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lunedì 10 febbraio 2014

Una giornata Atletica

L'unica tribuna coperta del Calderòn, con lo spiffero in fondo
Confesso che alla quinta razione di carciofi fritti che mi viene servita in questo rustico ma pretenzioso ristorante di campagna (di campagna, poi, così me l'ha venduto Julio, la verità è che è un casolare sul ciglio di una strada a scorrimento veloce, non dissimile dal Casalone sulla Flaminia, quel ristorante pacchiano dove organizzammo la festa di classe prima della Maturità, ma non sapendo come fare inversione sulla SS3 fummo costretti a farla nella rotonda davanti all'ingresso del cimitero di Prima Porta, manovra che a qualcuno portò male) inizio a pensare che non riuscirò mai ad arrivare in tempo allo stadio per assistere al cosiddetto big match di giornata, quell'Atletico Madrid - Barcellona a cui sono stato gentilmente invitato da un amico colchonero. Sono, infatti, le quattro appena passate e l'appuntamento fuori dalla metro di Marquès de Vadillo ce l'ho alle sei e mezza; ho, dunque, a disposizione poco più di due ore per: finire i generosi antipasti già apprezzati - come da fotografia incorniciata che allego - anche dal presidente mundial Pertini, ospite, nella circostanza, del rey Juan Carlos (approfitto per dire che sono un juancarlista della prima ora); gustare un cordero asado dalle dimensioni considerevoli; tracannare svariati bicchieri di patxaràn mentre i miei commensali mangiano i dolci (invece io i dolci spagnoli li detesto) e parlano di matrimoni; arrivare alla macchina (circa 50 metri nel parcheggio); digerire; prendere la metro (linea verde a Diego de Leòn) e fare una dozzina di fermate. Il problema è che sono sveglio da appena due ore, ore che ho impiegato per comprare i giornali sportivi e fare una passeggiata fino alla piazza di Chamberì, dove, facendo colazione con una tortilla, ho scoperto che Messi sarebbe partito dalla panchina (e forse pure Neymar); ore che, soprattutto, ho impiegato per smaltire la sbronza della notte prima, ma quella è un'altra storia. Per fortuna a un certo punto il pranzo finisce e, nonostante un carsico senso di nausea che mi accompagna nel tragitto in automobile, alle sei in punto mi ritrovo bello satollo in un vagone della metro che si dirige verso sud. A farmi capire che la linea è quella giusta ci pensa la marea umana che mi avvolge: hanno tutti le sciarpe, le magliette o i cappelli biancorossi e la loro bellezza cromatica e il loro entusiasmo sincero sono tali che mi sento di perdonarli per l'aria respirabile di cui mi stanno privando.

"¿Por qué no te callas?"
Alla bocca della metro mi attende il mio amico Javier, avvocato e cantante (segnalo il suo grande successo Gabana, fantastico inno alla nostalgia degli anni aznariani in cui il giovedì si faceva l'alba nella discoteca di Calle Velàzquez). Ha portato con sè i suoi due figli piccoli, due frangettoni molto timidi, circostanza che mi fa venire in mente quelle belle cose sulla "fede dei nostri padri" che una volta scrisse proprio qui il nostro amico Emilio. A proposito di famiglia, so che è una metafora misera ma quella dei tifosi dell'Atletico mi sembra davvero una grande famiglia, perchè ad accomunarli vi è un senso di identità, di appartenenza, di somiglianze che i club multinazionali rivali, come il Real Madrid e il Barcellona, hanno perso; quando penso a un tifoso dell'Atletico, penso a un tassista con i baffi e i sedili di pelle impregnati di tabacco; quando penso a un tifoso del Real, invece, mi viene in mente un giapponese in vacanza. Siccome vuole infierire sul mio apparato digerente Javier mi porta a bere tre o quattro birre in un bar con un bel mattonellato caratteristico proprio accanto alla metro, e ogni birra è accompagnata da tapas giganti, e per non fare brutta figura visto che mi invita (mi inviterà tutta la sera) io mangio e bevo fino a scoppiare, ma ogni tanto mi tornano su i carciofi fritti (mi torneranno su tutta la sera). Facciamo amicizia con le persone intorno a noi, chiedo come vedono la partita, sono