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venerdì 18 maggio 2012

L'ammainabandiera (drammetto in un atto)

Tre personaggi seduti al tavolino tondo di un bar. Il primo, che chiameremo Armodio, se ne sta piegato in avanti, sporgendosi verso gli altri e gesticolando quasi proprio malgrado: si vede che ha qualcosa da dire. Il secondo, Aristogitone, sembra assorto nella lettura di un giornale locale; solo ogni tanto, quando deve girar pagina, chiude un momento il quotidiano e e si volge - strizzando gli occhi come fanno i miopi - verso il proprio amico, che quest'ultimo gli stia parlando o meno. Il terzo, Fenrir, gira un caffè con il cucchiaino: a giudicare dall'altezza della bevanda e dal gusto con cui lecca la posata, si tratta di un caffè corretto. In seguito Fenrir entra nel bar e ne esce con una bottiglia d'anice.

Armodio si agita e si dondola, muove le dita, sembra chiedere la parola, mentre gli altri non lo degnano di uno sguardo. Alla fine si accosta al tavolino e parla per primo.

Arm.: Lo mandano via davvero.

Ari. (lo guarda, come a prenderne le misure): Alla fine, sì.

Arm.: Non l'avrei mai detto.

Ari.: Già, in effetti è strano.

Arm.: Ma perché? Io non capisco questo.

Ari.: Beh, è semplice: gli è scaduto il contratto.

Arm.: Sicché tu dici che avrebbe chiesto troppo per rinnovare?

Ari. (smette per un momento di leggere, solleva gli occhi, li volge lentamente verso il primo): Non ho affatto detto questo. Anzi, per quel che conta la mia opinione, io sono convinto che Del Piero avrebbe firmato in bianco. Quello che ho detto è che gli è scaduto il contratto; e senza contratto non si è più dipendenti di un'azienda.

F.: Avoja, avoja: è esattamente così. Mi è successa una cosa simile poco tempo fa.

Arm.: E?

F.: Niente, poi ho risolto per il meglio.

Arm. (tace, in evidente attesa di ulteriori dettagli; che non verranno. Alla fine è lui stesso a rompere il silenzio): Motivi tecnici?

Ari.: Cosa?

Arm.: No, dico: la Juve rinuncia a Del Piero per motivi tecnici, magari...

Ari.: Una squadra che schiera Pepe titolare? Motivi tecnici?

Arm.: Ma allora perché?

Ari. (si è rimesso a leggere, non ascolta più): Perché cosa?

Arm.: Del Piero!

Ari.: Che fa?

Arm.: Lo mandano via!

Ari.: Ah, ma non lo mandano via. Gli è scaduto il contratto, mi pare.

(Silenzio. Fenrir si versa un bicchiere e beve avidamente.)

F.: Chissà se Del Piero, l'ultimo giorno di allenamenti, ha portato ai compagni un gabarè di paste. Chissà qual è il dolce preferito di Del Piero: delle persone famose sappiamo tante cose, ma ne ignoriamo altre che sono altrettanto significative per conoscere una persona.

Arm.: Va detto che (fa per ricominciare il discorso, ma è interrotto)...

F.: Peraltro la tradizione pasticcera piemontese è particolarmente vasta e apprezzata.

Arm. (si accerta che Fenrir abbia terminato): Va detto che è vecchio. Noi non lo vediamo perché è sempre stato con noi, o forse non lo confessiamo perché siamo invecchiati assieme, però è vecchio: compirà 38 anni a novembre. Forse troppo vecchio per giocare a calcio ad alti livelli.

Ari.: Troppo vecchio per stare in panchina?

Arm.: E pagare tutti quei soldi a uno che sta in panchina?

Ari.: Uno che sta in panchina - senza protestare - finché la squadra non conquista una punizione dal limite, per esempio, poi lo fai entrare e ci sono buone possibilità che segni: e anche solo per quello, considerato anche come si battono ormai le punizioni nel campionato italiano, varrebbe la pena di tenerlo. Anzi, se dovessero introdurre le sostituzioni volanti anche nel calcio - entri, batti la punizione, esci - uno così lo terrei fino a sessant'anni.

