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venerdì 19 ottobre 2012

Maracena, Tony Plata e la “Provincia Statica”


"Daje Maracena Daje!"
Il fine settimana è statico.
Qui, periferia andalusa, granaina per la precisione, tutto è fermo, tutto è immobile.
I lavori, perennemente bloccati, della tramvia, opera che già da un anno doveva essere bella che pronta, i negozi chiusi, il matto del Paese, con i suoi due cani, che fa la siesta sulla sua panchina preferita.
Un caldo afoso, appiccicoso, ti costringe al divano. Già la resaca del venerdì ti svariona di suo, mal di testa e paracetamolo sono i tuoi compagni fidati.
Ti svegli alle 2 del pomeriggio, zapping compulsivo, navigando tra xscores (livescore non mostra più i marcatori, maledetti) e 20 minuti di Premier League, di solito vedo il Wigan, il Norwich, lo Stoke, squadre belle, maledette e sconosciute ai più.
Poi si blocca lo streaming. E allora riprovo con la Serie B. Niente.
Cazzo, che faccio. Messaggio.
Maracena Granada B alle 18,30? Vogliamo andà?”
Perché no.
Maracena, 22000 abitanti e poco più, rappresenta il dormitorio della classe operaia di Granada.
Cittadina relativamente giovane, stretta tra Granada e la sierra.
Le cittadine in questa parte di Spagna si svuotano: i cartelli Vendesi Casa si moltiplicano, la bolla immobiliare ha colpito duro, la Costa del Sol, razziata da costruzioni incontrollate, non è più l'isola felice che era una volta. I giovani, come in un remake europeo/mediterraneo perenne, emigrano.
Gente, in ogni caso, orgogliosa delle proprie radici, della Feria di San Joaquin, dei suoi churros caseros, ma, soprattutto, della Loro Squadra, l'Unión Deportiva Maracena, Tercera Division (l'equivalente della nostra Seconda Divisione Lega Pro) Gruppo IX, quello dell'Andalusia Orientale e Melilla.
Gli avversari si chiamano Ronda, Motril, Linares, nomi anonimi per cittadine anonime.
Gli stadi (oddio, chiamarli stadi mi sembra eccessivo) sono piccoli e fatiscenti, sembra di essere in un qualunque Campionato d'Eccellenza o Promozione italiano.
E ciò mi fomenta assai.

Fatto sta che ci dirigiamo, con gli altri due compari Maurizio e Paco Bomba, verso la Ciudad Deportiva.
La partita inizia alle 18,30, arriviamo dieci minuti prima. C'è un buon afflusso di pubblico, il Maracena dopo 4 giornate è quarto, frutto di 2 vittorie (sarebbero state 3 se la settimana passata non si fossero fatti recuperare tre gol negli ultimi 15 minuti) e 2 pareggi. Il Granada B, invece, naviga nella ultime posizioni, 2 soli punti, sebbene abbia tra le sue fila giocatori già nel giro della Squadra A.
L'Estadio Ciudad Deportiva de Maracena è un piccolo campo circondato da una parte da un muro alto 3 metri (e da una colonna di alberi all'esterno), dall'altra da palazzi e palazzoni. All'interno, in zona distinti, 5/6 file di spalti, ombreggiati dai suddetti alberi, mentre all'opposto si erge (vabbè, si erge) un'altra dozzina file che formano la tribuna ospiti coperta.
Giunti al botteghino/entrata, scopriamo con nostro sommo stupore che il biglietto costa ben 7 euro. Avendo preventivato ingenuamente non più di 5 euro, partiamo con una tipica contrattazione italiota (i dialoghi sono stati “italianizzati”): - siamo italiani, dai, oh, turisti, no dai osservatori dell'Udinese e altre cavolate del genere. Massimo sconto ricevuto un euro, 20 euro diviso tre invece di 21, proviamo a spacciarci per pensionati o bambini (loro sì che usufruiscono dello sconto), ma niente. L'omino del botteghino ci risponde che verrebbe licenziato se solo si azzardasse.

