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giovedì 2 aprile 2015

Guida Galattica allo US Soccer #14


Islands of Adventures

Perché Orlando si chiami Orlando non è ad oggi ancora ben chiaro. Sappiamo che ad inizio Ottocento il principale insediamento della zona si chiamava Jernigan, da Aaron Jernigan, un mandriano che era riuscito a far suoi diversi terreni grazie al Florida Armed Occupation Act. Sappiamo che la leggenda vuole prenda il nome da Orlando Reeves, una sentinella americana che perse la vita durante una delle guerre contro i Seminole e che i discendenti di tale Orlando Savage Rees dichiarano che quel nome viene dal loro avo che possedeva terreni su terreni tra Florida e Mississipi.
Com’è come non è, Orlando è un bel nome per una città, suona bene in inglese.

Nel mondo Orlando è conosciuta come la capitale dei parchi di divertimento. Oltre ai quattro parchi tematici della Walt Disney (Magic Kingdom, il primo ad essere costruito, quello con il Cinderella Castle, per intenderci, Epcot, dedicato alla scienza, i Disney’s Hollywood Studios, Animal Kingdom, il secondo parco più grande al mondo e la Typhoon Lagoon), Orlando e dintorni offrono Sea World, Gatorland, il Wet ‘n Wild e la galassia di parchi Universal, che ricomprende il CityWalk Orlando, Islands of Adventures e gli Universal Studios Florida. Per i non amanti dei parchi tematici, meritano forse una visita l’Osceola County Welcome Center (Osceola era il più valoroso tra i capi Seminole) o i tanti shopping mall (tra questi, il Millenia) o il Lake Eola. Non credo comunque che Orlando sia una meta per chi non ama i parchi tematici, sinceramente.

Sono di Orlando Jack Kerouac, Wesley Snipes, per noi, Blade, e la drag-queen Tyra Sanchez. Orlando accoglie, inoltre, una delle comunità ispaniche più importante degli U.S.A. in virtù della forte immigrazione portoricana e cubana.

Ricardo Izecson dos Santos Leite - Kaka

La storia dell'Orlando City Soccer Club inizia a Austin, Texas. I colori sono il bianco ed il rosso dell'Austin Aztex F.C., club di proprietà di Phil Rawlins, fino a qualche tempo fa azionista dello Stoke City, e impegnato nella seconda e terza divisione americana. Nel 2010, Rawlins decide di spostare la franchigia in Florida, ad Orlando, appunto, dove il soccer manca dai tempi dei Miami Fusion e dei Tampa Bay Mutiny. Con l'occasione, la franchigia cambia nome, diventando Orlando City S.C., colori, viola e bianco, e annuncia l'intenzione di prendere parte alla Major League Soccer nel giro dei successivi 5 anni.

Quella da poco iniziata è la prima stagione dell'Orlando City in Major League Soccer. E l'inizio è di quelli buoni. Lo scorso febbraio è stata presentata anche la nuova mascotte, Kingston (a dire il vero un pò criticata per i colori sbiaditi) e i primi di marzo ha preso il via la Orlando City Purple Pride, una corsa dei supporters del club per tutta downtown Orlando.

In rosa figurano giocatori del calibro di Brek Shea (ex Stoke City e Birmingham City), Sean Patrick St Ledger (ex Boro, Milwall e Ipswich Town) e Kaka, con tanto di fascia di Capitano al braccio. Un pareggio all'esordio contro il New York City e una vittoria alla seconda giornata a Houston contro la Dynamo. Poi la sconfitta al Citrus Bowl - in attesa del nuovo stadio a downtown, a due passi dall'Amway Center, dove giocano i Magic di Victor Oladipo e Nikola Vucevic - contro Vancouver e il buon pareggio a Montreal. La stagione promette bene, l'esperienza di head coach Adrian Heath è quello che serve.

Qui trovate la sintesi del pareggio con Montreal, caratterizzato da fasi difensive rivedibili.
La squadra ha anche un profilo Instagram e un profilo Twitter.
 
Conch fritters

Una gita ad Orlando è l'occasione per assaggiare qualche specialità floridana, latinoamericana e vietnamita. Per iniziare fried gator tail e conch fritters. La fried gator tail è servita alla maniera del Sud tipo nuggets e accompagnata da salsa piccante. Una buona alternativa può essere il gator tail piccadillo: la carne viene cotta assieme a spezie di vario tipo e servita con riso e verdure.
Conch - che si pronuncia "konk" - è invece lo strombo, un mollusco di media grandezza. I conch fritters sono un piatto di origine bahamense. La carne viene panata in una maniera particolare (generalemente alla panatura si aggiunge la cipolla, il peperone e la cayenna) e fritta prima di essere servita con salsa tartara.
Non mancate una fetta di key lime pie: simile, nell'aspetto, alla cheesecake, con la quale condivide la base di biscotti sbriciolati imburrati, è un'esplosione di crema di lime e panna che passa prima al forno e poi per diverse ore in frigorifero.

