Nell'ottica dell'amicizia e della collaborazione con le edizioni inCONTROPIEDE siamo felici di pubblicare alcuni estratti di "Arrigo. La storia, l'idea, il consenso, la fiamma", l'ultimo volume pubblicato dai tipi di Alberto Facchinetti, vale a dire un bizzarro, ispirato, originalissimo libro di Jvan Sica - al crocevia tra la biografia, il romanzo e la sceneggiatura - dedicato al più amato degli allenatori italiani della nostra infanzia, e non solo dai tifosi milanisti: Arrigo Sacchi. La penna di Jvan Sica, non nuova a queste imprese, ha seguito cammini nascosti anche ai protagonisti di questo libro per ricostruire a modo suo - ma sempre con umilté - l'immaginario personale e collettivo dell'allenatore di Fusignano, sullo sfondo di un'Italia che ormai, probabilmente, non esiste più. Come quel calcio, d'altronde.
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21 ottobre 1987
In albergo dopo la partita di Coppa Uefa
Milan-Espanyol 0-2
Lecce (Italia)
“Cos’è successo Arrigo?”.
“Non mi seguono, non mi
vogliono”.
“Ma chi?”.
“Tutti, nessuno escluso.
Nessuno vuole essere il calciatore di Sacchi”.
“Ma c’è qualcuno che te
l’ha detto in faccia, qualcuno che rema contro?”.
“Non è un problema di
remare contro. Sento che stanno iniziando ad odiare il mio essere in primo
piano rispetto a loro”.
“I calciatori li
conosci…”.
“Sì, li conosco, loro
pensano che basti l’esperienza. Sono come quei vecchi falegnami che ormai
pensano di non dover imparare più niente. Sono delle merde, guarda”.
“Dai Arrigo calmati, lo
sai che ti stimano”.
“Non più ormai, non più.
Lo sai cosa mi ha detto uno l’altro giorno: ‘Mister, qua ci facciamo il culo e
sembra che in campo ci vai tu, non è mica giusto’”.
“La società?”.
“Una parte è con me”.
“E l’altra?”.
“L’altra sta già aizzando
i tifosi. Vogliono Trapattoni, pensa un po’”.
“Davvero?”.
“Sì”.
“E Berlusconi?”.
“Berlusconi è incasinato.
L’ho sentito due ore fa, mi ha parlato dell’importanza di mostrare sempre una
faccia sorridente. Vincere le guerre, a noi le battaglie non interessano”.
“Ha ragione”.
“Ha ragione ma io non
vado da nessuna parte se non prende posizione nei confronti della squadra”.
“E diglielo chiaro e
tondo”.
“Non è facile, non si
vuole esporre”.
“Perché?”.
“Perché cazziare uno dei
vecchi in pubblico vuol dire mettersi contro una parte dei tifosi e a lui serve
il consenso pieno, vuole che tutti lo adorino, lo sai com’è fatto, no?”.
“Ma perché oggi avete
giocato così male?”.
“Non lo so, non riesco a
capire. Siamo in forma, in allenamento siamo perfetti. Oggi in partita invece
continuavo a chiamare Tassotti, Donadoni, tutti quanti ai loro compiti ma loro
se ne fregavano, tutti facevano il cazzo che volevano in campo”.
“Gli olandesi?”.
“Ah quelli poi. Gullit
pensa col cazzo, è troppo istintivo. Van Basten mi sta sui coglioni, con
quell’aria da Cristo sceso in terra. Quando gli faccio vedere i tagli ad uscire
in allenamento mi ride in faccia, come per dire: ‘E io, Marco Van Basten, mi
metto a fare ste stronzate’”.
“Mi hanno detto che è
mezzo infortunato”.
“È tutto infortunato. Ha
caviglia e ginocchio fuori uso, ma deve giocare per forza. Lo abbiamo esaltato
come il nostro Maradona e adesso, che faccio, lo metto in panchina? Ma è rotto,
gli dico. E tu fallo giocare rotto. Io che punto tutto sull’efficienza fisica
devo far giocare un giocatore rotto”.
