessuna squadra portoghese vincerà due volte consecutive la Coppa dei Campioni, ed il Benfica, senza la mia guida, non vincerà mai più una Coppa Campioni”

I giornali titolano: “La Maledizione di Guttmann”. In effetti da quel lontano 1962 il Benfica, nonostante arrivi a giocarsi ben 5 finali, le perderà tutte. Nel 1990 la finale si disputa a Vienna, città dove Béla Guttmann è tutt’ora sepolto. Eusebio, suo ex pupillo, si recherà poche ore prima della partita, sulla tomba del suo allenatore, implorando una grazia contro quella “maledizione”. Il Benfica perse contro il Milan di Arrigo Sacchi per 1 a 0. La maledizione esiste.

Conclusione
La carriera di Guttmann proseguì tra pesanti disfatte, una su tutte fu la morte di un suo calciatore. Al 13 minuto della 13esima giornata, Guttmann di nuovo allenatore del Porto è seduto in panchina, il numero 7 Pavao, si accascia a terra e muore. Da quel momento si scatena un vortice di accuse contro Guttmann. L’unica però a metterci la faccia, è la moglie di Costa Pereira, portiere del Benfica. La moglie dichiara alla stampa che, sotto la guida di Guttmann, suo marito non dormiva mai la notte, in quanto colto da stati d’euforia dovuti, a suo dire, da pillole che l’ungherese somministrava ai suoi calciatori.
Queste dichiarazioni non furono mai prese in esame da un tribunale, ma non ve ne fu bisogno, la carriera di Bèla Guttmann finì così, nel peggiore dei modi. Non volle avere più niente a che fare col calcio e si ritirò a vita privata. Morì solo, senza alcun erede, né parente. Rigettato da quel mondo al quale aveva dato tutto. E dal quale, probabilmente, ebbe in cambio niente se non il denaro.
Sono in pochi a ricordarsi di questo allenatore, condannato a vagare per il mondo come “l’ebreo errante” senza mai trovare pace.
Era più di un allenatore, era un coltivatore d’idee, era un alchimista della motivazione agonistica, era un romanzo del calcio. Era Béla Guttmann.


venerdì 25 ottobre 2013

Béla Guttmann, "L'Ebreo Errante" PT.1


Prendete la teatralità di Josè Mourinho, il “pugno di ferro” di Fabio Capello e il fascino romanzesco di Brian Clough, ne verrà fuori un allenatore o forse molto di più. Una storia. Un uomo. Quest’uomo è Béla Guttmann.

Béla Guttmann con la divisa dell'Hakoah Vienna

Bela il calciatore
Béla Guttmann nasce il 27 gennaio del 1899 a Budapest da una borghese famiglia ebraica. I genitori entrambi insegnanti di danza classica lo avvieranno verso la loro stessa professione ma con scarsi successi. A 16 anni Guttmann, dopo aver conseguito il diploma da insegnante di danza classica, s’innamora del calcio. Un amore che durerà per tutta la vita e lo consegnerà alla storia.

Diventa professionista tra le file del Torekvés, squadra della serie B ungherese. L’allenatore vede in lui una grande punta, i giornali vedono in lui “un ragazzo allergico alla corsa e al sacrificio di squadra”. Guttmann si congeda a modo suo dal Torekves, siglando una tripletta nel match contro lo Zsak primo in classifica e imbattuto. Nonostante ciò i giornali saranno lapidari: “Guttmann il peggiore in campo. Non ha corso un solo metro in tutta la partita. Non ha fatto altro che ricevere palla e tirare”. Anni dopo Guttmann, ricorderà con ghigno beffardo la vicenda : “Il calcio è cambiato. A inizio carriera feci 3 gol alla prima in classifica ma venni massacrato dai giornalisti per aver corso poco. Ora se fai un gol contro un’acerrima rivale, sei considerato un eroe a vita”. E’ solo l’inizio della sua carriera da professionista e già si avverte forte il sapore del suo talento tutto “genio e sregolatezza”.