Se non potete rinunciare al classico burger, tre mete imperdibili: that one spot, sulla West Colonial Drive in direzione Clermont (le foto parlano chiaro), Burger Craft, prima di Clermont, sul Lake Minnehaha, e BurgerFi (il più vicino è a Windermere), dove servono i panini con sopra grigliato il nome o con la lattuga al posto del pane.

*   *   *
Classifiche
Eastern Conference New York Red Bulls 7, D.C. United 6, New York City FC 5, Orlando City SC 5, New England Revolution 4, Columbus Crew SC 3, Toronto FC 3, Chicago Fire 3, Montreal Impact 2, Philadelphia Union 2 Western Conference FC Dallas 10, Vancouver Whitecaps FC 9, San Jose Earthquakes 6, LA Galaxy 5, Real Salt Lake 5, Houston Dynamo 5, Sporting Kansas City 5, Seattle Sounders FC 4, Colorado Rapids 3, Portland Timbers 3
Top scorers 3 reti: Fanendo Adi Portland Timbers, Clint Dempsey Seattle Sounders FC, Blas Pérez FC Dallas, Octavio Rivero Vancouver Whitecaps, Chris Wondolowski San Jose Earthquakes; 2 reti: Jozy Altidore Toronto FC, Fernando Aristeguieta Philadelphia Union, Kaká Orlando City SC, Robbie Keane LA Galaxy, Obafemi Martins Seattle Sounders FC, Ike Opara Sporting Kansas City, Kelyn Rowe New England Revolution, Lloyd Sam New York Red Bulls, Bradley Wright-Phillips New York Red Bulls.

giovedì 22 gennaio 2015

Il colombiano dai capelli strani



 
No se trata de ganar, sino de tener la pelota
 
Santa Marta, dipartimento di Magdalena. Costa atlantica colombiana. E’, dicono, la città più antica della Colombia, forse del Sudamerica. Agli inizi del Cinquecento, giunse nella regione di Magdalena il conquistador spagnolo Rodrigo de Bastidas, già al fianco di Colombo durante il secondo viaggio verso le Indie e con licenza di scoprire nuove terre a sud del Caribe. In un niente, i soldati di de Bastidas costrinsero alla resa i Tairona, i nativi di quelle terre, e assunsero il controllo della regione. Serviva, a quel punto, creare un’attrattiva per i coloni, servivano schiavi e ricchezze. de Bastidas fondò quindi Santa Marta, utilizzandola come base per spedizioni nell’entroterra e porto per l’esportazione di mais, balata e ananas. Morì poco dopo, de Bastidas. Aveva idee strane, non voleva solo conquistare e sfruttare, voleva creare un qualcosa che gli permettesse di passare in quella regione gli ultimi anni di vita. Aveva idee diverse su come trattare gli schiavi. E siccome non piacevano ai suoi luogotenenti e soldati, questi decisero di colpirlo. Morì, dopo una breve fuga, a Santiago de Cuba, all’età di 82 anni.

Verso la fine degli anni Sessanta, per le strade del Barrio Pescaíto, nella parte a nord della città, inizia a gironzolare un ragazzetto dagli occhi grandi ed il mento piccolo, con uno strano batuffolo di ricci sopra la fronte. Gironzola sempre con una camicia a quadri e tira calci al pallone su ogni campo disponibile. Gioca centravanti ed è figlio di Juana e Jaricho, un ex giocatore di calcio professionista che allena la squadra del Liceo Celedón. Di nome porta Carlos, Carlos Alberto Valderrama. Per tutti, a Pescaíto, el Mono, perché ha i capelli rossicci.

* * *


Quando debutta con la maglia dell'Union Magdalena, a vent'anni, Carlos Valderrama non gioca più centravanti come da ragazzo e da scimmia si è fatto Pibe. E' suo padre Jaricho ad avere l'intuizione giusta: il figlio è un giocoliere e la sua arte nel trattare il pallone là davanti è sprecata. Meglio qualche metro più indietro, a ridosso della linea di difesa.

