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mercoledì 4 marzo 2015

Il Montefeltro del pallone: tra Edipo e Daniele Zoratto



1) Urbino, 1991-1995

Ai tempi dell’oratorio non eravamo che il germe della ciurma di blasfemi e fumatori che avrebbero animato nel giro di qualche anno i vicoli dell’Urbe. Coltivavamo con parsimonia il mito di un tale Angelo, molto più grande di noi, che aveva giocato nel vivaio del Parma e poi nelle serie minori. Sapevamo anche che se giocavi bene ti prendeva il Cesena. Sapevamo che Andrea e Simone a 16 anni avevano fatto alcune presenze nella Vis, che Danilo non aveva passato il secondo provino con il Toro per colpa (versione mai confermata) di un piatto di tagliatelle ai funghi maldigerito nell’incauto pranzo pre-partita, che altri (Mattia, in particolare) si erano rotti il crociato alla vigilia del provino della vita. Quelli forti arrivavano al massimo tra Pesaro e Fano; qualcuno, più di rado, finiva tra Ancona e Ascoli. Sapevamo che l’Urbino negli anni Quaranta aveva militato in C e che tale Gaudenzio Bernasconi, ex-Samp e Nazionale, aveva trascorso un periodo a Urbino tra 1968 e 1970: allenatore-giocatore, che manco Vialli al Chelsea.

A parte che ero scarso duro e stavo in panca anche ai tornei tra le varie sezioni delle scuole medie, avevo capito con buon anticipo che nessuna società avrebbe posseduto il mio cartellino. Non ho mai disputato una partita d’addio: dei miei scarpini appesi al chiodo si sono accorti solo i più nostalgici del me grasso e novenne, che aveva qualche chance come difensore centrale quando tutti erano alti uguale. Scelta saggia, avrei pensato in seguito. Meglio il nozionismo di chi ne parla senza giocarci. Ricordare a memoria Figurine; collezionare magliette-rarità: l’armadio raccoglie, a tutt’oggi, quintali di polyestere declinati in Overmars all’Arsenal, Gullit al Chelsea, Savicevic financo al Rapid Vienna, Butragueño al Real.

Non l’ho mai troppo capita, questa propensione dei miei (di miamadre, in particolare) a disprezzare gli sport di squadra. A parte che ero scarso e non potevo certo imputarlo a loro, non gradivano che mi sbucciassi le ginocchia e consumassi tute sempre nuove e di marche importanti. Volevano che portassi la camicia e la riga da una parte: benché atei e compagni di prim’ordine (la tecnica della persuasione “porta a porta” era rievocata con grande pathos ad ogni elezione comunale, prima che diventasse appannaggio nord-leghista) temevano il mio contatto con la bestemmie e la suburra, con le botte in campo e le goliardate in spogliatoio. Sottoproletariato culturale, they said.

Dunque tennis, nuoto, bicicletta. Purché non ci fosse squadra. Purché si rimanesse ben distanti da qualunque ambiente replicasse lontanamente quella specifica modalità di aggregazione. Tennis, per non sbagliare, anche con un maestro privato. Centri Federali Estivi; il C.O.N.I.; Serramazzoni.
Ormai ginnasiale, mi restava solo la saltuaria soddisfazione di giocare - solo nei tornei scolastici - nella squadra del Bomber: uno alto un metro e sessanta che in qualunque sport dava la merda a tutti, con cento metri in undici secondi e 180 centimetri di salto in alto. Mi è sinceramente dispiaciuto, quando anche il mio Bomber ci ha rinunciato: ho appreso solo di recente che, passato al calcetto, il Bomber si è trasformato in difensore e rompe i culi stricto sensu. Tutti hanno avuto almeno un conoscente Bomber, una volta nella vita, ma sono pronto a giurare che il mio meritasse la qualifica molto più di tutti gli altri simil-bomber di cui i miei colleghi millantavano conoscenza diretta. I miei amici, nel frattempo, qualche presenza l’avevano pure fatta: D, Eccellenza, Promozione. Stavano iniziando piano piano, a dare la colpa alle dirigenze, a procuratori che via via bruciavano i loro sogni trequartistici obbligandoli a pensare all’Università, se non alla ricerca di un lavoro per subito.