Il talentuoso Guttmann si trasferisce a Vienna dove il calcio, non solo è in forte espansione, ma anche tema di dibattito nei salotti intellettuali dei primi del 900. Passa alla leggendaria Hakoah Vienna, squadra formata esclusivamente da calciatori ebrei, la maggior parte dei quali (Guttmann compreso ndr) fuggirono dall’Ungheria dopo l’ascesa al potere dell’Ammiraglio Horty e le conseguenti pressioni antisemite del suo governo.

L'Hakoah di Vienna  (Anno 1925)
La spiccata personalità di Guttmann non tarda a manifestarsi, Nel contratto con l’Hakoah, Guttmann inserisce una clausola secondo la quale deve giocare esclusivamente con divise di seta in quanto la sua pelle è troppo sensibile ad altri tipi di tessuto. Clausola che all’inizio gli causa non poche divergenze con stampa e tifosi.
Ma nel calcio sono i risultati che contano e i risultati, sono sotto gli occhi di tutti.

Il promettente ed eccentrico ungherese è un talento puro, viene spostato a centrocampo dove gli si richiede meno corsa e dove può liberamente lanciare prelibati palloni ai suoi compagni. Dopo due anni, all’alba dell’inaugurazione del primo campionato austriaco, Guttmann ottiene uno storico rinnovo di contratto. Bela e l’Haok si legano per altri 3 anni ed il compenso percepito dal giovane regista, è di ben un quarto degli introiti della società. I mormorii dei giornali vengono messi a tacere dalle straordinarie prestazioni dell’ungherese e dalla vittoria del campionato.

Il viaggio negli U.S.A.
L’Hakoah di Vienna, divenne leggenda in tutta Europa, complice anche l’epica vittoria contro i “maestri” inglesi del West Ham. Infatti, mai nessuna squadra europea era riuscita prima di allora a battere una squadra inglese, per di più in casa, soprattutto 5 a 0.
Dopo la vittoria del campionato e il “Successo inglese”, l’Hakoah partì per un tournee negli Usa, proprio come fanno i top club ai giorni nostri, seppure con differenti intenti. Infatti, la squadra di Vienna, partì alla ricerca di fondi per la “causa sionista”.
Giocarono dieci partite, tutte vinte. Bela Guttmann ricorderà così l’esperienza negli Usa, terra dove se il calcio è quasi un tabù ancora oggi, figuratevi nel 1926.
 
Durante la prima partita, nonostante un largo vantaggio della nostra squadra, notammo un particolare. I tifosi americani non esultavano ai gol bensì a tiri alti e fuori dallo specchio.
Probabilmente confondevano il calcio con il loro football. Bastò uno sguardo per capirci tra compagni. Iniziammo così a tirare bordate, esaltando i tifosi che a fine partita mi portarono in trionfo
”.

Béla Guttmann decide di rimanere negli Stati Uniti e con lui molti altri dei suoi compagni dell’Hakoah. Viene messo sotto contratto dai New York Giant, dove percepisce l’ingaggio record di 500 dollari mensili per la prima stagione e di mille per la seconda, oltre ai costi dell’alloggio. Dopo due anni però, i Giant’s vengono sospesi dal campionato in seguito a uno scandalo di “fondi neri” . Bela ricontatta i suoi ex compagni dell’Hakoah rimasti come lui in America e decidono di fondare l’Hakoah All Star, squadra nata con “l’intento di promuovere il calcio nelle Americhe” attraverso blasonate amichevoli. I giornali dell’epoca parlano di una realtà ben diversa. E’ risaputo che durante il crollo della borsa del 1929, Guttmann perde tutti i suoi beni e cade in disgrazia. Il suo scopo quindi, ben meno nobile, è quello di guadagnare per poi far ritorno in Europa. Riesce anche in questo intento.
Guttmann torna in Austria nel 1932, dove disputa ancora 4 partite con l’Hakoah di Vienna prima di annunciare l’addio al calcio giocato.