Le prime stagioni passano tra alti e bassi. El ciclon bananero non è certo una squadra di spicco in Colombia in quegli anni. Ma qualche buona prestazione basta ad attirare le attenzioni dei Millionarios, la squadra dove aveva giocato anche la Saeta Rubia.

Una stagione, senza incanto, a Bogotà e poi, nel 1985, il passaggio agli azucareros di Cali. Nel Deportivo Cali Valderrama recita calcio per due anni, ma a vincere sono sempre quelli dell’altra parte della città, Los Diablos Rojos dell’ América. In quegli anni, l’America è strepitosa, semplicemente imbattibile in patria e sempre protagonista fuori. Raggiunge tre finali di Libertadores consecutive. Le perde tutte. Ma poco conta, per Valderramma e il suo Deportivo non c’è gloria. Carlos e il fidato Redín, suo compagno di reparto, permettono alle punte (Angulo e Gonzalez) di segnare a raffica. Lui gioca a dieci tocchi, stoppa, nasconde, dribbla, nasconde e lancia. E le sue recite con la maglia del Depor (e le prime apparizioni con la Nazionale colombiana) non passano inosservate in Europa.

Un piccolo club francese del Languedoc-Roussillon, il Montpellier, decide di acquistarlo e di costruire la squadra attorno a lui e Laurent Blanc. Il primo anno, però, Valderrama stecca. Arriva in ritiro sovrappeso, manca l’ambientamento e non riesce a lasciare il segno. Il secondo, svolta. Un nuovo allenatore, Henryk Kasperczak, gli regala fiducia incondizionata. Lui lo ripaga partita dopo partita. Il Montpellier chiude bene in campionato e fa sua la Coppa di Francia. Il calcio del Pibe è pronto. Giusto in tempo, perchè a Bologna hanno appena finito di sistemare il Dall'Ara per il debutto della Colombia contro gli Emirati Arabi Uniti nella Coppa del Mondo.

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Le collanine e i braccialetti, la maglia rossa sgargiante e i capelli ricci lunghissimi biondi.
El Pibe è una cosa che non si era mai vista. Come il suo calcio ad altalena, concedere metri e secondi per riguadagnarli pochi istanti dopo.
La Colombia si allena ogni giorno e il suo guru, Francisco Pacho Maturana, le riempe la testa di tattica. Ha preso l'ossatura del Nacional, fresco campione in Libertadores, e l'ha perfezionata. Valderrama è de volante, Redín e Rincon la tecnica, Iguaran la punta che deve aprire lo spazio. Giocano a memoria e predicano un calcio strano: possesso palla e passaggi corti.

All'esordio, gli Emirati ci capiscono poco e niente. Reggono un tempo, nel quale riescono anche ad avere diverse occasioni da gol. Poi, però, il calcio colombiano parte. La squadra del Pacho accorcia e si allunga, fraseggia e verticalizza. Arriva il gol di Redín, sugli sviluppi di un calcio d'angolo, e il raddoppio del Pibe, un tiro secco da fuori area. L'assedio finale degli arabi è confuso, la Colombia incassa i due punti e si fa bella per le telecamere.
A riportare i colombiani sulla Terra è il gol di Jozic nella seconda partita del girone. Gli ingranaggi dei cafeteros subiscono il fisico e l'organizzazione di Katanec e compagnia. E al 75' crollano: palla in mezzo, difesa fuori fase e Jozic stoppa di petto e tira fortissimo. Gran gol. Il rigore parato da Higuita nel finale tiene la differenza reti. Ma il problema è un altro: si chiama Germania e si dice sia fortissima. Per passare il turno alla Colombia serve un punto.

A Milano, i tedeschi dalle maglie stupende aggrediscono e attaccano senza sosta. Solo i miracoli di Higuita tengono a galla le speranze. Passano i minuti e i tedeschi non passano. Passano i minuti e il Pibe prende le misure al centrocampo tedesco. Toglie un tocco al suo stile e inizia a servire assist ai suoi, con qualunque piede gli capiti vicino al pallone. Fajardo si mangia un gol impossibile, anche Estrada spreca. Ma la notizia è che la Colombia c'è. La Germania scopre il fraseggio cafetero e barcolla. Estrada sbaglia ancora, la traversa aiuta Higuita su Matthaus. La ripartenza del centrocampo tedesco a due dalla fine è quella giusta. La manovra che porta al gol di Pierre Littbarski è da manuale del calcio. Il colpo è durissimo.
Ma non letale.
Riprende il gioco e la palla subito arriva a Valderrama. Ha addosso tre avversari ma dribbla, si gira, appoggia e riprende il triangolo. Il centrocampo della Germania salta. La difesa scala verso destra perchè tutti si aspettano il passaggio verso le punte che sono partite da quella parte. La palla che esce dal piede di Valderrama è un sibilo nella direzione opposta. In un attimo Rincon è davanti a Illgner. Palla sotto le gambe mentre esce, 1 a 1. Le maglie rosse che saltano addosso a Rincon sembrano centinaia. Come fiamme. Ottavi.

