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mercoledì 8 maggio 2013

Il sangue dei vinti (l'Ascoli, la Sambenedettese e tutto il resto)


Tipo decidere di mettere sul comodino la foto della ragazza che ti ha spezzato il cuore, così, ogni mattina, ti svegli e ricordi immediatamente un motivo validissimo per odiare l'esistenza. Ché Emil Cioran era un dilettante e certi modi di farsi del male proprio non gli erano venuti in mente.


Ascoli-Sambenedettese, qualche secolo fa in serie B


Succede che tifi l'Ascoli, che dopo aver vinto a Bari in un gennaio di fuoco e fiamme vai a La Spezia, chiudi il primo tempo sul 3-0 e poi perdi 4-3. Da lì non ti riprendi più e dai sogni di playoff ti svegli a maggio sperando di riuscire a giocarti almeno i playout. Prima di un Ascoli-Verona ad aprile, il barista si era mostrato ottimista: «La lepre sta dove meno te lo aspetti». Quindi vai allo stadio pensando di rinascere contro gli scaligeri. Dopo quaranta minuti loro sono sopra di cinque gol e smettono di giocare per umanissimo sentimento di pietà. Che fai? Ridi, guardi Scalise sulla fascia, o Loviso in mezzo al campo, o l'evanescente Soncin davanti e ridi, come davanti alle barzellette 'a denti stretti' della Settimana Enigmistica, come per le battute sul Cucciolone o sulle bustine di zucchero. Dimostrazioni della totale mancanza di senso della vita umana, paradossi che si inseriscono tra la morte di Dio e, boh, qualcosa di infimo livello, tipo una puntata di Maria De Filippi con ospite Fabio Fazio che magnifica le sorti di Saviano mentre con una mano accarezza un busto di Matteo Renzi. Ecco, una cosa così.

Allora succede che il giorno dopo aver visto l'airone Caracciolo impallinarti per bene, regalandoti l'ottava sconfitta in dieci partite - o la nona in undici. Ho perso il conto -, il tuo beneamato giornale ti spedisce a San Benedetto del Tronto, ché la squadra locale sta per vincere il campionato di serie D. Tu sbianchi, la sera prima ti sbronzi, poi ti svegli inforchi gli occhiali più scuri a disposizione e ti immergi in una melma di bandiere rossoblù. Il maxischermo in centro è sintonizzato su RaiScuola, la rete della tv pubblica che trasmetterà le immagini imperdibili di Recanatese-Samb ai tanti che sono rimasti senza biglietto. RaiScuola, Recanatese, Samb. Ti viene da vomitare, senti ancora quell'inconfondibile sapore di gin tonic che si piazza alla base della gola e non va né su né giù. Segna la Samb, la piazza esulta, tu rimani impassibile. Accenni un sorriso a qualche collega giornalista, ostenti disinteresse. Pareggia la Recanatese, non esulti ma ghigni, ammiri la piazza improvvisamente silenziosa, ti compiaci mentre pensi a scene di funerali, campane a morto e cieli grigi sul mare. Al 98' - novantottesimo - l'abitro fischia un rigore alla Samb. «E vaffanculo», dici, ma la tua voce si confonde con l'estasi dei tifosi. Fissi lo schermo e implori a distanza il portiere della Recanatese - tal Paniccià - di fare il miracolo. Paniccià ovviamente sviene mentre il pallone si infila sotto la traversa. Rete, Samb campione. Roba da invidiare il 5 maggio di Napoleone e Cuper. Stai lì e guardi 'sti pesciari che festeggiano, si agitano, cantano, ballano, esultano. Mentre tu cerchi di sprofondare in silenzio, raggiungere le agognate fiamme dell'inferno prima che i caroselli invadano il lungomare.

Scrivi faticosamente settanta righe di celebrazione della magniloquenza della piazza rossoblù con il sangue che ti ribolle nelle vene. Ritorni a casa, ad Ascoli, con la sensazione di avere impresso in fronte il marchio dell'infamia. 
Non dormi, litighi un po' con la tua ragazza, fai strani sogni di derby che vanno in malora, universi paralleli popolati di mostri che manco Rob Zombie nelle notti di luna piena.


Centravanti di governo

Ti svegli con un curioso sorriso. Poi realizzi: la Juve ha vinto lo scudetto, l'Ascoli sta per retrocedere, la Samb viene promossa, la Dc è al governo. Alla fine scopri che è morto Andreotti e ti chiedi un'altra volta se valesse veramente la pena far fare quella fine ad Aldo Moro per ritrovarci in mano questo compromesso storico neanche tanto nascosto. Insomma, se valesse veramente la pena soffrire tutto un campionato per poi andare a vedere la festa della Samb. 

martedì 25 settembre 2012

“Dai che ci salviamo anche quest'anno”. Una vita sotto zero.