Comunque non mi è mai andata giù, ‘sta roba del “sottoproletariato culturale”.

Culla del Rinascimento, fine dei sogni calcistici.


2) Piobbico (PU); Parma (PR); Padova (PD), 1975-1995


Il Montefeltro è terra di fatiche, di abnegazione non ripagata, di monti che cingono persone che guardano a quegli stessi monti come a dolci catene cui imputare ogni insuccesso. È la prigionia della gente d’Appennino, condannata a contemplare con amore folle una terra straordinaria e maledetta. Daniele non fa eccezione: anche a lui quelle colline sembrano un giorno mostri e un giorno amici del cuore. Anche senza la minima idea di chi sia Paolo Volponi, Daniele sa che il cammino che potrà portarlo via da quella classe di geometri di Urbania, dove è l'ultimo non solo per ordine alfabetico, è tortuoso almeno quanto i suoi monti. Gli è successo, incidentalmente, di diventare un mediano polmonare, di concentrarsi cioè ossessivamente sull'andare su e giù. Non è che non voglia fare il geometra, Daniele: è solo che non vuole fare il geometra per forza. 

In realtà Daniele non è un sentimentale. è anzi un discreto stronzo e se ne compiace. Se in campo non parla, in classe non è il ragazzino impacciato davanti ai professori che lo correggono; risponde spesso di traverso e quando può prende per il culo i più disadattati. A cosa si giochi, nelle ore di ginnastica, è superfluo domandarselo: intanto perché al geometra sono tutti maschi; in secondo luogo perché Daniele, democraticamente, impone a tutti la sua politica. Certo non ama studiare: riversa tutto il suo odio su quella di diritto, un'aristocratica venticinquenne che ha avuto una supplenza annuale nel bunker urbaniese e che presto diventerà avvocatessa. La odia, perché ha proposto di non fargli passare l'anno. Daniele è venuto a saperlo dalla madre, dopo i colloqui di metà quadrimestre. “Signora Zoratto” si è sentita dire la madre dal corpo docenti “non ci è chiaro se il ragazzo non si applichi o sia un po', come dire, limitato nell'apprendimento. Soprattutto, signora, il problema è che il ragazzo a volte è molto sgarbato”. Mamma Zoratto ne soffre, perché vorrebbe che il figlio si togliesse da sotto le unghie quella terra che per generazioni ha sporcato le mani di tutta la loro famiglia e li ha costretti ad emigrare in Lussemburgo, dove Daniele, peraltro, è pure nato. In realtà Mamma Zoratto soffre più per lo “sgarbato”, ma quando torna e s’incazza la butta prevalentemente sul discorso dei voti. Teme che dovrà rassegnarsi molto presto: Daniele, il tempo per fare i pallosissimi compiti di diritto, non ce l’ha. Come tutti i quindicenni molto forti a pallone. 

Daniele si allena quattro volte a settimana, il sabato ha la partita e ogni tanto lo mandano nell'under. Se rimane almeno un altro anno a Piobbico lo porteranno in prima squadra, nei dilettanti. Potrà fare qualche presenza, avrà centomila lire al mese e si vedrà messo alla prova in una categoria già importante. Vedrè che quest’ maché i dilettanti li magna, dicono i piobbichesi classe millenovecentodieci che passano i pomeriggi a vedere gli allievi di quello strano capitano, arrogante ma muto, che non segna nemmeno per sbaglio. Hanno vinto tutti gli incontri casalinghi del girone d'andata. Hanno umiliato il Fermignano, ne hanno dati due all'Urbania e hanno beffato l'Urbino al 79'. Nel derby con l'Apecchio Daniele ha notato dei movimenti dalle sue parti, si è sentito osservato. Sergio, il tuttofare del campo sportivo, l'ha ribadito a capitan silenzio a fine partita, e poco dopo gli hanno presentato quel signore di Bologna che voleva conoscere i suoi genitori. 