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Camerun - Colombia è la tristezza di ogni sogno. L'adorazione per entrambe in quell'Italia 90. Il pianto e la gioia si presentano assieme alla fine dei supplementari. Un'altra scuola di Valderrama aveva rimesso in partita i cafeteros dopo la doppietta di Milla. Palla filtrante di trenta metri, l'ala, Perea, si ferma e appoggia. Di nuovo il Pibe, chiede il triangolo al limite, lo ottiene, entra in area e serve Redín sui piedi per battere Nkono.

Dopo il gol che accorcia la Colombia, però, si ferma. In una recente intervista, il Pacho Maturana ha modo di spiegare tutto, di permettere anche a noi di capire perchè quella Colombia non avrebbe mai pareggiato:
Aquel partido fue impactante por muchas circunstancias. Marcamos el 2-1 a falta de tres minutos para el final de la prórroga y le dije a uno de los marcadores, Luisfer Herrera, que tirara el balón arriba porque no había tiempo. No me hizo caso y siguió tocando y tocando. Después me dijo: "Pacho llevamos toda la vida tocándola por qué iba a dejar de hacerlo hoy". Era un grupo muy aferrado a sus convicciones. El partido se puso 2-0 con la jugada de René y cuando hicimos un gol, muchos no lo celebraron porque pensaban que iban a lincharle. Pensaron "la prensa lo va a destrozar porque si el partido queda 2-0 no pasa nada, pero con 2-1 le van a culpar de la eliminación". Ese planteamiento demuestra que más allá del resultado estaba la unidad del grupo y su estabilidad emocional y afectiva.
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Tornato in Francia, Valderrama gioca ancora a livelli altissimi.

La stagione ha il suo momento più alto nello scontro con il PSV di Romario e Popescu in Coppa delle Coppe. El Pibe pontifica i suoi dieci tocchi, stoppa, nasconde, dribbla, nasconde e lancia. Nuove forme di controllo del pallone, nuove linee verticali. Porterà il Montepellier fino ai Quarti, fino al Manchester United di Alex Ferguson, poi campione contro il Barcellona di Cruyff grazie ad una doppietta di Mark Hughes. C'è una buona fetta di storia del calcio in quell'edizione di Coppa delle Coppe e Carlos Valderrama insegna a tutti tecnica e visione.

A fine stagione, Maturana lo chiama a Valladolid. Lui lo segue, trovando in Spagna anche Higuita e Leonel de Jesús Álvarez, El Leon. Le premesse sono ottime, ma le difficoltà economiche affossano la stagione: retrocessione e fallimento sfiorati. Cambierà il presidente, la forma societaria, tutto.
Fallisce il Valladolid de los colombianos. Per El Pibe è tempo di tornare a casa. Independiente de Medellin prima (dodicesimo posto deslucido in campionato) e Atlético Junior poi. 


* * *



Si avvicina USA ’94 e la Colombia è impegnata nelle qualificazioni sudamericane. E’ inserita nel Grupo 1, assieme ad Argentina, Paraguay e Perù. Dopo 5 giornate è in testa al girone con tre vittorie e due pareggi. Deve scendere in Argentina e tenere a un punto di distanza la nazionale di Alfio Basile. Per evitare un rischioso spareggio con l’Australia. Per la testa del Grupo. Deve scendere a Buenos Aires e non perdere. L'Argentina aspetta e mostra il petto. Sceglie il Monumental e al gioco colombiano contrappone la storia e due stelle sulla maglia. Prova a sminuire l'avversario e la moda, la simpatia, che lo accompagna.
Lo riempie, il Monumental, fino a farlo scoppiare. Lo fa tremare di bianco e celeste.