F.: Nella stagione 2034/35 toccherà i quarantun'anni di contributi, se non sbaglio: il gol di tacco alla Spal nello scontro al vertice sarà il suo stupendo canto del cigno.

Arm.: Ma allora lo sacrificano a un nuovo corso?

Ari.: Non direi. Ammesso che quello di Conte sia il nuovo corso, è iniziato quest'anno e Del Piero ha dimostrato di poterne far parte; io credo semmai che sia stato sacrificato sull'altare della tradizione e non su quello del rinnovamento.

Arm.: La tradizione? Ma Del Piero è la tradizione, da due decenni ormai.

Ari.: Non è così.

F.: Può darsi che lo mandino via perché biascica e chiama i compagni di squadra con nomi sbagliati: "Mirkovic, vieni qui, Mirkovic!", e dopo un po' perfino Bonucci se ne risente, anche per via dei pizzicotti. Può darsi anche che abbia cominciato a raccontare aneddoti inconsistenti di cui dimentica o confonde i finali, o che metta tutti a disagio in qualche altro modo. I vecchi fanno così, l'ho letto sul National Geographic.

Ari.: La tradizione, alla Juventus, sono soltanto gli Agnelli: e soprattutto ora che le cose vanno bene dev'essere chiaro che chi comanda, chi incarna lo spirito della squadra, è soltanto la proprietà.

Arm.: Ma Del Piero è amatissimo dai tifosi...

Ari.: Appunto. La Juventus non è una democrazia; la Juve è una proprietà privata degli Agnelli, con tutto ciò che ne consegue, e sono i proprietari a decidere per i tifosi chi va applaudito e fino a quando. E soprattutto nessuno deve fare ombra ai padroni o incarnare un simbolo alternativo. Del Piero è l'ennesima prova che in questo paese non conviene studiare: fosse stato il solito cretino da quattro concetti in croce, espressi male, sarebbe ancora lì.

F.: Se questi fossero gli anni Cinquanta, e se la Juve fosse Mirafiori, Del Piero lo accuserebbero di leggere l'Unità.

Arm.: Ma come si fa, una figura così romantica...

Ari.: Esattamente. Del Piero è romantico e la Juve degli Agnelli è totalitaria: in sintesi, il Novecento batte l'Ottocento e lo manda a casa, a Treviso, nella sua piccola patria nordestina a bere grappe e a rimuginare sul destino come uno scrittore mitteleuropeo qualsiasi. Con la differenza che nei romanzi mitteleuropei, prendiamo quelli di Roth, è l'individuo che assiste attonito allo sfascio di un impero; qui l'impero torna, e come primo atto decide di cacciare il proprio servitore più fedele. Questa vicenda è come se l'Imperatore avesse sputato in faccia all'ultimo giapponese nella foresta.

F.: Io penso che tutto questo sia una messa in scena. Sento che Juve-Napoli si deciderà ai rigori e che dopo il penalty decisivo Andrea Agnelli scenderà in campo e dirà a Del Piero "Io sono tuo padre". Poi tutto tornerà normale, lo so.

Ari.: No, sbagli: questo non è possibile. Gli Agnelli non hanno figli, hanno solo dipendenti.

(Fenrir pulisce il piano del tavolo con la mano e getta le briciole ai piccioni.)

Ari. (chiude il giornale): Andiamo a casa.

Arm.: Ci vediamo...?

Ari.: Domani, qui, alla solita ora. Noi, non può mandarci via nessuno.

martedì 9 novembre 2010

Riabilitare Del Piero?

Oggi compie 36 anni Alessandro Del Piero. L'uomo sembra dotato di vigore fisico e di notevole tenacia mentale, dunque non è ancora giunto il momento di commentare la sua carriera come se fosse finita; tuttavia, a quella età e dopo tanti avvenimenti, è più che legittimo trarre qualche bilancio.