Al babbo, Daniele non ha mai parlato apertamente delle sue possibilità di riuscita nel calcio. Prima di tutto perché sono due orsi, lui per primo. E per quanto sappia che il babbo gli vuole bene, pensa che non dia importanza a questa storia del pallone, perché ha conosciuto la miseria e vuole solo che il figlio finisca gli studi e si metta a lavorare. In più, tra un po', Babbo Zoratto vorrebbe andare in pensione. In realtà il babbo lo guarda eccome, Daniele, agli allenamenti. Passa al campo in lambretta, dopo le cinque, fingendo di essere lì per caso perché non gradisce che lo credano uno dall’illusione facile. In ogni caso Daniele è sempre troppo occupato per accorgersene: in genere sta pressando a centrocampo, perché non sopporta di dover aspettare che i suoi compagni recuperino palla. Il babbo guarda per qualche minuto, poi se ne va. Si agita, perché sente che non saprebbe come consigliare il figlio per il meglio. Sarebbe un coglione a non essersi accorto che Daniele ha una dote, anche perché non fanno che dirglielo tutti: lo fermano per strada, per ricordarglielo. Solo, ha paura che Daniele - che a suo avviso è solo un buono mascherato da bulletto - accarezzi un miraggio per poi essere costretto a tornare a Piobbico in veste di carpentiere.A casa, dopo una certa telefonata, il babbo prende coraggio e si decide. Affronterà l'argomento in presenza della moglie, perché da solo teme di non farcela. Mamma Zoratto, che parla e ragiona proprio come una mamma, sa invece che Babbo Zoratto ha solo paura di voci rotte e lacrime preventive: è così che lo prende per mano e aiuta i suoi due uomini-orsi a ragionare. La soluzione migliore per Daniele è che aspetti un altro anno, poi potrà lasciare Piobbico per Cesena. 

Daniele mantiene il segreto ma è contento, perché ha davanti un po' di tempo per prepararsi al salto. A giugno, viene ammesso alla terza geometra con un solo debito. Tutto sommato non gli dispiace, poteva andargli peggio; pazienza se a settembre avrà l'esame di riparazione. Quando però settembre arriva, quella di diritto è cambiata e l'orale è una formalità. Il nuovo insegnante, informato della particolare situazione professionale dell'alunno, si complimenta con Zoratto per i suoi meriti sportivi, senza fargli nemmeno uno straccio di domanda sulla Costituzione. Il verbale, in qualche modo, viene riempito; Zoratto è congedato e ufficialmente promosso. È strano per Daniele, perché non si sente amareggiato: eppure, pensa, ha passato l'esame in qualità di imbecille. Si sente una merda solo perché, mentre lui è passato, Franceschino è stato stangato. Franceschino è affetto da nanismo, che in una qualunque scala gerarchica sarebbe un motivo per essere promossi persino più valido del suo brillante avvenire calcistico. In macchina verso la Romagna, Daniele giura che proverà a fare meno lo stronzo. Almeno sul campo, sarà molto severo con se stesso. Tornando da Cesena il signor Zoratto non resiste, e mette il nastro di Lugano Addio di Ivan Graziani.

Ai tempi d'oro, allenato da Nevio Scala.

