Guttmann attraversa le Alpi per dirigersi a Roma. Un intermediario di mercato gli garantisce che la Roma è pronta ad investire su di lui, l’occasione è delle migliori, ma purtroppo la realtà è ben differente. Una volta arrivato a Roma, i dirigenti della società capitolina, non hanno idea di chi sia Guttmann e lo informano di non essere alla ricerca di un allenatore. Sembra un brutto incubo, ma per fortuna c’è il lieto fine. Tramite alcuni intermediari più affidabili, Guttmann trova il suo primo incarico nel “belpaese”, firma con il Padova.
“Guttmann riattraversa il mare, gira un po' qua un po' là, e giunge a Padova. Propone che, gli si dia la squadra, senz'altro compenso immediato che il mantenimento: il contratto lo si farà poi. E prende a lavorare come solo chi ha fame sa fare. Gli danno i premi personali di partita, e lui li distribuisce ai giuocatori: un investimento... Allena gli uomini sul fiato, sulla freschezza, sulla resistenza fisica. E tira fuori una squadra che tecnicamente non fa faville, ma che corre, salta, calcia, lavora novanta minuti come un motore la movesse. Una squadra che, dopo tredici giornate di giuoco, ha perso una sola partita, e sta al secondo posto della classifica, e tira il colpo a battere la prima. Storia patavina del passato e del presente”. (Vittorio Pozzo)
Vittorio Pozzo, l’allenatore “eroe” della nazionale, unico ad aver vinto consecutivamente due campionati del mondo, ne intuisce lo straordinario talento nell’allenare, nonostante il Padova, la prima squadra italiana di Guttmann, non abbia al suo interno molti talenti. Ne riassume il percorso, che sfortunatamente, dopo questa incredibile serie positiva, crolla a causa dell’ennesima “follia” di un allenatore sempre sopra le righe.
Durante la stagione il portiere titolare del Padova è un certo Monsider, giocatore croato mal visto da compagni e tifosi in quanto giudicato di scarso livello, questo nervosismo latente nella squadra esploderà lasciando una crepa nel rapporto tra la squadra e l’allenatore.
Dalla 14^ giornata il Padova incassa 13 sconfitte. Bèla Guttmann è di nuovo esonerato con un gelido e misterioso comunicato che gli addossa: “...fatti concreti appurati da indagini ineccepibili che intaccano direttamente la responsabilità personale dell'allenatore”.
L’allenatore, poco dopo l’esonero, viene indagato dalla procura federale per aver ricevuto una percentuale in nero sul trasferimento del criticato portiere Monsider. A Guttmann viene ritirata la tessera federale ma continua a svolgere il suo lavoro clandestinamente e lo fa con la Triestina. I risultati e soprattutto le prestazioni non lo premiano e così, nonostante la restituzione della tessera federale, l’ungherese vola in sud America, dove troverà tutt’altro che fortuna nella serie cadetta del campionato argentino. A causa di problemi respiratori della moglie, Guttmann cerca un impiego nel Mediterraneo, consigliatogli dai medici. Raggiunge alla cipriota Apoel di Nicosia, dove permane tre mesi prima della grande occasione: il Milan.
Il Capolavoro di Guttmann
Appena arriva la chiamata del Milan, il mister ungherese vede in essa l’occasione perfetta. Il campionato è già iniziato ed il Milan galleggia a stento a metà classifica. E’ ormai risaputo che le migliori squadre di Guttmann hanno bisogno di una forte preparazione per ingranare, nessuno si aspetta risultati immediati e lui avrà il tempo di plasmare una grande squadra al suo credo calcistico. La fortuna gli riconoscerà l’audacia di tal gesto. Il primo anno il Milan ottiene un terzo posto a pari merito con la Fiorentina, ma la notizia è un’altra. La squadra è stata acquistata dal ricco industriale Andrea Rizzoli, editore e produttore cinematografico. Con lui arrivano soldi freschi, pronti ad essere investiti per un grande campione, fortemente voluto dal mister: Juan Alberto Schiaffino.
Inoltre Guttmann si va a riprendere un suo giovane pupillo allenato ai tempi della Triestina, un tale Cesare Maldini e consegna le chiavi della porta a Lorenzo Buffon con un semplice e breve consiglio: “Piccola cosa più piccola cosa fa grande capolavoro”.
La squadra è una macchina da guerra, così composta nei ruoli chiave; Nils Liedholm reinventato come centromediano davanti alla difesa è un vero leone, un genio della tattica. Sorensen e Schiaffino, a dare velocità e classe come mezzali di centrocampo, in avanti “il pompiere” Gunnar Nordahl come ariete dell’attacco.