“Senti Arrigo, tu al
Milan non sei andato a campare di rendita. Tu stai là per un motivo ben preciso”.
“Una missione”.
“Ecco, una missione,
bravo. Tu non puoi far decidere agli altri il tuo destino. Se Van Basten è
rotto e decidi di metterlo fuori, deve stare fuori. Se Tassotti non ti ascolta,
lo sostituisci con uno della Primavera. Se Gullit è fuori forma, lo sbatti
fuori”.
“Sono in forma, non mi
ascoltano”.
“Appunto, chi non ti
ascolta si accomoda alla porta”.
“Non è facile”.
“Devi decidere tu, sei tu
a comandare”.
“Siamo in tanti a
comandare”.
“Così finisce tutto
Arrigo, se non comandi tu finisce tutto. Parlane con Berlusconi, lui ti segue”.
“Ok, ma non è facile”.
“Fallo”.
“Adesso vedo”.
“Fallo”.
4 gennaio 1988
Incontro con Silvio Berlusconi
Arcore (Italia)
La stanza è angusta, ma
l’amaranto alle pareti dà una piacevole tranquillità. Le librerie tutte intorno
sono zeppe di libri, oggetti, fotografie, fogli. Non c’è uno spazio libero,
tutto è ricolmo fino all’eccesso. La scrivania invece è vuota: un recipiente
dorato contiene tre penne, un portadocumenti in pelle. Il Presidente accoglie
Arrigo Sacchi con un gran sorriso.
Di fronte alla scrivania,
affianco alla porta d’ingresso, la televisione è sintonizzata su una delle reti
del Presidente. In quel momento c’è un break pubblicitario.
“Dove va il piccolo
mugnaio bianco?
Clementinaaaaaaaaa”.
Il Presidente accoglie
Arrigo Sacchi con il suo solito buonumore. Si complimenta per la partita di
ieri. L’aggettivo che ama usare è quello con cui ha descritto la partita del
suo Milan ai giornalisti: straripante.
“Il merito”, dice il
Presidente, “è anche suo, Signor Sacchi, bravo nel far giocare alla squadra un
calcio spettacolare e redditizio insieme”.
“Ragazzi sono arrivati i
nuovi Mostruovi
I Mostruovi son tremendi,
una vera novità…”.
Arrigo Sacchi si distrae,
la tv è a volume alto. Il Presidente la indica e dice che è stato lui la
fortuna di quella marca. Senza la sua capacità visionaria di dare spazio nelle
sue tv a marchi anche piccoli oggi molte di queste aziende non esisterebbero e
non ci sarebbero tanti occupati nelle fabbriche che producono i giocattoli, i
mobili, le pentole.
“Ehi Paolo.
Buongiorno Signor
Parroco.
Non hai ancora aperto il
bar? Senza il tuo espresso chi mi dà la forza per suonare le campane?”.
Il Presidente guarda
incantato. Ha aperto soltanto la porta, la gente non aspettava altro. Colori,
musica, persone che finalmente ti sorridono e ti dicono quanto è bello il
mondo, quanta è bella la vita. Alcune volte quello che fa gli sembra una
missione per far stare meglio tutti. Un po’ quello che vuole fare anche con il
suo Milan, una squadra che incanti e per cui tutti prima o poi facciano il
tifo. Una squadra da guardare ed ammirare. Il Presidente sarà contento quando
gli avversari uscendo dal campo diranno ai giornalisti: “È stato meraviglioso
guardare questa squadra dal vivo”.
“Zigulì è una pallina che
mi fa sentire più carina
Zigulì è una pallina che
la fa sentire più carina”.
Il Presidente parla del
futuro. Il domani non è dei vecchi bacucchi della politica, del giornalismo,
del calcio, se vogliamo restare al mondo di Arrigo Sacchi. Il futuro è delle
persone che vogliono dire cose nuove. Il Presidente risottolinea la parola
“dire”, perché oggi se non riesci a comunicare alla maggior parte delle persone
puoi inventarti tutto quello che vuoi, ma resti comunque un signor nessuno.