E gli uomini di Basile partono forte, sfuriano. La prima mezz'ora è loro ai punti. Ma non a tabellino. Redondo e Simeone gestiscono, Batigol e El Mencho Bello non mettono il punto. Con il passare dei minuti l'Argentina si affievolisce. Per El Pibe è il momento di stropicciare gli occhi al popolo dell'altro Pibe, quello più forte di tutti, seduto in tribuna con addosso la sua albiceleste Le Coq Sportif.
Raccoglie palla a centrocampo, passeggia, ferma il tempo. Sa che un fulmine si è lanciato sulla sua destra. Il passaggio è liscio, non disturba neanche la solita carta bianca portata in campo dal vento. Lo stop a seguire di Rincon un po' lungo, ma tornerà utile. Goycochea esce. Ed è saltato. Colombia avanti al Monumental. In qualche passo e un lancio. E' il minuto 41 e l'Argentina non ha neanche il tempo di reagire.

La ripresa inizia con un lancio di Rincon per Tino Asprilla. El Pulpo controlla e trafigge. E' il minuto 49 e l'Argentina era appena rientrata in campo. Gli uomini di Basile sfuriano nuovamente e per la Colombia è facile piazzare il contropiede. Il terzo gol lo segna di nuovo Rincon su cross di Alvarez. Il quarto è un'invenzione di Asprilla che ruba palla a Borelli e con un pallonetto trafigge ancora Goycochea. Il quinto un contropiede finalizzato da El Tren Valencia, che sfrutta l'occasione per spiegare a tutti il proprio soprannome.
Voce del verbo Colombia. Valderrama, El Pacho e il loro calcio diferente volano in America.

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A moment comes.
You start to remember what happened.
Bad thoughts flood your mind
(Leonel Alvarez, Los dos Escobar, 2010)


Per un mese gli Stati Uniti si fermano, per un mese abbandonano i loro sport più amati e mandano in scena il soccer. La cerimonia di apertura di USA '94 è uno spettacolo degno del miglior Superbowl. Ogni nazione partecipante presenta una sua danza e Diana Ross, in tailleur rosso e sneakers bianche canta l'inno americano e calcia un rigore sfondando la porta. Bill Clinton in tribuna dispensa sorrisi sotto il sole di Chicago. Il calcio sbarca in America. Con il Mondiale più bello di tutti.

La Colombia, quarta nel ranking mondiale FIFA, è tra le favorite, forte del sontuoso percorso nella fase di qualificazione. A contenderle la Coppa le solite note. L'Italia di Roberto Baggio, il Brasile di Romario e Bebeto e l'Argentina di un Maradona che si narra rinato. Le aspettative verso la squadra del Pacho sono enormi, ma tanti sono anche i nomi: Asprilla e Valencia sono stelle in Europa, Rincon viene da un'ottima stagione nel Palmeiras, il blocco dell'Atlético Nacional garantisce la solidità che sempre in un Mondiale fa la differenza. E poi c'è il Pibe.

Qualcosa, però, decide di andare storto.

22 giugno 1994, stadio Rose Bowl di Pasadena. Andrés Escobar è a terra. Le mani a coprire il volto. Il cross teso di John Harkes e il suo ginocchio in scivolata hanno appena scagliato il pallone alle spalle di Oscar Cordoba, lanciando gli Stati Uniti verso gli Ottavi di Finale del Mondiale. La Colombia non mostra il petto dopo la derrota all'esordio con la Romania. Dopo la morte de El Patron, la disgregazione del cartello di Medellín, la violenza padrona della calle. Dopo le minacce di morte a Barrabas Gomez e le lacrime di Maturana negli spogliatoi di Pasadena, il buio per la Colombia si avvicina. Le gambe corrono e attaccano, ma le menti sono gelide. In Latinoamerica lo chiamano fracaso.

Una decina di giorni dopo, Medellín. Andrés Escobar è piantato al sedile della sua automobile. Sei colpi calibro 38 si sono confusi a sfottò e liti nel parcheggio della disco El Indio. Il dito del grilletto è quello di Humberto Castro Munoz, autista dei fratelli Gallon, affiliati ai Los PEPEs, vecchi nemici di Don Pablo. Scommesse, una deviazione, sei colpi. E il buio in Colombia è arrivato per davvero.

L'omicidio di Andrés Escobar ha mille connessioni, anfratti sullo sfondo. Narcotraffico, riciclaggio, gambling, lo malo che incontra el fútbol. La Colombia inizierà a voler aprire gli occhi, ma ci vorra tempo. In strada si dice che se ancora fosse stato vivo Pablo ad Andrés non lo avrebbero anmazzato, Pablo aveva le sue regole. Ai microfoni El Pacho spiegherà che il calcio è una lucha. "Entre lo que es y lo que quiere ser". E che però c'è qualcosa di più importante. El Pibe, semplicemente, si fermerà. Perché anziché nascondere il pallone, costretto sotto scorta a nascondere se stesso dalla vita che ognuno merita di vivere.