tutti preoccupati, danno per certa la sconfitta dell'Atletico, e in questa scaramanzia rivedo molto la mia, la nostra, la nostra dei romanisti dico; un tizio col volto rosso, paonazzo, si lamenta delle dichiarazioni in conferenza stampa di Simeone - che in generale adora, anzi lo adorano tutti - che ha detto che quelli del Barcellona sono più forti, c'è poco da fare, il tizio si lamenta perchè dice che così demotiva la squadra, allora gli domando "ma tu non pensi che quelli del Barcellona siano più forti?" e lui risponde "certo che sono più forti" e insomma anche in questa confusione mentale pre-partita mi rivedo molto. Poi mi informo su Oliver Torres, il nostro pupillo Oliver Torres (ce ne parlò un amico spagnolo quest'estate durante una vongolata a Maccarese), perchè non gioca mai, perchè lo volete dare in prestito (effettivamente, ora è al Villareal), e la risposta è perchè in quel ruolo ora c'è Tiago, il portoghese Tiago, quello della Juventus, che lo chiude, meglio che si faccia le ossa da un'altra parte, e allora penso annamo bene, se questo si fa chiudere da Tiago al massimo stiamo parlando di un'eterna promessa alla Baronio. Comunque, sono ormai le sette passate e decidiamo di uscire dal bar e ci mettiamo in marcia verso lo stadio, una marcia lunghissima, che durerà quasi mezz'ora li mortacci loro.

"Scusa, sai dove cazzo si entra?"
Sciamiamo verso il Calderòn, la strada è un fiume in piena parallelo al fiume vero, il Manzanares rimesso a nuovo dal Comune, quel Manzanares che avevo lasciato orribile, arido, abbandonato, e ora invece è una promenade elegante, curata, intervallata addirittura da sidrerie dove servono dell'ottimo pollo (è una delle due opzioni per la cena, mi dice Javier). Avviso ai tifosi del Milan (per i quali fondamentalmente sto scrivendo tutto questo): il Calderòn è uno stadio senza senso. Innanzitutto, è costruito in un'ansa stretta tra il fiume e una circonvallazione (dettaglio magico: dalla tribuna si intravedono le macchine sfrecciare, sembra di stare all'Autogrill), quindi con un accesso complicato, a imbuto; praticamente, per metà è costeggiato da un tunnel, quindi mancano i punti di riferimento, si cammina a caso per questo tunnel finchè, se si è fortunati, e dopo aver chiesto informazioni a chiunque, si trova l'entrata, che però non è mai quella giusta, servono almeno tre tentativi, gli abbonati ormai ci sono abituati; insomma consiglio - in vista della sfida di Champions - di arrivare con un certo anticipo. Poi ricordavo bene: è uno stadio davvero brutto. Dentro e fuori. Vecchio, cadente, pieno di piloni di cemento. Entriamo con Javier e i suoi figli e ci sediamo ai nostri posti in tribuna coperta, su sedioline di plastica rossa. Non fa troppo freddo e subito penso che esagerati i miei amici che a pranzo mi hanno detto che mi sarei congelato, tanto da consigliarmi di indossare, nell'ordine: maglietta della salute, calzamaglie (portate apposta da Roma), doppio golf, guanti, sciarpa, cappello. Bullandomi del mio tepore osservo il campo, dove c'è il riscaldamento delle due squadre. Mentre Javier va a prendere due birre e due coca-cole, nonchè svariati pacchi di pipas, ho il mio momento proustiano: eccomi su quella stessa tribuna quindici anni prima, con più capelli e un vestiario più pariolo, per assistere alla partita di coppa Uefa tra Roma e Atletico Madrid, una sciagurata sconfitta (ma mai sciagurata quanto la partita di ritorno, per fortuna credo che l'arbitro Van Der Ende sia morto) a causa delle amnesie difensive della squadra zemaniana che, in quell'occasione, venne purgata anche da un gol di testa di un all'epoca sconosciuto Josè Mari, sconfitta resa meno amara solo da un bolide su punizione di Di Biagio (unico tiro in porta della Roma) e dalla grossa cena di paella, una vera turistata, che poi seguì. Javier torna con le bevande e mi ridesta dal mondo dei ricordi chiedendomi cosa penso del Principito Sosa, quello del Napoli, che l'Atletico ha appena acquistato. Per una volta non riesco a mentirgli e gli auguro di vederlo giocare il meno possibile.
