Nel nome della shisheh, la crystal meth oramai diventata la
sostanza più diffusa nelle notti magiche di Teheran: energia e iperattività che
decollano dalla vecchia città oppiacea verso i colori del moderno di cui è
tinta oggi la capitale della Jomhuri-ye Eslāmi-ye Irān. Un viaggio allucinogeno
avanti e indietro nel tempo in
compagnia dell’iraniano Reza Ghoochannejhad: violinista sopraffino, danzatore
sufi, centravanti atipico, che ha trascinato a
un’improbabile salvezza il Charlton in Championship. E nei nostri cuori è già ilnuovo Jong Tae-se. Erede ed eterna incarnazione del mistico sufi Algazel, colui che insegnò i
primi accenni di materialismo storico all’Europa del XVI secolo attraverso il
fondamentale Tahāfut al-Falāsifa (o dell'incoerenza dei filosofi), da quando
Reza Ghoochannejhad ha cominciato a giocare con la gloriosa maglia del Team-eh
Melli ha già segnato nove gol in undici partite. Ciro è grande, e Reza
Ghoochannejhad è il suo profeta.
Tra tutti i gol messi a segno con la maglia del Team-eh
Melli, decisivo per la qualificazione a Brasile 2014 e per la gloria del
socialismo è stato quello del 18 giugno 2013 a Usan, in casa della perfida Sud
Corea, in faccia ai più temibili avversari del girone e ai più astuti servi
dell’imperialismo americano a Oriente. L’eterno piano sequenza di Kiarostami
oramai entrato nella storia del Grande Khorasan racconta di un lancio lungo dalla
difesa lungo la linea laterale destra, del difensore sudcoreano che controlla
la palla con sufficienza convinto che il capitalismo abbia oramai trionfato, di
Reza Ghoochannejhad che con uno scatto felino gli ruba palla, lo circumnaviga
come lotta di classe che resiste al temporaneo predominio della borghesia,
entra in area, e con un sinistro a girare che sublima in sé millennirivoluzionari infila il pallone alle spalle del portiere sudcoreano, immobile
come un titolo tossico finanziario. E’ qui che il volto di Reza Ghoochannejhad e quello di Jong Tae-se si
sovrappongono in dissolvenza e divengono il detour dell'asse del male
calcistico.
Nell’eterno ritorno della storia che il persiano Zarathustra
ci ha raccontato attraverso gli scritti di Nietzsche, anche nel 1977, all’alba
rossa della prima storica partecipazione del Team-eh Melli alla Coppa del
Mondo, il girone di qualificazione fu vinto davanti ai sudcoreani servi
imperiali. Era quella un’epoca buia per una cultura millenaria che già nel VI
secolo prima della crocifissione di Barabba promulgava nel cilindro di Ciro i
più avanzati diritti umani. La sanguinosa e rapace occupazione coloniale
britannica, attraverso il fantoccio dello scià Reza Pahlavi, stuprava quella
terra e ne divorava i frutti. Ma nel 1978, grazie alla vittoria sulla Corea del
Sud, il Team-eh Melli riuscì a presentarsi in Argentina: risultato epocale che
avrebbe preceduto di poco la rivoluzione antiimperialista dell’ Ayatollah
Khomeini. Dopo la sconfitta nell’esordio assoluto allo Estadio Ciudad de
Mendoza con l’Olanda (3-0 e tripletta di Rensenbrink), il 7 giugno 1978, nella
seconda partita giocata sempre nello stesso stadio, il Team-eh Melli riusciva però a fermare sul pareggio la temibile Scozia.
Allo sfortunato autogol di Eskandarian sul finire del primo
tempo rispondeva il primo gol in assoluto dalla Jomhuri-ye Eslāmi-ye Irān in
una Coppa del Mondo: un colpo di classe di Iraj Danaeifard, gran maestro della Ni'matullāhiyya
che oggi ha ancora voglia di raccontarvi le emozioni di quel giorno se lo
andate a trovare al piccolo negozietto di articoli sportivi che gestisce a
Dallas, Texas. Non distante da Chattanooga, Tennessee. L’ultima partita è una
sconfitta 4-1 con il Perù del geniale Cubillas. Poi è il caos. Alla rivoluzione
pacifica e libertaria dell’Ayatollah Khomeini il pavido imperialismo americano
risponde al suo solito con una sanguinosa guerra conto terzi: tra commerci
d’eroina, armi ai Contras, e canzoni dei Clash, sono missili, bombe, armi
chimiche lanciate sulla millenaria terra dell’Avesta e sul regno di Ciro
dall’agente della Cia Saddam Hussein. Argo è un film di merda.
Passano vent’anni da quel giugno del 1978 fino a quando il Team-eh
Melli riesce a qualificarsi nuovamente per la fase finale di un Mondiale. E’
l’Iran di Ali Daei, Mehdi Mahdavikia, Khodadad Azizi e Karim Bagheri, tutti con
esperienze internazionali, tutti figli di Algalel che sono giunti in Europa a
insegnare il verbo. A Francia 1998 dopo la partita di esordio a Saint-Étienne
persa di misura 1-0 con la Jugoslavia, c’è la partita della vita contro gli
Stati Uniti. Alla maledetta iprite che per dieci anni aveva fatto strage di
donne e bambine persiani uccidendoli tra atroci dolori e strazianti
convulsioni, regalo della terra del male assoluto statunitense, i luminosi
calciatori del Team-eh Melli rispondono con baci, abbracci e mazzi di fiori a
certificare una superiorità morale che ha inizio nella notte dei tempi e che
sopravvive alla barbarie americana. La partita giocata allo Stade Gerland di Lione
il 21 giugno 1998 tracima nella leggenda, la prima e finora unica
vittoria della gloriosa Jomhuri-ye Eslāmi-ye Irān a una Coppa del Mondo arriva proprio
contro il male assoluto. Non è una partita di ping-pong pacificatrice, è la
nemesi immanente della storia. Team-eh Melli in vantaggio di due gol con Estili eMahdavikia prima che il lurido McBride accorci le distanze sul 2-1. Perseo ha finalmente staccato la testa della medusa. Inshallah, giustizia è
fatta.