Il Milan, nelle prime 10 partite, ottiene 9 vittorie consecutive ed un pareggio contro la Juventus di Gianpiero Boniperti.
Inizia una terribile flessione del Milan, si pensa sia successo qualcosa nello spogliatoio, ed i sospetti vanno tutti la direzione di Guttmann, non nuovo a questo tipo di contrasti con i suoi calciatori. I rossoneri otterranno una sola vittoria in tutto il girone di ritorno. Il nervosismo è palpabile e le voci, più o meno veritiere, si moltiplicano. Una di queste è reale, Guttmann e la moglie Marianne, sono in un locale di Milano, incontrano Lajos Czeizler, suo collega nonché connazionale, con rispettiva consorte. Nonostante siedano al tavolo insieme dopo una discussione, i due allenatori vengono alle mani . Nella rissa vengono coinvolte le mogli, Marianne, moglie di Béla, spacca una bottiglia in testa alla signora Czeizler.
I due ungheresi s’incontrano sul campo due settimane più tardi, con le rispettive squadre : Milan e Sampdoria.
Per il Milan ennesima disfatta, perdono 1 a 3 e Czeizler, beffardo si gode la vittoria e getta il proprio disprezzo umano su Guttmann, una volta giunto a colloquio con i giornalisti nel postpartita. Guttmann tace, è convocato in piena notte nella sede della società, il suo destino è appeso ad un filo.
Alle prime luci dell’alba la dirigenza decide : Esonero.
Guttmann, il giorno dopo svuota il suo armadietto al centro sportivo, all’uscita trova dei giornalisti e dichiara “Sono stato licenziato anche se non sono né un criminale né un omosessuale. Addio” e si congeda con un teatrale inchino.
Di lui si perdono le tracce fino all’aprile dello stesso anno, quando non sarà la cronaca calcistica a portarlo di nuovo alla ribalta.
Guttmann il pomeriggio del 2 aprile 1955 è alla guida della sua auto per le vie del centro di Milano. Due bambini attraversano la strada all’improvviso. Guttmann, a causa dell’alta velocità della sua auto, non riesce a frenare. Uno dei due bambini muore. E’ novembre e Guttmann viene rinviato a giudizio. In prossimità dell’udienza l’ungherese fugge dall’Italia, abbandonando la sua neo squadra, il Lanerossi Vicenza.
Nel maggio si torna a parlare di lui, la stampa spagnola annuncia le trattative, ormai prossime alla conclusione, tra Guttmann e la dirigenza dell’Atletico Madrid. Un emissario madrileno, torna da Budapest con il contratto firmato. Nonostante ciò, nessuno ha mai visto Béla Guttmann dalle parti di Madrid. Un altro mistero sul quale l’allenatore, non farà mai luce.
La Rivoluzione Brasiliana
Béla, notevolmente provato dall’ultimo anno trascorso, si prende una pausa dalla panchina. Sottoscrive un contratto come direttore tecnico dell’Honvèd di Budapest. La squadra è chiamata ad un tour in Brasile. Nel frattempo l’Ungheria è scossa da aspri scontri civili a causa della rivoluzione antisovietica. L’Honvèd decide così di prolungare il soggiorno in terra brasiliana fino al termine delle ostilità. Guttmann non rimane con le mani in mano, incontra dirigenti ed alti esponenti del calcio brasiliano, uno di questi gli parlerà di una possibilità di allenare il San Paolo. Dopo aver studiato la squadra, l’ungherese preme per incontrare i dirigenti. Arriva la firma e Béla rivoluzionerà il modo di fare calcio in Brasile. I giocatori brasiliani sono dotati di grande fisicità e tecnica ma secondo l’ungherese i loro allenamenti non aiutano nell’esaltazione di queste caratteristiche, quindi studia un piano di allenamento personalizzato per ogni singolo giocatore paulista. Cambia modulo, introducendo l’avanguardistico 4-2-4 e chiede un solo acquisto : Zizinho.
Il San Paolo vola sulle imponendo un bel calcio, addirittura la nazionale brasiliana, entusiasmata dal calcio del San Paolo di Guttmann, farà suo modulo e stile di gioco, in vista dei mondiali del 1958 in Svezia. Il San Paolo vince il campionato e l’anno dopo il Brasile vince il suo primo mondiale.