***

Daniele - che talvolta riesce persino ad essere un razionale - intuisce in fretta che tra i professionisti è durissima, tanto che il Manuzzi nemmeno lo vede. Quando raggiunge la squadra in ritiro, lo mandano subito a Casale, in serie C, senza discutere. La provincia di Alessandria si rivela un posto freddo e inospitale, per di più lontanissimo da casa, in cui Daniele si sente come un ragazzo del Novantanove. Se possibile parla ancora meno e fisicamente soffre il confronto con colossi dal fisico già formato, uomini fatti e finiti rispetto ai quali si sente - a ragione - ancora un ragazzino. Non gioca quasi mai, Zoratto, e torna dal prestito con appena quattro presenze in tutta la stagione. Va meglio l'anno seguente a Bellaria. Il problema è che l'hanno fatto scendere di un paio di categorie, e in molti sono già scettici sul suo effettivo valore. Secondo gli allenatori è un po' stupido, forse non si applica, sarebbe forte ma a volte si perde.Quando il Cesena ci scommette, a Daniele non sembra vero. Zoratto esordisce in Serie A nel 1981-'82: i marchigiani più in voga in quel periodo sono il guizzante Roberto Mancini, attaccante del 1964 che stupisce tutti a Bologna, e Luca Marchegiani, di Jesi anche lui, con cui Zoratto si incrocia un anno a Brescia, nel 1987. Poi Rimini, per un ritorno in Romagna in grande stile, proprio mentre la riviera sta sfornando non mediani ma attaccanti capelloni: su tutti, pare, Neri Maurizio e Agostini Massimo, che nel particolare bestiario del tempo è conosciuto come il condor. Questa Romagna attorno a cui sta ruotando la sua carriera non è male, pensa Daniele, ma è tutta un'altra cosa. Come sempre: nulla da dire sulla piadina, ma la crescia sfogliata è nettamente meglio. È il triplo strato di strutto che fa la differenza.

A Brescia Daniele è ormai un ometto e ci rimane per un po'. Dopo qualche anno può permettersi il lusso di giocare in A, salvo poi riuscirci stabilmente solo a Parma, dove vince addirittura delle Coppe Europee e viene premiato dalla Nazionale di Arrigo. Esordisce in Svizzera, a Berna, e l’Italia di Arrigo perde 1-0. Qualcuno, a Piobbico, ripensa ad un certo giorno, con Lugano Addio sparata a mille e si commuove. Ha trentatre anni, Daniele, ma si rifiuta di pensare che il punto più alto della sua carriera l’abbia raggiunto da coetaneo di un certo predicatore fricchettone che è molto simile, nell’immaginario comune, al suo amico Marco Osio. Ritorna anche ad essere spavaldo come ai vecchi tempi. Per carità, in campo vige il silenzio più assoluto, ma con qualche ragazzo più giovane ed educato, tipo Melli, può anche permettersi di fare lo sborone. Pare che Osio ancora lo prenda in giro, quando si sentono: Marcone ricorda a Zoratto di quanto si risentisse (l’espressione più appropriata parrebbe “come una bestia”), quando gli davano del marchigia’. Finisce a Padova per chiudere con dignità, ma non si risparmia l’incazzatura di giocare poco e di rischiare in prima persona l’onta della retrocessione. In fondo, quando ci ripensa, sa di non essere stato poi tanto male. Meglio di un morto in casa, perlomeno.

***

A cinquant'anni Daniele Zoratto è un punto di riferimento delle rappresentative under. Allena, per conto dell'Italia, ragazzi che hanno di regola non più di 17 anni. La scelta della Federazione è caduta su di lui perché, oltre ad aver accumulato importanti trascorsi nei settori giovanili di varie società (meno bene a Modena, tra gli adulti, in combo con l’amico Apolloni), rappresenta un percorso reso esemplare dal sacrificio. Daniele ora è un cinico che ne ha viste tante, è persino spiritoso con la stampa che lo intervista nelle tournée delle sue rappresentative. Del ragazzetto arrogante delle origini non restano che i lineamenti, ma solo sullo sfondo e molto più addolciti. Daniele è una figura d’esperienza, che guida i giovani verso carriere assennate e sogni controllati. Dice ai suoi ragazzi che per non finire come Vincenzino Sarno ci si deve, semplicemente, rimboccare le maniche. Fa spesso battute, con i suoi giocatori: gli servono per dire ai suoi ragazzi - tra le righe - che il peggior nemico di Zoratto è stato Zoratto.

Poteva andare meglio, in quel di Berna...