APLASTA ATLETI
Le squadre entrano in campo alle otto accompagnate dall'incessante tifo della curva dell'Atletico, munita di tamburi che fanno subito anni '80 (chissà perchè oggi sono vietati negli stadi italiani, vabbè che oggi qualsiasi cosa è vietata negli stadi italiani), che srotola una colorata coreografia con quattro personaggi che sembrano appena usciti da Indovina chi? e recita "APLASTA ATLETI". Incessante tifo in realtà è una versione un po' romanzata dei fatti, perchè dopo pochi minuti i sostenitori biancorossi già tacciono e non faranno più molto casino durante tutta la partita, tanto che più volte il Cholo Simeone si gira verso la tribuna facendo ampi gesti al pubblico, come a dire, svegliatevi, stiamo sfiorando l'impresa, abbiamo bisogno di voi, tifate. E' vero che questo di andare allo stadio come si va a teatro è un malcostume iberico diffuso, però ho dato un'altra spiegazione, molto meno sofisticata, al fenomeno del Calderòn: l'ipotermia. Ebbene sì, i miei amici avevano ragione: mi accorgo presto che a questo cazzo di stadio mancano due pezzi, cioè la tribuna coperta è staccata dal resto dello stadio, sono come una C e una I vicine ma non attaccate, e quindi ci sono due buchi alle due estremità nei quali passa un mega-spifferone di tramontana che fa gelare (anche perchè si è in alto e quindi c'è sempre vento; non a caso le bandiere sui tetti degli alberghi sventolano sempre); con un freddo così neanche io, se fossi un tifoso locale, avrei voglia di tifare, ma sarei ben contento di sopravvivere. Quindi, amici milanisti, non venite in jeans e Barbour che al Calderòn fa freddo. La partita è agguerrita, molto tattica, l'Atletico parte timoroso, il Barcellona è piacione, il primo tempo finisce senza sussulti a parte qualche iniziativa sull'asse Iniesta-Alexis, in fondo lo zero a zero va bene a tutte e due le squadre. I giocatori rientrano negli spogliatoi e anche noi ne approfittiamo per fare due passi e riscaldarci nei corridoi dello stadio.

Buco di merda
A questo punto vorrei parlare di calcio. Mi ero segnato su un quadernino i dettagli che più mi avevano colpito dell'Atletico, a beneficio dei tifosi rossoneri e anche del suo nuovo allenatore, per risparmiargli la fatica di dover visionare le partite dei prossimi avversari di Champions; e però confesso di aver perso quel quadernino, non so dove e non so quando, anzi approfitto per dire che sono disposto a dare una grossa ricompensa a chi me lo riporterà, perchè dentro c'era il telefono di una milf di Pozuelo (una sorta di Olgiata di Madrid, e anche lei molto Roma nord, bionda con dettagli vezzosissimi, tipo orecchini arancioni di Bimba y Lola, Mercedes classe A di ordinanza e due ore fisse al giorno di palestra in agenda) che ormai si sentirà sedotta e abbandonata. La fortuna è che mi ricordo quasi tutto e quindi qui riporto i miei suggerimenti per Clarence Seedorf:
1) Villa è bollito, pertanto, ammesso che si riprenda dall'ultimo infortunio, può essere marcato anche da un Mexès, Bonera o Zapata qualsiasi;
2) au contraire, Diego Costa è un'ira di Dio. Dal vivo fa impressione, è l'incarnazione del luogo comune calcistico "fa reparto da solo". Anche se sembra una contraddizione, l'ho trovato smisuratamente generoso ma egoista. Generoso perchè mette sempre la gamba, rincorre gli avversari, ci prova, si fa fare falli, tira da qualsiasi posizione e pure se in precario equilibro; egoista perchè va un po' troppo dritto per dritto, non si appoggia quanto dovrebbe ai compagni;