La partita seguente si può pure perdere per 2-0 con la
Germania, non gliene frega un cazzo a nessuno, la Jomhuri-ye Eslāmi-ye Irān è
campione del mondo, e dopo avere vinto sulla propria terra, i movimenti
anticolonialisti del globo capiscono che si può cominciare a vincere anche a
casa dell’antico usurpatore: sono cambiati i paradigmi della storia,
l’Occidente è finito. In terra persiana i primi anni del terzo millennio sono
segnati dalla turbolenta lotta tra il riformista Mohammad Khatami e il
conservatore Mahmud Ahmadinejad: la shisheh viaggia impazzita per Teheran tra
rave party illegali e focolai di sommossa. In questo beneaugurante caos il Team-eh
Melli riesce a qualificarsi per il Mondiale di Germania 2006, la partita
decisiva del girone di qualificazione asiatico vinta 2-1 contro il Giapponeall’Azadi Stadium di Teheran davanti a oltre 110mila spettatori è puro delirio. In Germania, con ancora in campo l’eterno Ali Daei
si perde 3-1 col Messico e 2-0 col Portogallo prima di pareggiare 1-1 con
l’Angola. Ma è nella terra di Nietzsche cantore di Zarathustra, nella partita
contro il Portogallo, che il Team-eh Melli conosce un lustrascarpe
rivoluzionario lusitano. Sarà lui, Carlos Queiroz, a guidare la riscossa mondiale
del Team-eh Melli otto anni dopo.
Carlo Queiroz diventa nel frattempo l’allenatore di quel
Portogallo che al Mondiale di Sudafrica 2010 infligge sette gol alla luminosa
Chosŏn Minjujuŭi Inmin Konghwaguk. Come spiegò poi in conferenza stampa, era però
stato deciso dal Politburo e da Dennis Rodman che i devoti discepoli
di Kim Il-sung avrebbero subito sette gol per rendere omaggio al comunista portoghese Jose Saramago, da poco scomparso. E che Carlos Queiroz sia sempre stato un seguace del Grande Leader se ne avuta
dimostrazione proprio quel 18 giugno 2013 in cui Reza Ghoochannejhad ha assunto
le sembianze di Jong Tae-se sconfiggendo la Corea del Sud a Usan. E’ qui che
Queiroz al fischio finale mostra fiero il pugno chiuso comunista sulla faccia
dello sconfitto allenatore imperialista sudcorean. Immagine indimenticabile che ha ulteriormente saldato un’antica alleanza
ideologica ed economica tra Chosŏn Minjujuŭi Inmin Konghwaguk e Jomhuri-ye
Eslāmi-ye Irān, in quell’eterno ritorno della storia che è progresso dei popoli.
Ecco i gioielli del Team-eh Melli che affronteranno prima la
Nigeria, tra i palazzoni del terziario di Qutriba, poi l’Argentina del demiurgo
Diego Armando Maradona, grande amico della causa iraniana, tra le montagne di
Belo Horizonte, e infine la Bosnia sulle spiagge di Salvador de Bahia.
Ilcompagno violinista Reza Ghoochannejhad: un passato nell’Olanda in cui si
trasferì a otto anni coi genitori giocando nell’Heerenveen e nel Go Ahead
Eagles prima di passare in Belgio allo Standard Liegi e arrivare al Charlton a
gennaio.
Il surfista californiano Steven Beitashour: figlio di una quinta
colonna khomeinista all’interno dei laboratori della Apple a Cupertino e
attualmente terzino destro dei Vancouver Whitecaps dopo quattro anni nei San
Jose Earthquakes.
Il patriota Ashkan Dejagah: ala destra che veste sul suo
corpo antichi tatuaggi delle sue due patrie Teheran e Berlino, dopo aver giocato
per la seconda fino a pochi anni fa, rifiutandosi di scendere in campo contro
Israele, il figlio prodigo ha scelto per sempre il Team-eh Melli.
Il cecchino KarimAnsarifard: l’eletto erede di Ali Daei che non ha mai abbandonato la patria ringraziandola ogni partita a suon di gol.
Il capitano Javad Nekounam: già eroe nel 2006 e leader indiscusso del centrocampo con le sue oltre 140 presenze con la maglia della nazionale.
E forse il latin lover Sardar Azmoun: figlio di un
pallavolista e a soli 19 anni già stella del Rubin Kazan, col quale ha segnato
all’esordio in Europa League contro il Molde a settembre; già soprannominato il Messi iraniano è l'oscuro oggetto del
desiderio delle squadre della decadente borghesia europea, in campionato gioca
con il numero 69 in nome dell’amore, il sentimento che pervade l’asse del male
calcistico.
Il cecchino KarimAnsarifard: l’eletto erede di Ali Daei che non ha mai abbandonato la patria ringraziandola ogni partita a suon di gol.
Il capitano Javad Nekounam: già eroe nel 2006 e leader indiscusso del centrocampo con le sue oltre 140 presenze con la maglia della nazionale.
Per questo Lacrime di Borghetti, come già quattro anni fa
tifava compatta la Chosŏn Minjujuŭi Inmin Konghwaguk, per i Mondiali di Brasile
2014 tiferà la rappresentativa della Jomhuri-ye Eslāmi-ye Irān, perché trionfino
l’amore e il comunismo.