3) Urbino, Palazzo di Giustizia, 1996 o poco più

Miamadre non ha mai amato il calcio. Non in quanto donna, ma in quanto figlia, sorella, cugina, moglie e madre di calciomani che l’hanno bombardata dal primo quarto d’ora della sua esistenza. Giornali della Juve al cesso, fratelli sivoriano-charlesiani fino alla morte, che scrivevano Anzolin et cetera su ogni superficie possibilmente imbrattabile, senza risparmiare i dizionari di Latino.
Poi è scappata a fare supplenze tra Udine e Saluzzo, proprio nel periodo in cui un suo amico giocava nella Triestina. Bel clima, nella Napoli del Nord, ma che palle andare allo Stadio a venerare il reame di Rocco solo per mostrarsi ospitali con tutti gli urbinati che, ogni quindici giorni, andavano in pellegrinaggio in Friuli a dare manforte al conterraneo.
Quindi è stata assorbita da un compagno che in realtà aveva la fissa di Lasse Viren, Anquetil e Gianni Brera, ma la filastrocca di Anzolin la conosceva benissimo anche lui (come Sarti-Burgnich-Facchetti, ma quella pare fosse d’obbligo fino a Jair-Guarneri-Picchi). Dunque si è sempre detta juventina, miamadre. Che io ricordi, ha avuto solo qualche momento di baggismo come ogni madre italiana. Al massimo, ha pensato che Padovano fosse un personaggio romantico (dire “bello” pesa come un macigno, ad essere edipicamente onesti); ha ammesso davanti a testimoni che Zinedine aveva un certo stile, e che la chierica lo rendeva forse ancora più interessante. Ha amato Gigirìva, quello sì.
Poi ha avuto un figlio, collezionista di magliette, che dal Novantaquattronovantacinque (parola unica e indivisibile) non ci ha capito più un cazzo, mentre Romario e Baresi, in copertina, ballavano un ballo nuovo.

L’umanizzazione di miamadre è iniziata quando un giorno, tornata a casa, mi ha raccontato di un incontro avvenuto con un tale in tribunale, di mattina. “Non mi riconosce?” le domanda il tizio, che ci tiene a precisare come stia facendo la fila in attesa di ufficializzare una separazione. “No” risponde miamadre, aggiungendo, in pieno formalismo avvocatizio “Mi scuso. Chi è?” - “Ma come, non mi riconosce Professoressa? Io sono Zoratto, lei è stata la mia insegnante di diritto!” “Ah!” dice miamadre simulando interesse e ricordando all’istante registri compilati per conto di direttive arrivate dall’alto. “Molto bene! Che piacere! Cosa sta facendo adesso?” Pare che Zoratto, a quel punto, si sia scurito in volto e abbia glissato, tornando in fila. A pranzo, raccontandomi l’incontro, miamadre non ha potuto fare a meno di aggiungere: “Non c’è niente da fare. è rimasto proprio un gran patacca”.

Non ho capito se in quel momento a parlare fosse mia mamma, un avvocato o una professoressa di diritto. Ma forse, alla fine e col senno di poi, miamadre l’ho capita un po’ di più.


Forse l’autografo l’avrei voluto, ma non importa. 

martedì 1 novembre 2011

Bentornato Padova!