Dino Sani, centrocampista sia del San Paolo che della nazionale brasiliana campione del mondo, disse: “Il San Paolo di Guttmann era il volto dell’Ungheria, ribelle e sognatrice”
Il ritorno in Europa
Torna in Europa da vincente Guttmann, in Portogallo c’è il Porto ad aspettarlo. L’ungherese prende la squadra in corsa, è terza in classifica, distante 4 punti dagli acerrimi nemici del Benfica. Guttmann ed i suoi arrivano all’ultima giornata a pari punti con i rivali di Lisbona. L’ultima giornata del campionato 1958-59 entrerà per sempre nella storia del calcio portoghese. Il Benfica, se vuole aggiudicarsi il titolo, deve battere il Torreense con almeno 4 gol in più rispetto al Porto, che in casa sfida il CUF.
A Lisbona la partita è scandalosamente corrotta. L’arbitro assegnerà ben 3 rigori a favore del Benfica e 12 minuti di recupero complessivi tra primo e secondo tempo.
A Oporto la squadra di Guttmann vince dominando 3 a 0, questo vuol dire che il Benfica dovrà vincere 7 a 0. L’impresa, nonostante la compiacenza dell’arbitro, poi radiato a fine campionato, non riesce. Il Benfica vince 7 a 1 ed il Porto si laurea campione di Portogallo.
Al termine della partita l’allenatore dichiara “E’ la mia vittoria più drammatica”, i dirigenti in estasi, lo omaggiano con il logo del Porto ricoperto di diamanti, ma quello che scopriranno poche ore più tardi è un vero shock. “Guttmann ha firmato per il Benfica” titolano i giornali.
La Leggenda del Benfica
Mentre i tifosi del Porto sono inferociti per il tradimento del loro ormai ex mister, a Lisbona si festeggia l’arrivo di un “vincente”. Alla conferenza stampa di presentazione, Guttmann spiega a modo suo, il perché dell’addio al Porto:
“Oporto è bella, ma è una città molto umida. E a me non piace intrattenermi in posti che mettono a rischio la mia salute”.
Immaginate la reazione di un tifoso del Porto…
Se l’esperienza brasiliana fu definita una “rivoluzione”, quella al Benfica fu una vera “guerra”. Guttmann nel suo contratto, volle ed ottenne una clausola che gli concedesse carta bianca sulle scelte tecniche, oltre allo stipendio d’allenatore più alto d’Europa .
Nessuno dei dirigenti avrebbe mai immaginato come Guttmann avesse sfruttato quella clausola. I giornali parlano di circa 20 calciatori della squadra titolare del Benfica licenziati, a vantaggio dei ragazzi delle giovanili e solo 4 acquisti dal mercato, inoltre tutti provenienti dalle colonie portoghesi : il bomber Josè Aguas, le mezzali Joaquim Santana e Mario Coluna ed il portiere Costa Pereira.
Quello che accade a Lisbona è incredibile, Guttmann s’innamora del Benfica ed il Benfica s’innamora di lui.
In conferenza stampa Guttmann pronuncia una frase che tutt’oggi i tifosi esibiscono come vanto :
“Piove? Fa freddo? Fa caldo? Che importa? Anche se la partita fosse durante la fine del Mondo, tra le nevi del monte o in mezzo alle fiamme dell’inferno, per terra, per mare o per aria, loro, i tifosi del Benfica, vanno lì, appresso alla loro squadra. Grande, incomparabile, straordinaria massa associativa!”
Il Benfica non solo gioca bene, ma vince il campionato senza perdere neppure una partita. I giornali scrivono di “una massa unica che si muove all’unisono” e poi ancora “Un’armata tatticamente invincibile”. Quel Benfica ha fame, prende consapevolezza della sua forza partita dopo partita e si guadagna “un posto in paradiso” ovvero ; la finale di Coppa Campioni contro il Barcellona.
Il Benfica sconfigge il Barcellona 3 a 2, conquistando la sua prima Coppa dei Campioni ed interrompendo l’egemonia del Real Madrid che da 5 anni consecutivi vinceva la competizione.
L’arrivo del fenomeno
La stagione 1961/62 è segnata da un solo acquisto nel mercato estivo, un giovane diciottenne di belle speranze proveniente dal lontano Mozambico, un tale Eusébio. A consigliarlo a Guttmann, è Bauer, suo ex calciatore al San Paolo. Gli dice “Ho visto un negretto formidabile che corre i 100 metri in 11 secondi netti e che col pallone sa fare di tutto”. Guttmann non ci pensa due volte e convincerà il giovane talento a firmare. L’ungherese non solo si occupa dell’acquisizione ma anche dell’ambientamento dello stesso, invita i suoi calciatori a stare vicino al ragazzo che viene “da così lontano”.