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Un passo indietro. 1988, agli Stati Uniti viene assegnata dalla FIFA l’organizzazione dei Mondiali. In cambio, la US Soccer si impegna per la creazione di una lega professionistica di calcio statunitense. Il progetto prende concreta forma nel 1995 con la nomina a commissioner di Doug Logan. Di origini cubane e combattente in Vietnam per la 101esima Airborne Division, Logan imposta una lega in cui squadre e contratti sono gestiti direttamente dalla lega stessa e per la stagione inaugurale - 1996 - sfrutta al meglio il sistema delle allocation: le star vengono sparpagliate tra le varie compagini che prendono parte al campionato, così da garantire spettacolo e competitività.

Tra queste, Carlos Valderrama, che già aveva manifestato l’intenzione di sbarcare negli USA. A Tampa.

La prima annata del colombiano in Florida è semplicemente monstre. I Mutiny dominano la stagione regolare, primi a Est e Overall, arrivano alle finali di Conference e si arrendono solo davanti al poi campione D.C. United di Rammel ed Arce. Valderrama è MVP stagionale e sforna nella stessa stagione 17 assist a condire quattro marcature. Per l'Est è MVP anche dell'All Star Game giocato a East Rutherford: Preki e l'Ovest non ci capiscono niente, la palla gira troppo pulita, troppo precisa e veloce. A 35 anni, El Pibe stropiccia gli occhi anche agli americani. Uno così, a nord del Rio Grande, non si era mai visto.

L’annata successiva e quella dopo ancora il registro non cambia. Giocate, assist, il centrocampo è il suo regno. Disegna, inventa, traccia nuove linee nello spazio sconfinato americano. Sempre a Tampa nel 1997, poi una parentesi a Miami, tra le fila dei Fusion nuovi di zecca e di nuovo a Tampa.

Nel mezzo, la parentesi del Mondiale francese. Di nuovo la Romania - con Ilie - a mettere la Colombia sulla cattiva strada all'esordio. L'illusione dopo la vittoria contro la Tunisia. Infine, il risveglio: una pallonata a giro calciata, come sempre, in maniera perfetta.

A quarant’anni - siamo nel 2002 - El Pibe ancora insegna. Tra le montagne del Colorado, la maglia è quella dei Rapids. Una delle stagioni migliori della franchigia. Con quasi 20 assist in 27 partite Valderrama guida i Rapids fino alle Semifinali di Conference, fino ai Los Angeles Galaxy di Cobi Jones e Luis El Matador Hernandez.

E’ la sua ultima stagione. Toglie gli scarpini e sveste la 10.

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Le collanine e i braccialetti, la maglia sgargiante e i capelli ricci lunghissimi biondi. Il chiamare palla e il nasconderla. Il fracassare e l’esplodere, l’indietreggiare per conquistare. Carlos Valderrama giocava un calcio opposto, differente. Tecnica contro il tempo. Immagine contro lo schema. Spazio contro la linea. Cercare di capire non ci è concesso. Rimane la visione. Il racconto è diventato corto e debole rispetto all’idea. Un dèmone ha attraversato il calcio in lungo e in largo. Lo ha perfezionato di continuo, senza mai cambiarlo. Ce lo ha regalato come si regala una cosa preziosa.

martedì 29 luglio 2014

Guida Galattica allo US Soccer #13


The 1st issue

Fierce as a dog with tongue lapping for action, cunning
as a savage pitted against the wilderness,
Bareheaded,
Shoveling,
Wrecking,
Planning,
Building, breaking, rebuilding,
Under the smoke, dust all over his mouth, laughing with
white teeth,
Under the terrible burden of destiny laughing as a young
man laughs,
Laughing even as an ignorant fighter laughs who has
never lost a battle,
Bragging and laughing that under his wrist is the pulse.
and under his ribs the heart of the people,
Laughing!
 