Che emozione quel rigore di Michel Kreek. Sarà perché è stato uno dei miei primi grandi amori calcistici, peraltro del tutto immotivato, visto che non ho nessun legame con la città in questione, ma rivedere il Padova così tanto in alto, può farmi solo che piacere. Si perché quando ero ragazzino, quel Padova con sponsor l'acqua Vera, mi ha fatto entusiasmare. Una salvezza stupenda, arrivata grazie a quel rigore di Michel Kreek, o meglio ancora, per dirla alla Carletto Mazzone, grazie a quel rigore di "Screcca"(da"Se quer tiro de Screcca...."massima mazzoniana dei tempi del Perugia..che dedico ad Andrea.) . Ieri c'era Vlaovic, oggi c'è Cacia, Ieri c'era Kreek, oggi c'è Aniello Cutolo, Ieri Sandreani e oggi Dal Canto, il risultato, categoria a parte, è simile. La storia del Padova è costellata da spareggi. Spareggi salvezza e spareggi promozione. I biancoscudati sono destinati per storia a soffrire, a disputare continuamente quelle insopportabili partite da dentro o fuori, quelle che non ti fanno dormire, quelle da fitta allo stomaco. Tutto parte dalla stagione 84-85, il Padova è in serie B e nonostante il 16esimo posto viene retrocesso per illecito sportivo. In quella stagione infatti, i veneti sono invischiati nella lotta per non retrocedere, a poche giornate dal termine del campionato, il 13 Maggio 1985, il centrocampista del Taranto, Giovanni Sgarbossa, nativo del padovano, si reca al suo paese per votare alle amministrative. Lì incontra il vicepresidente del Padova calcio Dino Zarpellon, che chiede al calciatore(che pochi anni prima aveva militato nel Padova)un aiuto in caso di bisogno, visto che l'ultima di campionato metteva di fronte proprio Taranto e Padova. Passa un mese, il Padova è ancora in piena lotta per non retrocedere. Sgarbossa chiama Zarpellon per avvisarlo, che ha coinvolto altri 4 compagni di squadra: Paese, Bertazzon, Vito Chimenti(inventore del quanto mai inutile gesto tecnico denominato "Bicicletta" e zio di Antonio detto "Zucchina" portiere dei giorni nostri) e il simpatico Frappampina. Zarpellon consegna 50.000.000 milioni come anticipo, il resto verrà consegnato a risultato ottenuto. Ultima Giornata, il Taranto già retrocesso, viene sconfitto 2 a 1 in casa dal Padova, i veneti sono salvi, il Cagliari che pareggia 0 a 0 a Catania, retrocede. Va tutto bene, fila tutto liscio se non fosse che alla penultima giornata(la giornata prima della combine), l'allenatore degli ionici, Angelo Becchetti, viene esonerato e viene quindi escluso dall'affare. Come si suol dire, il Mister rosica e spiffera tutto all'ufficio indagini della federcalcio, che propone al Becchetti di chiedere ugualmente la sua parte a Sgarbossa per incastrarlo grazie ad un microfono nascosto, Roba da 007. Sgarbossa non sospetta nulla ed incontra il suo ex allenatore a Pesaro(che poi mi sarebbe sempre piaciuto vedere uno 007 ambientato a Pesaro, con Sean Connery che prende un vodka martini agitato non mescolato al bar della stazione). Morale della favola, Sgarbossa,Chimenti,Paese, Bertazzon,Frappampina(anche se in realtà credo che quest'ultimo sia stato squalificato per il cognome) e il vicepresidente padovano Dino Zarpellon vengono squalificati per 5 anni e il Padova Calcio viene retrocesso in serie C1. Sembra l'inizio della fine, e invece si tratta di una vera e propria svolta, perché nel 1986, la società biancoscudata viene acquistata da Maurizio Puggina(il signor Despar Italia). Da qui è un crescendo. Promozione in serie B nel 86-87, tre salvezze consecutive, e nel 90-91 con Colautti allenatore, viene sfiorata la Serie A, sfumata solo all'ultima di campionato dopo un duello a distanza con l'Ascoli. L'anno seguente la squadra viene affidata al tecnico Bruno Mazzia, i risultati non arrivano, a poche giornate dal termine arriva però l'esonero del mister con un Padova che si trova pericolosamente vicino alla "Zona calda". Il suo posto viene affidato al suo vice, il giovane