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venerdì 9 novembre 2012

43 secondi


43 sono più o meno i secondi che passano dalla trasformazione del penalty di Willie Sagnol, all'esecuzione vincente del calcio di rigore di Fabio Grosso. Che poi mi sono sempre chiesto: "Ma che cazzo avrà pensato in quei 43 secondi?". Cosa pensi, quando sei a undici metri dalla conquista di un Mondiale? Cosa si pensa quando ci si ritrova improvvisamente sul groppone 50 milioni di persone che, a chiappe strette, hanno gli occhi incollati solo su di te? Cosa pensi un secondo prima di prendere la rincorsa?

Sembrano domande stupide e scontate, il problema è che non riesco trovare una sola intervista a Fabio Grosso che soddisfi la mia curiosità. Semplicemente, perché, dopo quei 43 secondi, Fabio Grosso non se lo è cagato più nessuno. Che poi è assurdo se si pensa che siamo lo stesso paese che riguarda ancora con la lacrimuccia il rigore di Baggio e si scalda il cuore ripensando allo sguardo pallato di Schillaci mentre  ricorda perfettamente a casa di chi stava e cosa aveva mangiato la sera di quel 4 a 3 alla Germania. La passione per Fabio grosso è durata il tempo neanche di un mese, come un amore estivo, una cottarella di un paio di settimane che si conclude con un ti scriverò, ti chiamerò. L'Italia però Fabio Grosso non l'ha più richiamato. Quel Mondiale è suo, dal rigore contro l'Australia passando per il goal alla Germania e finendo con il tiro dal dischetto contro la Francia. Si doveva capire dalla regia televisiva di quella sera, invece di seguire la reazione di Grosso, staccherà sui calciatori azzurri a centrocampo, perdendosi la leggendaria corsa di Fabio verso il settore dei tifosi azzurri dalla parte opposta del campo. Lo stacco della regia è la foto di ciò che sarebbe successo in seguito: un secondo prima: "Dai Fabio, forza Fabio", il secondo seguente: "Bravo Cannavaro, grazie Pirlo, che grande Totti con una gamba in meno, che parate Buffon, che grinta Gattuso, quanto ha corso Zambrotta, fantastico Materazzi, che bello il gol di Del Piero ai tedeschi ecc, ecc..".


Fabio Grosso è stato decisivo almeno quanto Paolo Rossi nel 1982.. eppure, nessuno ha mai celebrato quel suo torneo perfetto. Il perché è sempre stato un mistero per me. Forse Grosso è un calciatore privo di appeal: non aveva, fino al 2006, mai fatto parte di squadre che contano, non ha mai avuto pettinature da pagliaccio, non è mai stato con una velina, mai nessuna rissa dentro o fuori dal campo, probabilmente non aveva e non ha figli con nomi improponibili tipo Kevin-Luis-Sebastiano o Chantal Oceano Mare. Una faccia anonima, un antidivo per eccellenza, un uomo comune.  Fondamentalmente di  Grosso non sappiamo proprio nulla. Si.. è nato a Roma per poi (credo) trasferirsi in Abruzzo. Punto. Del resto della rosa (che conta) del 2006 sappiamo: vita, morte, miracoli e parte dell'albero genealogico. Del calciatore pre-Perugia si sa che ha giocato nel Renato Curi e nel Chieti come trequartista. Ecco magari, in quei 43 secondi Fabio Grosso ha ripensato a quando Serse Cosmi lo spostò dalla 3/4 di campo alla fascia sinistra: senza quella mossa, magari inizialmente indigesta, quel 9 luglio non si sarebbe trovato sul dischetto. Probabilmente no. Allora forse pensava alla sua carriera in discesa nel caso l'avesse messa alle spalle di quella faccia di minchia di Barthez, ai contratti pubblicitari, alle standing ovation nei vari stadi italiani, al Mondiale 2010 giocato non più come sorpresa ma come punto fermo.

Come poteva immaginare che la sua carriera non sarebbe migliorata più di tanto, che sarebbe stato lasciato inspiegabilmente a casa da Lippi alle soglie del Mondiale sudafricano e che sarebbe stato trattato dal resto d'Italia come un Simone Barone qualunque. A tal proposito - piccola parentesi - mi piacerebbe anche chiedere a Simone Barone se ha mai superato il trauma di quel mancato assist di Pippo Inzaghi (fateci caso: il tracollo di Barone comincia da là). Magari Fabio in quei 43 secondi ha ripensato all'esultanza rabbiosa di Sagnol, di qualche secondo prima, a quel suo : "Allez!" (i francesi sembrano checche isteriche pure quando fanno i duri), come a dire: "Dai che il prossimo sbaglia  e ce la facciamo", ha ripensato alle parole di Domenech, alla testata di Zidane a quello scippo del 2000 o magari a vendicare quei maledetti rigori del 1998, persi contro una squadra che aveva come centravanti Guivarc'h, magari si è chiesto anche a che cazzo serva l'apostrofo prima della lettera H in Guivarc'h. Per me in realtà, Fabio Grosso proprio come molti di noi, in quei 43 infiniti secondi, non pensava proprio a nulla, se non forse a dove indirizzare il tiro. Stop. Oggi Fabio, dopo due anni da fuori rosa nella Juve è svincolato e frequenta il corso allenatori di Coverciano.
Non sapremo mai, cosa pensò, almeno finché qualcuno non si degnerà di chiederglielo. Quello che sappiamo di certo è che, almeno una volta al giorno ovunque sia, Fabio Grosso  ripensi a quando quella volta nel 2006, anche se solo per 43 secondi, fu l'eroe di una nazione intera, che si dimenticò di lui nel giro di 11 miseri metri.