Bela ha un solo obiettivo in mente: diventare allenatore. Non solo ci riuscirà, ma rimarrà per sempre nella storia come uno dei personaggi più intriganti e vincenti della storia del calcio.
Un furbo, un vincente, un cinico, un approfittatore, questo è Bela Guttmann già da calciatore. Tutte queste virtù non faranno altro che amplificarsi nella seconda parte della sua carriera, quella da mister.

Il praticantato di Vienna e il sogno olandese
A soli 34 anni Béla Guttmann diventa un allenatore. La sua squadra storica, l’Hakoah di Vienna, gli concede due anni di contratto, ma ne limita la libertà di lavoro. L’Hakoah gli impone lo staff, in quanto reputa l’ungherese ancora inesperto per lasciargli simili privilegi.

I risultati non saranno esaltanti, Guttmann conquista due decimi posti. Al termine dei due anni, di comune accordo con la società, ognuno va per la sua strada. Quella di Guttmann è in salita, tutti sanno che ha un brutto carattere, è un “odioso uomo, pieno di sé" , titolano i giornali dell’epoca e per di più “totalmente inesperto”. Riesce a trovare un incarico grazie alla raccomandazione del padre Abraham e dell’allenatore della nazionale austriaca, Hugo Meisl, compagno di discussioni nei salotti della Vienna bene.

Si trasferisce in Olanda, precisamente all’SC Enschede (oggi confluita nel Twente ndr). Arrivato in Olanda la società, che prima aveva promesso un contratto di un anno, cambia le carte in tavola e per cautelarsi dalle voci arrivate sul conto del mister ungherese, offre un trimestrale con formula di rinnovo per altri 9 mesi in caso di risultati positivi. Guttmann è stizzito ma accetta. I risultati sono esaltanti, si vedono sprazzi di ottimo calcio. All’alba della scadenza del contratto l’Enschede è terzo in classifica a 5 punti dalla prima. Al tavolo delle trattative Guttmann si presenta con una sola richiesta alla società : un premio record in caso di vittoria del campionato. Si racconta che il Presidente dell’Enschede scoppiò a ridere in faccia a Guttmann pensando si trattasse di uno scherzo, ma una volta compresa la serietà della richiesta, accetta premio e prolungamento sino alla fine della stagione. La squadra si convince dei propri mezzi e ottiene una serie di vittorie , aggiudicandosi il girone Est.
Il campionato olandese allora era diviso in 5 gruppi (Nord-Sud-Ovest I e Ovest II).

Classifica finale Eredivise girone Est

Arrivato al turno finale, il sogno dell’Enschede s’interrompe bruscamente contro il Feyenoord, che si laurea campione d’Olanda per la felicità della dirigenza che, se avesse dovuto pagare il premio concordato con Guttmann, avrebbe dovuto dichiarare la bancarotta del club.

La seconda stagione non è così soddisfacente. La rosa rimane la stessa dell’anno precedente a causa della crisi finanziaria del club e l’Enschede conclude al 4 posto con ben 12 punti di ritardo dalla prima in classifica, Go Ahead Eagles.
Guttmann abbandona la squadra alla scadenza del contratto nonostante l’insistenza della società per un rinnovo. Ritorna alla sua amata Hakoah, che non ha mai smesso di seguirne la sua evoluzione nel suo nuovo ruolo. E’ il 1938 e la Germania di Hitler invade l’Austria, l’Hakoah squadra di cultura ebraica viene dismessa e i suoi componenti iniziano a fuggire per il mondo. Tra questi Béla Guttmann.

L’ungherese si rifugia nella sua terra natale dove trova impiego nell’Ujpest. In un anno il mister vince campionato e Mitropa Cup, antenata della moderna Champions League. I risultati sono frutto di un grande calcio espresso dal team ungherese, che trova la migliore espressione in un nuovo modulo che sta prendendo piede nel calcio mitteleuropeo, il 4-2-4.