Da queste parti ci siamo abituati. Sono anni, ormai, che non cominciamo il campionato con zero punti come la maggior parte dei diligenti partecipanti alla serie B. Anzi, quest'estate abbiamo anche esultato quando ci hanno comunicato che saremmo partiti soltanto da -1.
I più entusiasti - quelli che vanno in tribuna coperta per mangiare al buffet dell'intervallo o in curva per cantare con le spalle al campo -, al bar già sognavano in grande: “E allora puntiamo ai play off”. “Praticamente siamo già in serie A”, "Non ci ferma nessuno", e via delirando.
Facili entusiasmi.
Insomma, quando vivi una vita di miserie e ingiustizie, la volta che te la cavi con un ceffone solo pensi di essere a un passo dalla svolta. Meno male che al bar c'è chi le cose se le ricorda, chi frequenta i distinti e guarda la partita, chi tira avanti vergognandosi del fatto di rimpiangere attaccanti del calibro di Marco Bernacci. Sì, Marco Bernacci. “Vuol dire - dissero i cinici guardando il fondo del bicchiere di Campari vuoto - che quest'anno possiamo perdere due partite in più del solito”.

E' dura l'esistenza del tifoso dell'Ascoli. “La regina delle Marche”, titolo nobiliare che sa di muffa più che di aristocrazia. Noi sì, noi siamo quelli che mandarono via Bierhoff perché era grasso. E il buon Oliver vinse gli Europei facendone due in finale alla Repubblica Ceca, poi fece più gol di Ronaldo in campionato, poi andò al Milan e vinse lo scudetto. Quello lì, il ciccione tedesco.
Noi che una volta l'anno ci mettiamo i calzini rossi per ricordare il più grande filosofo analfabeta (è un complimento, davvero) che la Storia ricordi, Costantino Rozzi. Noi che ogni anno ci dobbiamo inventare una squadra, che il nostro capitano si chiama Di Donato e in campo non lo riconosce mai nessuno. Noi che abbiamo dato i natali calcistici a Mazzone, e lo evochiamo in panchina ogni volta che perdiamo tre partite di seguito (e non succede così di rado). Anche oggi che Carletto si approssima agli Ottanta.

Carlo Mazzone in un momento di assoluta serietà

Noi che siamo un po' scemi, un po' sfigati e un po' fortunati della fortuna che bacia a volte solo gli sfigati più sfigati. Era il 28 agosto del 2005 quando l'Ascoli - appena ripescato in serie A per una clamorosa serie di coincidenze - si apprestava a ospitare il Milan di Ancelotti, quello con Kakà, Shevchenko, Seedorf e via discorrendo. La squadra era stata assemblata in un quarto d'ora, visto che fino a due settimane prima di questa partita eravamo in serie B. Così, un Foggia di qua, un Ferrante in saldo, uno Bjelanovic preso in prestito, un tale chiamato Quagliarella, un vecchio marpione come Adani, qualche giovane di incerte speranze. Il massacro era annunciato. “Se non ce ne fanno più di tre, è un successo”, dicevano al bar quelli che ne hanno viste tante e quell'anno rimpiangevano Colacone e Bucchi.

Andò che il cielo butto giù un diluvio universale e il Milan s'impantanò. Anzi, all'inizio del secondo tempo a buttarla dentro fu Mirko Cudini, uno che in serie B faceva la panchina. Dio benedica la pioggia, la marcatura strettissima di Lauro (chi?) su Kakà e Nelson Dida, che tanta gente ha reso felice durante la sua carriera.
Poi, vabè, Shevchenko pareggiò con un tiraccio da fuori, ma quell'uno a uno ebbe lo stesso effetto di un'apparizione della Madonna. L'armata Brancaleone che ferma l'aviazione americana. Per non citare il solito Davide che stende Golia. Qualcosa del genere, comunque.
Quell'anno lì, poi, andò tutto bene: ci salvammo con largo anticipo e giochicchiavamo un discreto calcio. E' per questo che ad Ascoli il nome di Marco Giampaolo fa ancora scaldare i cuori.

E il Milan s'impantanò ad Ascoli..

L'anno dopo, ovviamente, tornammo nell'inferno da cui provenivamo, senza nemmeno lottare troppo. Tesser prima e Sonetti dopo non riuscirono a salvare una squadra la cui difesa si reggeva su Nastase e Pecorari. Da lì, cominciò il nostro valzer: meno cinque, meno sei, meno sette, meno due... Si parte sempre in apnea, si arriva a novembre in fondo alla classifica - staccatissimi da tutto e da tutti, in coma profondo, senza possibilità di risveglio -, poi si cambia allenatore, si continua a perdere per un po' e alla fine si attacca a vincere. I biscotti di maggio fanno il resto: è salvezza. Passano tre mesi d'estate e si ricomincia, penalizzazione, novembre da schifo, cambio di allenatore, rimontona, biscotti, salvi.

Ecco perché quando la settimana scorsa ne ho presi tre dalla Pro Vercelli non mi sono preoccupato più di tanto. Siamo sempre allo stesso punto, corriamo sul posto e vediamo il mondo passare. Il nostro campionato è sempre uguale. Non vi preoccupate, ci salveremo anche stavolta. E se il Milan continua così, lo rivediamo l'anno prossimo.