La stagione non inizia nel migliore dei modi, infatti il Benfica perderà la finale di Coppa Internazionale contro il Penarol. L’allenatore addossa la colpa alla dirigenza, rea di aver organizzato una pessima trasferta. In realtà c’è dell’altro, il Benfica perde punti in campionato, ma per fortuna mantiene un buon ruolino di marcia in Coppa Campioni. Arriva in Semifinale contro il Tottenham e lì, il genio dell’ungherese, esce di nuovo allo scoperto. Alla vigilia della gara di ritorno in Inghilterra, Guttmann tra lo stupore generale, annuncia che l’anno prossimo non allenerà più il Benfica e cerca anche di far capire, che vi sono dei contatti proprio con il Tottenham. E’ tutto falso, il suo unico intento, è quello di mandare in confusione l’avversario, ed anche stavolta la mossa è vincente.
Il Benfica vince e si guadagna una finale storica contro il Real di Puskàs e Di Stéfano.
Il primo tempo si conclude con 5 gol e tanto spettacolo, ma il risultato provvisorio è di 3 a 2 per i “blancos”. Il 36enne Puskas, nemico giurato di Guttmann, ha già segnato tre gol, su servizi di Di Stéfano. Ma il Benfica non molla e con i gol di Aguas e Cavém, torna in partita.
Negli spogliatoi Guttmann guarda in faccia i suoi ragazzi e da abile psicologo qual è gli dice: “La partita è vinta. Loro sono morti!”
Nella ripresa, Guttmann piazza un uomo su Di Stéfano, è la mossa vincente. Il Real non riesce a creare più nulla e i portoghesi iniziano a produrre calcio. Al 51’ Coluna approfitta di un errore di Puskas e segna dai 25 metri. Segna anche la “pantera nera” Eusébio. Al 65’, una punizione di Coluna mette la parola “fine” alla partita. Il Benfica vince 5 a 3 ed è campione d’Europa per la seconda volta consecutiva. Il Benfica è nella storia, i suoi uomini sono nella storia ma soprattutto il suo allenatore. Béla Guttmann è nella storia.
Il crollo dell’impero ungherese
Nonostante lo storico successo, a Lisbona vi sono numerose crepe. I giornalisti, rimproverano a Guttmann di non esser riuscito a vincere il campionato, lui risponde furente “Il Benfica non ha il culo per sedersi su due sedie”. Il Mister però, più che con i giornalisti, ha un problema con la società. La quale non vuole corrispondere all’allenatore, nessun compenso per la vittoria della Coppa Campioni.
L’avido Guttmann, ancora una volta, fa saltare il banco. Se ne va sbattendo la porta come mai aveva fatto prima ovvero, lanciando una maledizione al suo club:“Da qui a 100 anni nessuna squadra portoghese vincerà due volte consecutive la Coppa dei Campioni, ed il Benfica, senza la mia guida, non vincerà mai più una Coppa Campioni”
I giornali titolano: “La Maledizione di Guttmann”. In effetti da quel lontano 1962 il Benfica, nonostante arrivi a giocarsi ben 5 finali, le perderà tutte. Nel 1990 la finale si disputa a Vienna, città dove Béla Guttmann è tutt’ora sepolto. Eusebio, suo ex pupillo, si recherà poche ore prima della partita, sulla tomba del suo allenatore, implorando una grazia contro quella “maledizione”. Il Benfica perse contro il Milan di Arrigo Sacchi per 1 a 0. La maledizione esiste.
Conclusione
La carriera di Guttmann proseguì tra pesanti disfatte, una su tutte fu la morte di un suo calciatore. Al 13 minuto della 13esima giornata, Guttmann di nuovo allenatore del Porto è seduto in panchina, il numero 7 Pavao, si accascia a terra e muore. Da quel momento si scatena un vortice di accuse contro Guttmann. L’unica però a metterci la faccia, è la moglie di Costa Pereira, portiere del Benfica. La moglie dichiara alla stampa che, sotto la guida di Guttmann, suo marito non dormiva mai la notte, in quanto colto da stati d’euforia dovuti, a suo dire, da pillole che l’ungherese somministrava ai suoi calciatori.
Queste dichiarazioni non furono mai prese in esame da un tribunale, ma non ve ne fu bisogno, la carriera di Bèla Guttmann finì così, nel peggiore dei modi. Non volle avere più niente a che fare col calcio e si ritirò a vita privata. Morì solo, senza alcun erede, né parente. Rigettato da quel mondo al quale aveva dato tutto. E dal quale, probabilmente, ebbe in cambio niente se non il denaro.
Sono in pochi a ricordarsi di questo allenatore, condannato a vagare per il mondo come “l’ebreo errante” senza mai trovare pace.
Era più di un allenatore, era un coltivatore d’idee, era un alchimista della motivazione agonistica, era un romanzo del calcio. Era Béla Guttmann.