“Novità?
C’è un bel regalo, mamma.
Un altro forno, ma se c’è
l’ho già?
Ma non lo usi mai…”.
E Sacchi lui lo ha notato
e voluto proprio per la sua capacità di parlare del calcio in maniera nuova,
lontana dalle piccole beghe di cui ogni giorno i quotidiani sportivi si occupano.
Il Presidente ha bisogno di guardare dall’alto accompagnato da persone che
insieme a lui si spingono un passo più in là.
Il Presidente dice che
non è un fatto di supremazia, voglia di essere il numero 1, qui si parla di
valori, di una nuova società, di una nuova Italia, finalmente. L’italiano
nascosto dietro le tonache della mamma o del parroco deve scomparire, lui vuole
un nuovo italiano che guarda in faccia l’America e le dice quello che non va.
“Oh fermamose n’attimo,
io gnela faccio più.
Dai, non fare lo stupido,
domani c’è la gara
Ma che gara e gara, so’
cinquanta chilometri che stiamo camminando…”.
Il Presidente è certo,
lui ci riuscirà. Con uomini come Arrigo Sacchi che ci credono, perché la fede è
la forza che ti fa andare avanti nelle difficoltà.
Il Presidente lo congeda
mentre il canale ricomincia il flusso normale delle trasmissioni. Il sorriso del Presidente è sincero, largo, contagioso.
Arrigo Sacchi non ha più
voglia di pensare o solo di fermarsi un attimo per riflettere. Ha solo un
desiderio: ricominciare a fare il prima possibile.
27 novembre 1988
Negli spogliatoi dopo la partita Napoli-Milan 4-1
Napoli (Italia)
“Ci hai fatto impazzire
oggi”.
“Ero in forma, è andato
tutto bene”.
“Questa volta è toccata a
voi”.
“Fortuna, Mister”.
“No, Diego la fortuna non
esiste. Tu sei il migliore”.
“Grazie Mister, tu sei
sempre gentile con me”.
“Te lo meriti”.
“Anche tu sei il
migliore”.
“Con te succede una cosa
che non succede con nessun altro calciatore. Non riesco a tagliarti fuori dal
gioco, ho provato diverse soluzioni in questi due anni ma quasi mai sono
riuscito a non farti giocare”.
“Giocare è la mia vita,
se mi togli il pallone Mister mi fai diventare triste”.
Sorridono.
“Peccato che non potremo
mai incontrarci”.
“Perché?”.
“Perché non potrei mai
allenarti”.
“Non sono così cattivo
come dicono”.
“No, anzi, tu sei il
giocatore perfetto, ma io e te non andremmo d’accordo”.
“A me piace come giocano
le tue squadre, sai attaccare, non giochi come facciamo noi. Hai visto anche
tu, difendiamo sempre in tanti e quando attacchiamo tutti aspettano me. Quando
vedo il Milan giocare mi piace”.
“Grazie Diego ma tu non
puoi giocare nelle mie squadre, intendiamo il calcio con la stessa intensità ma
da due prospettive totalmente diverse. Quando scendi in campo tu sei il calcio,
per novanta minuti non esistono avversari, compagni, arbitri, pubblico, per te
esiste solo il pallone e quello che tu con il pallone puoi fare. La partita
diventa una tua invenzione, una tua creazione”.
“Mi piacerebbe fare parte
di una tua squadra, capire come alleni tutti questi campioni”.
“Sai come faccio? Gullit
sa che è importante quanto Colombo e Maldini sa che senza Massaro non potrebbe
giocare come fa. Come farei a farlo con te? Come farei a convincerti che sei
uguale agli altri?”.
“Sono un uomo curioso,
potrei seguire quello che dici”.
“No Diego, sarebbe una
bestemmia per te e un disastro per me. Vincere con te non ha senso, tutto
sfuma, l’allenatore non ha alcun valore quando giochi. La partita è di Maradona
e di nessun’altro, io non ci riuscirei a stare in silenzio”.
“Saremo sempre
avversari?”.
“Sempre Diego, i migliori
non possono stare insieme”.