3) Arda Turan sembra uno scemo - non so perchè ma io pensavo fosse uno scemo, uno scemo nel senso di fantasista fumoso e inconsistente - e invece è veramente bravo, tutta la creatività dell'Atletico (una squadra che non fa della creatività la sua principale caratteristica) passa dai suoi piedi, che sono sopraffini, giocate sorprendenti, dribbling impossibili, ecco io non rischierei un Constant in marcatura; la fortuna del Milan sarebbe che, per qualche astrusa ragione, Simeone gli preferisse il brasiliano Diego, che al Calderòn è appena tornato ed è molto amato, ma sempre una pippa rimane;
4) Filipe Luis è il terzino sinistro più forte d'Europa, mi spiace dirlo ma è più forte anche di Archimede Morleo;
5) l'Atletico gioca solo in verticale, cioè Simeone non concepisce i passaggi in orizzontale; dev'essere uno che va dritto al sodo, pure nella vita; la squadra non cincischia mai, e non è mai prevedibile. Pensa Simeone: la palla, possibilmente, a loro; quando la recuperiamo, anche grazie alle linee di difesa e centrocampo strettissime (tipo club sandwich), subito ripartenza in avanti, palla a Diego Costa e sfondiamo; quindi non si illuda il Milan se avrà possesso palla, ma, al contrario, si preoccupi.
Detto questo, ora sembra facile prevedere un comodo doppio successo dell'Atletico; il paradosso è che, con Allegri ancora in panchina, sarebbe stato meno facile.

Antonio detto Tifossi
La partita, come noto, finisce zero a zero. Nel secondo tempo entra Messi, ma è tipo un cadavere e non combina nulla; entra pure Neymar, ma non è un giocatore di calcio e quindi non se ne percepisce la presenza; al contrario, l'Atletico va due volte molto vicino al gol, naturalmente con Diego Costa. Morti di freddo usciamo dallo stadio e, dopo aver abbandonato i figli alla solita bocca della metro, con Javier ci incamminiamo verso la Puerta de Toledo; alla fine non andiamo alla sidreria sul fiume, ma a un bistrot francese in centro, dietro la plaza de Oriente. Tradotto: tre quarti d'ora di passeggiata in salita. La cosa buona è che non ho più forze, ma mi è tornata la fame. Al Caripèn (un posto bizzarro se ce n'è uno) mangio cose mai viste e consigliate dalla moglie di Javier: cozze con la panna, pizza con la morcilla e una specie di pollo alla Stroganoff (dico una specie perchè il ristorante è così buio che è impossibile vedere cosa c'è nel piatto). Mancava solo il cappuccino di rane in crema di piselli e salsa di burro e lemongrass. Quando ci alziamo da tavola sono quasi le due, sono esattamente dodici ore che sono sveglio, di cui la metà passate a tavola, un quarto allo stadio e l'altro quarto spostandomi da e verso lo stadio. Javier e la moglie mi lasciano in albergo; sono pronto a andare a dormire quando ricevo un messaggio del mio amico Chus che mi invita ad andare a bere una cosa al vecchio Shabay (una discoteca pariola coi Buddha sparsi un po' dovunque) con il suo amico Antonio detto Tifossi (con due esse perchè in Spagna non sono capaci di usare le doppie italiane). Questo Antonio è detto Tifossi perchè l'unica sua distrazione dal lavoro è il calcio e in particolare quello italiano, quindi quando mi vede parliamo solo di storie borghettare, di solito anni '90. Sono tentato di non rispondere e invece dico di sì, tra mezz'ora sono lì, mi faccio una doccia, mi cambio, prendo un taxi e li raggiungo al bancone, dove mi aspettano con i gin tonic in mano, e dove restiamo fino alle sei, quando finiamo come sempre la notte allo Snobissimo, dove mi sembra di riconoscere la milf di Pozuelo insieme al ricciolone di Tiago, ma non è vero, non sono loro, sono solo io che sono ubriaco e forse non ho più il fisico per queste giornate Atletiche.