allenatore romano, Mauro Sandreani, già allievo di Colautti. Sandreani porta la squadra al 12esimo posto e viene confermato per la stagione seguente. Nella stagione 92 - 93 il Padova disputa un grandissimo campionato(da segnalare il primo goal da professionista di Alessandro Del Piero contro la Ternana, Del Piero che a fine stagione sarà venduto per 5 miliardi alla Juventus), ma come due anni prima deve cedere l'ultimo posto valido per la promozione nella massima serie all'ultima giornata dopo un sanguinoso testa a testa con Lecce e Piacenza che avranno la meglio. Nel 93-94 non si può proprio più sbagliare. I biancorossi di Sandreani sono ormai una squadra rodata e pronta per l'approdo in serie A atteso da 32 anni. Bonaiuti , Gabrieli,Cuicchi, Franceschetti, Coppola, Nunziata, Galderisi, Maniero, sembra davvero l'anno giusto. I veneti disputano gran parte del campionato nei posti promozione, ma a poche giornate dalla fine hanno un calo(4 pareggi ed una sconfitta nelle ultime 5 di campionato) e vengono raggiunti dal Cesena di Dario Hubner, sarà spareggio(il primo di una lunga serie). Il 15 Giugno del 1994, Allo stadio Giovanni Zini di Cremona va in scena lo spareggio promozione tra Padova e Cesena. Al minuto 6 la testa di Hubner gela i 10 mila padovani giunti a Cremona, al 18esimo però, il difensore Andrea Cuicchi segna il goal della vita con una rovesciata degna di "Fuga per la vittoria", il Padova pareggia e trova il goal vittoria al 24esimo con un velenoso tiro da fuori del centrocampista romano Maurizio Coppola. Nel finale un miracolo di Bonaiuti permette ai padovani di festeggiare la storica e sudata promozione in serie A. E siamo arrivati al famoso Anno della A. Sergio Giordani è già da tempo il nuovo presidente, con Puggina che resta in carica come presidente onorario. Nuova categoria,nuovo presidente ed anche nuovo stadio, l'Euganeo , impianto da 32.000(al tempo privo però della curva sud) posti che sostituisce tra i mugugni dei tifosi lo storico Silvio Appiani. La campagna acquisti è buona. Arrivano: David Balleri e Daniele Zoratto dal Parma, il croato Goran Vlaovic dal Croatia Zagabria, Carlo Perrone dall'Atalanta, Il centrale statunitense Alexi Lalas e a Novembre, Michel Kreek dall'Ajax. L'inizio è da incubo, Nelle prime 4 giornate rimedia 4 sconfitte con 11 reti subite e nessuna realizzata. Poi la svolta, a Napoli il Padova va sotto di Due goal, accorcia su rigore con Longhi, subisce il 3 a 1 sempre su rigore da Rincon e a 5 minuti dalla fine un giovane Filippo Maniero con una doppietta in due minuti regala il primo punto ai patavini. Da qui cambia il campionato dei biancoscudati che, una settimana dopo, si permettono il lusso di battere in casa i campioni d'Italia del Milan, con le reti di Lalas e Gabrieli. I biancorossi cominciano a girare, giocano bene e accumulano punti. La sicurezza di Bonaiuti tra i pali, le sgroppate di Gabrieli sulla fascia sinistra, Coppola (assurdo un suo goal contro il Brescia), Nunziata e Longhi che brillano a centrocampo, senza contare le magie di Kreek arrivato solo a Novembre e subito protagonista, l'esperienza di Galderisi e i goal di Vlaovic. E poi c'è Lalas giunto in italia con l'etichetta di sicuro bidone, che si rivela invece un giocatore per nulla malvagio. Di storie sul difensore americano ce ne sono tante. Il pomeriggio spesso si metteva a giocare con i ragazzini del quartiere in mezzo alla strada, la sera andava a suonare in osteria(Il suo Gruppo i Gypsies è il gruppo preferito di Chelsea Clinton), una volta fu fermato dai carabinieri perchè da solo alle due di notte giocava a pallone facendosi la telecronaca mentre tirava pallonate alla saracinesca di un garage. In poche parole un mito assoluto. Il Padova continua la sua stagione tra risultati esaltanti e pesanti sconfitte, il girone di andata si chiude però con la vittoria sull'Inter di Ottavio Bianchi, arrivata con un goal di Rosa a 4 dal termine. Durante