(C. Sandburg, Chicago)
 
$5. Solamente $5. E' questo l'aumento che nel 1952 Esquire, ancora oggi una delle principali riviste americane, negò ad un giovane copywriter di Chicago. Il ragazzo si chiamava Hugh Hefner e appena un anno dopo il suo addio ad Esquire fondò la rivista per adulti forse di maggior successo di tutti i tempi. L'idea per il lancio fu un colpo di genio misto a fortuna. Acquistò per una manciata di dollari alcuni scatti inediti di Tom Kelley ad una procace ragazza californiana, allora appena conosciuta al grande pubblico. L'intuizione fu quella giusta: il nudo di Marylin Monroe sul lenzuolo rosso portò le vendite della 1st issue di Playboy a quota 50.000 copie. Nell'America ancora in bianco e nero nacque un impero. Dalle Pubic Wars contro Penthouse al logo del coniglio con il papillon. Dalla Playboy Mansion al cinema. Da $5 a un mito lungo diverse generazioni.
 
Il ragazzo di Chicago ha ora la sua stella nella Walk of Fame, una moglie classe '86 (Crystal Harris) e ha già fatto costruire il suo mausoleo affianco alla tomba di quella ragazza californiana che gli valse migliaia di copie vendute, al Westwood Village Memorial Park Cemetery di Los Angeles.
 
* * *

Il Ledge dello Sky Deck

Chicago è la città del Millennium Park e del Chicago Theatre, di John Belushi, Saul Bellow e Alphonse Gabriel Capone, che nel 1921 vi si trasferì da New York per curare gli interessi di Johnny Torrio, al tempo a capo della Five Points Gang.

Fondata da un haitiano che decise di sposare una nativa americana locale, Chicago è da sempre motore dell'economia del Paese, prima grazie alla lavorazione delle pellicce e dei cereali, poi, visto il boom delle ferrovie, grazie alla produzione dell'acciaio. L'attuale fisionomia è il frutto degli sviluppi architettonici di fine Ottocento (post-Grande Incendio di Chicago), degli anni Venti e Settanta.
L'immagine forse più compiuta del fascino della Windy City (così chiamata non per il vento ma per le arie che i suoi abitanti sono soliti darsi) è quella offerta dai Ledge dello Sky Deck della Willis Tower: box trasparenti appesi nel vuoto a 443 metri di altezza, ma per chi soffre di vertigini, altre meravigliose immagini di Chicago si possono trovare sul sito della Chicago History Museum Collection.

Chicago è la città di Air e dei Bulls, di Frank The Big Hurt Thomas e dei White Sox, di Ernie Banks, Mr. Sunshine per gli amici, e dei Cubs, di Walter Sweatness Payton e dei Bears. Ma anche dei Chicago Fire, una delle più titolate squadre di calcio della Major League Soccer.
 
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#flares
Il calcio a Chicago assume la sua forma definitiva l'8 ottobre del 1997, esattamente 126 anni dopo il Grande Incendio. Il nome scelto per la nuova squadra, che raccoglie l'eredità degli Sting degli anni Ottanta, è fuoco e lo stemma ricalca quello dei pompieri. Per attirare l'attenzione delle varie comunità cittadine vengono ingaggiati diversi giocatori stranieri, tra cui il capitano della Nazionale polacca Peter Nowak, Lubos Kubik e Jorge Campos. E nel 1998, sotto la guida di Bob Bradley, padre di Michael Bradley, è già titolo e US Open Cup. Il campionato del '98 rimarrà l'ultimo vinto dai Fire, ma di coppe nazionali ne arriveranno altre tre (2000, 2003 e 2006).

I Men in Red giocano le partite casalinghe al Toyota Park, ma per lungo tempo hanno avuto come casa il meraviglioso Soldier Field del centro città (che - ricorderete - ospitò la cerimonia di apertura di USA '94). La mascot è un dalmata e si chiama Sparky.

Hanno giocato a Chicago anche Paulo Wanchope, Hristo Stoichkov, Cuauhtémoc Blanco, Eric Wynalda e Freddie Ljungberg.
Le attuali stelle della squadra sono Harru Shipp, Quincy Amarikwa e Mike Magee.
Nonostante i recenti buoni risultati, tra cui la bella vittoria in New England, i ragazzi di coach Yallop sono chiamati a risalire in classifica a Est.