 
Fase ad eliminazione dirette Mitropa Cup 1939
Dopo la vittoria della Mitropa Cup, il campionato ungherese, come la maggior parte dei campionati europei, viene interrotto e Guttmann sarà latitante sino al 1945.
Durante l’olocausto perde il fratello maggiore, l’unico componente rimasto della sua famiglia. Lui sparisce insieme alla storica moglie Marienne, che presumibilmente sposa nel 1942. Dove si sia rifugiato rimarrà per sempre un mistero. Lui ogni volta che veniva interrogato sul tema rispondeva laconico “Dio mi ha aiutato”.

Il ritorno
Il ritorno ufficiale in attività di Béla Guttmann risale al 1945, quando firma un contratto annuale con il Vasas, l’altra squadra di Budapest come l’Ujpest. Conclude con un secondo posto e il contratto non viene rinnovato dalla società per alcune divergenze con i calciatori, che mal sopportarono il suo passato con l’eterna rivale.
L’anno successivo Guttmann parte alla volta della Romania, direzione Bucarest.
Firma per il Ciocanul (oggi Dinamo Bucarest ndr), il presidente ebreo della squadra romena, diede all’ungherese pieni poteri per risollevare la squadra ed il calcio romeno. Guttmann, attento osservatore finanziario, decide di essere pagato in natura, causa l’altissima inflazione della Romania post guerra mondiale. L’esperienza romena, una delle più brevi della sua carriera, s’interrompe dopo sole 13 giornate, quando il tecnico ungherese lamenta una continua interferenza di alcuni dirigenti nelle scelte tecniche.

Arriva la seconda chance in Ungheria, ancora alla guida dell’Ujpest, dove senza difficoltà Guttmann impone il suo 4-2-4 e vince il campionato a mani basse esprimendo ancora una volta un gran gioco. Ma Guttmann è un giramondo, un eterno traditore e in quanto tale, ancora una volta, tradisce. A scadenza del contratto s’invaghisce del progetto dell’Honvèd, la terza squadra di Budapest, che è arrivata seconda nel campionato appena conquistato dal tecnico. Trova una squadra tecnicamente fortissima e promettente, al suo interno c’è un talentuoso ragazzo ungherese, un certo Puskàs, con il quale non intrattiene però rapporti idilliaci.

A Sinistra : Béla Guttmann a destra Ferenc Puskàs
All’inizio del secondo tempo di una difficile partita contro il Gyor, Guttmann chiama la sostituzione del suo difensore Bozsik. Puskàs, che assiste alla scena, invita il suo compagno a non uscire dal campo. Béla, scuro in volto esce dalla zona tecnica, si avvia verso gli spalti della tribuna, raccoglie una rivista ippica, si accende il sigaro e non alza la testa sino alla fine della partita. Poi si dirige verso la fermata del tram più vicina allo stadio, vi sale sopra e nessuno lo vede più per mesi.
Era stato profetico il mister, mesi prima in una conferenza stampa.
Alla domanda sull’importanza di aver buoni rapporti con i giocatori disse: “Controlla la stella e controllerai tutta la squadra”.

Per Guttmann si concludeva la seconda fase della sua carriera, quella da “apprendista allenatore”, come lo chiamavano ai tempi della prima esperienza all’Hakoah. Ora Guttmann è un allenatore affermato e si parla di lui in tutta Europa, soprattutto per il suo essere perennemente sopra le righe. E qual è la nazione europea eternamente affascinata da personaggi carismatici, discutibili, polemici e antipatici ? Bravi, l’Italia. Ed è proprio da noi che Guttmann verrà a insegnare un calcio nuovo e del tutto sconosciuto, quello della “scuola ungherese”, imbattibile negli anni 50. Béla parte per l’ennesima volta nella sua vita, ma per la prima volta in Italia. C'è qualcosa di più di un contatto con l'As Roma.