quella partita viene contestato per la prima volta Sandreani, per aver sostituito Goran Vlaovic,Sandreani che alla fine del match aveva presentato le proprie dimissioni, respinte dal presidente Giordani. I biancoscudati trovano la svolta della stagione con tre prestigiose vittorie di fila:alla nona(di ritorno ovviamente) contro il Brescia al Rigamonti, alla decima contro la Lazio a Padova e soprattutto con la perla della stagione, all'undicesima contro la capolista Juve a Torino grazie ad una punizione gioiello di Michel Kreek. A sei giornate dalla fine del campionato la matricola veneta si trova con 5 squadre sotto a 5 punti di distanza, la salvezza sembra ormai raggiunta. Il Padova va però come da tradizione in affanno alle ultime di campionato, ne perde tre di fila e all'ultima di giornata dopo aver perso a San Siro(in pieno recupero) viene raggiunto dal Genoa vittorioso contro il Torino. Sarà spareggio contro i Liguri. Il secondo. il 10 Giungo 1995 allo stadio Artemio Franchi di Firenze, Padova e Genoa si giocano la permanenza in serie A. Dopo 19 minuti il Padova passa in vantaggio grazie ad una splendida girata di Goran Vlaovic su assist di Kreek, dieci minuti dopo Skuhravy di testa ristabilisce la parità. Le parate del portiere rossoblu Spagnulo fanno la differenza e dopo 120 minuti si arriva ai calci di rigore. Fontana sbaglia il primo rigore per il Padova, Marcolin si fa parare il terzo da Bonaiuti, torna la parità, si arriva ad oltranza, sbaglia Galante per i grifoni e Michel Kreek segna il rigore decisivo,Padova esplode, i giocatori impazziscono, durante i festeggiamenti spunta anche una statua di Sant'Antonio. Da quel giorno in poi il Padova scivolerà lentamente. l'anno dopo retrocederà accumulando 11 sconfitte consecutive. Le cessioni di Galderisi e Lalas peseranno non poco, anche se l'episodio decisivo è da individuare nella lunga assenza di Goran Vlaovic operato al cervello, che nonostante tutto chiuderà la stagione con 13 centri. Due anni dopo il Padova lascerà anche la serie B. Nella stagione 98-99 succede l'incredibile, nel campionato di C1 i veneti sono in zona retrocessione, siamo in Aprile non mancano tante partite alla fine, i biancorossi ospitano il Varese diretto concorrente per la salvezza. Il regolamento della serie C prevede almeno un Under 21 in campo, il Padova schiera Simone Barone futuro campione del mondo(Gesù!)che aprirà addirittura le marcature. I biancoscudati raddoppiano e mettono al sicuro il risultato, Adriano Fedele decide di effettuare un cambio, fuori proprio Barone ma non per un pari età, il Varese fa ricorso e vince a tavolino. Nel finale di stagione il Padova andrà al play-out per la peggior classifica avulsa con il Varese. Terzo spareggio. Il Padova perde con il Lecco e precipita in Serie C2. Ritorna in C1 nel 2001, perde il suo quarto spareggio con l'Albinoleffe(in realtà una semifinale di play-off per la B)nel 2003 e sei anni dopo nel 2009 vince lo spareggio promozione(il quinto) contro la Pro Patria. L'anno del centenario il Padova lo disputa in B, parte bene ma finisce con il disputare i play-out(sesto spareggio) contro la Triestina. 0 a o a Padova, 3 a 0 per i Biancoscudati al Nereo Rocco di Trieste il Padova è salvo e l'anno seguente guidato dal faraone El Shaarawi si permette il lusso di disputare la finale Play-off per la serie A contro il Novara(settimo spareggio),la finale viene persa a testa alta. Oggi il Padova è una pretendente alla massima serie, l'obiettivo dei ragazzi di mister Dal Canto è la promozione in serie A. Potrebbe esserci l'ennesimo spareggio della sua travagliata storia, l'ennesimo ma probabilmente non l'ultimo, perché forse il Padova è una di quelle squadre destinate a soffrire per gioire ancor di più dei suoi trionfi. E allora non mi resta che dire bentornato Padova!sperando che quel rigore di Michel Kreek non rimanga l'ultimo dolce ricordo di una serie A che manca da tanto, troppo tempo.