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Pequod's Pizza

Sappiamo tutti cosa cercare a Chicago, qual'è la vera ragione di una visita a Chicago. La Deep Dish Pizza, "the summer blockbuster of the pizza world" secondo il blog Serious Eat.
Un bordo alto, non troppo spesso e molto friabile. Sopra gli ingredienti messi al contrario rispetto ad una pizza normale, prima una valanga di mozzarella e dopo ancor più tomato sauce. L'aspetto è quello di una gigantesca torta e viene servita in una teglia.
Quale sia la migliore Deep Dish Pizza della città nessuno lo sa, la questione è oggetto di ampio dibattito tra i chicagoans.
Alcuni ristoranti, per andare sul sicuro: Lou Malnati's Pizzeria, Gino's Eat, Pequod's Pizza, Giordano's e Uno. Adam Richman per Man vs Food Stagione 1 ha scelto Gino's Eat, la Supreme di Gino's Eat, mozzarella, manzo, salsiccia, salame piccante e salsa di pomodoro.
Bello anche il sandwich del Wrigley Field che si vede ad inizio video. Fresco.

martedì 13 maggio 2014

Guida galattica allo US Soccer #12


Ken Griffey Jr., The Kid
Tra le tante cose che ricordo di Seattle, una su tutte: la gigantografia di Ken Griffey Jr. su uno dei grattacieli del centro. A quei tempi - era un'estate di metà anni Novanta - Ken Griffey Jr. era un semi-Dio del baseball. Splendido esterno, 13 volte All-Star e, soprattutto, tremendo fuoricampista (due volte nel 50 Home Run Club, il club riservato a chi batte oltre 50 fuoricampo nell’arco di una stagione). Le sue Nike, con su il numero 24, erano perfette. Per un ragazzino come me, tra i pochi a giocare a baseball e non a calcio o basket, Ken Griffey Jr. era un mito, o forse qualcosa di più.

Scelgo Ken Griffey Jr. perchè solo qualche tempo dopo avrei scoperto i Nirvana e Nevermind e In Utero e il baseball, complice qualche infortunio, sarebbe passato in secondo piano; successivamente, avrei avuto anche occasione di apprezzare il fascino di Courtney Love e di Celebrity Skin, ma a quel punto ogni cosa era già passata in secondo piano.

Jimi Hendrix

Seattle è la principale città del Puget Sound, una vasta baia sulla quale si affacciano, tra le altre, anche Tacoma, Bellevue ed Everett. Famosa per lo Space Needle, il Pike Place Market e le escursioni in barca, Seattle è un'ottima base per le visite ai vicini Olympic National Park e Mt. Rainer National Park.
Più complicato visitare la casa dove è cresciuto Jimi Hendrix. Originariamente, questa si trovava nel Central District, all'altezza di St. Jackson Street. Diventata un rifugio per tossicodipendenti e senzatetto è poi stata spostata a Renton, di fronte al cimitero dove Jimi è sepolto. Infine, da quanto riportano i giornali, demolita.
E' nato a Seattle il movimento no-Global (1999) e sono di Seattle e dintorni la Boeing e Starbucks (peraltro, ho scoperto che Seattle è famosa non solo per il grunge e l'Erotic Art Festival ma anche per lo spropositato consumo di caffè).

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Freddie Ljungberg

Poco a sud di Dowtown Seattle, al CenturyLink Field, gioca il Seattle Sounders FC, la squadra di calcio locale che partecipa alla Major League Soccer. I Rave Green indossano maglie verdi e blu e nella loro storia hanno vinto tre volte la US Open Cup. Non sono mai riusciti a vincere tuttavia il campionato.

Tra le file dei Sounders hanno militato e militano anche Fredrik Ljungberg e Obafemi Martins. Gioca nei Sounders Clint Dempsey, dopo il prestito al Fulham. Ahimè, il sito ufficiale della squadra fornisce il dettaglio dei diversi gruppi del tifo organizzato, tra questi gli Emerald City Supporters ed i Gorilla, e una lista dei pub affiliati, ma - gravissimo - non una pagina ufficiale delle cheerleaders della squadra.

Nella stagione in corso, i Rave Green si stanno comportando molto bene. Sono primi nella Western Conference nonostante la batosta subita lo scorso weekend in casa dei New England Revolution (no comment riguardo al gol che si mangia Oba Oba in avvio; no comment sulla necessità per i Sounders di comprare un portiere, magari non un fenomeno, diciamo uno non soggetto a continui svenimenti).

Sono tre i Sounders nella pre-lista di Klinsmann per Brasile 2014: oltre a Dempsey, DeAndre Yedlin e la star Brad Evans.
 
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La Battaglia Finale

Se mai tornassi a Seattle, prima cosa andrei al Lunchbox Laboratory per un Big Blue Marble accompagnato da un vodka infused cocktail. Poi farei un salto al Li'l Woody's, perchè adoro le tovagliette a quadri bianchi e rossi. Anche l'open space dell'8 Oz Burger promette bene, molto chic.
Infine, perchè non assaggiare le patatine fritte all'aglio del Safeco Field (lo stadio dei Mariners), le Olympia Oysters e i Dutch Babies.