Ti aspettiamo in Italia, Tony
Dall'altoparlante, le note dell'inno del Maracena, cantato dall'incommensurabile Tony Plata, famoso per il disco Vive Este Amor, si stagliano imperiose.
Giriamo intorno allo stadio, in cerca di pertugi o asili politici in case di sconosciuti.
Intanto la partita inizia.
Troviamo un muretto all'opposto, alto metri e metri (forse esagero un pochino). Uno di noi, che non sono io, riesce nell'impresa con una facilità disarmante. Vede solo una metà campo.
Noi, poveri sovrappeso, no. Tentiamo e ritentiamo, ma non abbiamo forza addominale a sufficienza.
Rinunciamo. Facciamo un giro completo dello stadio.
Boato. Applausi. Gol del Maracena. È circa il quindicesimo minuto.
Allunghiamo il passo, diretti all'entrata, semi-aperta.
Lì ci aspetta lo pseudo-steward: Miguel, un signore che fisicamente rappresenta un incrocio tra Pacciani e Jesus Gil (incrocio solo fisico, in caso contrario sarebbe stato l'Anti-Cristo).
Parte altra trattativa. Chiediamo quando potremo entrare gratis. Ci risponde che no, che oggi non si può (di solito sì), che lo licenzierebbero (a quanto pare i dirigenti del Maracena sono inflessibili, da questo punto di vista). A dimostrazione del fatto che il match col Granada B sia importante, arrivano in nostro soccorso tre ragazzi autoctoni, chi si uniscono alla nostra battaglia, stupiti del fatto che non si possa entrare gratis. 6 contro 1.
Se non altro, dalla porta d'entrata abbiamo una parziale visione dell'area di sinistra. Miguel ha pietà di noi e ci permette di sbirciare. Se non altro, notiamo un prosciutto attaccato all'anta chiusa del portone d'entrata, un Iberico d'annata che ci inebria. Scopriamo che alla fine del primo tempo ci sarà una lotteria con primo premio il prosciuttone.
Nel frattempo altri spettatori entrano regolarmente, con l'abbonamento o pagando il prezzo pieno. Tutto ciò fino alla mezz'ora del primo tempo.
- Miguel, ora? Possiamo entrare? - NO. - E ora? - NO.
Scoramento. Facce smarrite. Lanciamo sguardi languidi verso il nostro inconsapevole aguzzino calcistico.
Finisce il primo tempo. Il prosciutto viene vinto da una signora bionda sui 45 anni. Scene di giubilo.
Dopo che a uno dei ragazzi spagnoli viene concesso di andare in bagno, capiamo che è il nostro momento. Miguel ci dà l'ok. Con un cenno del capo ci invita ad entrare.
Siamo dentro.

Ci sediamo in terza fila, ovvero terzo gradone. Ora abbiamo una visione d'insieme dell'impianto: all'estrema sinistra il bar, con bocadillos, birre Alhambra e, quanto pare cubate, oltre alle immancabili pipas, servite in quantità industriale; in mezzo al campo (non ci sono barriere tra spalti e terreno di gioco, ma solo una pista d'atletica in terra battuta), un nugolo bambini pallone-muniti, giocano ad una porta, come una specie di “tedesca”.
Immancabili le sfilate delle fidanzate/mogli Milf dei calciatori, tutte in tiro e tutte (vabbè, una buona percentuale) Bone.
Insomma, il tempo nel descanso ci passa velocemente. Ed è già secondo tempo.
Il Maracena attacca dalla destra alla sinistra dei nostri occhi, il Granada parte “a spron battuto” (e finalmente sono riuscito a scrivere “a spron battuto”).
Il sopracciglio arcuato all'Ancelotti si impossessa di noi, in dieci minuti abbiamo già inquadrato tutti i giocatori in campo. Il 10 del Granada, una specie di Muniain versione regista, il centravanti del Maracena, una pippa senza tiro, colpo di testa e cambio di passo, sosia di Dani Güiza (forse effettivamente era Dani Güiza), il trequartista “maracenese”, un trippone tutta tecnica e immobilismo.
A metà secondo tempo, arriva il pari del Granada: cross basso dal fondo, difensore e portiere che si scontrano e gol facile facile.1 a 1. Esultano in 5/6.
La partita si avvia stancamente alla fine, con le due squadre che si accontentano del pareggio.
Ci concentriamo più sulle evoluzioni calcistiche dei bambini che, incuranti del match, giocano sulla pista d'atletica, che sul campo. Anche l'arbitro, ammaliato dai giovani talenti andalusi, decide che va bene così e che si può andare negli spogliatoi a bere una fresca Alhambra Reserva 1925.
Piccola invasione di campo. Anche noi invadiamo, tentiamo, invano, di recuperare un “souvenir”, un pantaloncino, dei calzettoni.
Capiamo di essere fuori luogo e decidiamo di andare (lo stadio era ormai vuoto, anche qui c'erano persone che uscivano dieci minuti prima della fine, cosa che ho sempre odiato), non prima di aver dato uno sguardo alla Ciudad Deportiva, che vanta piscine, palazzetti vari e palestre in cui si pratica scherma.
Torniamo a casa, con la sensazione di aver visto il Calcio, quello che retoricamente viene definito più vero, quello dei campetti polverosi (che qui non esistono), dei quarantenni ex-professionisti ora obesi che giocano ancora per puro divertimento, quello in cui è il “contorno-spettatore” che fa la partita e non il “quadro-partita” in sé.
Tutto non molto lontano da un campo di provincia di Catanzaro o dell'Algarve (o almeno per quanto riguarda il Portogallo, immagino così).
Certo, poi penso al bar dello stadio che serve cubate e bocadillos con jamos serrano. Immagino tutto ciò trasposto nel mio Paese, 4000 anime in Abruzzo e un campo veramente polveroso (l'unico, l'anno passato in Eccellenza), e scoppio in una risata incontrollata: - Eh no, “Marij di la Tatòn” (una vecchia signora, nonna e madre di alcuni giocatori del paese, inconsapevole fomentatrice e capo-ultrà) una cubata al campo non se la berrà mai!
A cosa giocano i bambini dietro la panchina?