Del Piero è all'apparenza tre carriere, o forse due, ma più probabilmente una sola con una lunga interruzione. Ma soprattutto, a Del Piero (un po' come hanno fatto con questo Paese secondo Stanis) l'hanno rovinato i toscani, o per meglio dire l'egemonia toscana sulla lingua italiana e conseguentemente sulla lettura delle cose - Wittgenstein insegna - per come viene fatta in questa nazione.

Verosimilmente per un lascito toscano, dunque, siamo naturalmente portati a identificare l'artista del pallone - categoria cui indubbiamente Del Piero appartiene - con il poeta. Ma come poeta e in generale come letterato lo juventino è gravemente inadeguato: ben al di là e spesso contro ciò che dicono i numeri e le statistiche, Del Piero sembra carente di continuità, incapace di costruire qualcosa, privo, per utilizzare un termine attualmente molto di moda, di una narrazione. Giunto a fine carriera, si fa quasi fatica ad affermare che ne abbia mai avuta una, per quanto appaiono sfilacciati e incoerenti i suoi trionfi e le sue decine e decine di gol. La questione, tuttavia, sta nel fatto che Del Piero non è un poeta e non è toscano; giudicarlo in base a quei criteri porta inevitabilmente a sottostimarlo. Gianni Agnelli volle paragonarlo a un pittore, Pinturicchio, ma sbagliò anche lui: Del Piero, veneto della provincia di Treviso come Giorgione, del quale condivide l'estro coloristico, somiglia più a un mosaicista, a uno stuccatore, a un qualche decoratore. Conserva in sé l'estrema raffinatezza bizantina che santifica il gesto e contemporaneamente lo strappa via dalla realtà. Del Piero è falso, lo si critica spesso con quest'argomento: ma è falso perché non può essere vero, giacché non è naturale.

Del Piero è un grande conservatore; anche in questo, è fondamentalmente veneto, e l'emigrazione al Nordovest l'ha cambiato pochissimo. La sua conservazione la si intenda in senso etimologico; placido e insieme emotivo, narciso perché onestamente innamorato di sé, finto in quanto teatrale, Del Piero incarna il veneto classico per come lo descriveva Piovene nel suo "Viaggio in Italia": "Questa regione porta dentro un amore di sé, un narcisismo per usare il gergo corrente, una voluttà perpetua di guardarsi allo specchio, una felicità nel suo pittoresco, una delizia nel fare teatro di sé e della propria condizione, che lo distraggono dalla spinta per il mutamento e lo affezionano al suo stato. I veneti si compiacciono di darsi e di dare spettacolo, accentuando a bella posta le loro inclinazioni, manie, e persino gli aspetti ridicoli e difettosi".

Del Piero è talmente veneto che quando esordisce in serie A è già Del Piero: contro ogni dettame occidentale, il ragazzo non ha alcuna intenzione di avviare una crescita e di migliorarsi. E migliorarsi dove? C'è già la minima tessera del mosaico, c'è già la pennellata che completa un idillio, c'è già l'intera facciata che si rispecchia molle nei canali. Che Del Piero non possa crescere e non voglia cambiare è evidente fin da subito: e infatti, quando inizia il vero e proprio progetto della Juve di Moggi-Lippi-Agricola, questo si costruisce più contro Del Piero che con lui. La riprova è in effetti la finale di Coppa Campioni con il Borussia Dortmund, in cui Del Piero (e la decenza) sono sacrificati da Lippi alla scelta di una formazione post-taylorista. En passant, la metamorfosi della Juventus divertente e "rocchiana" del primo Lippi in quella che giungerà a Calciopoli (attraverso una crescita costante della boria e una decrescita altrettanto netta delle vittorie fuori d'Italia) ricorda un po' la trasformazione delle imprese artigianali del Nordest nelle tigri di inizio Duemila; e la crisi del primo mostro, cui Del Piero sembra essere sopravvissuto tornando alle origini, può essere d'insegnamento oggi che anche il secondo modello, insidiato dalla propria stessa natura e dalle storture di uno sviluppo disordinato, appare ugualmente in crisi.

In ogni caso, l'apparente non integrabilità di Del Piero (e la prima parte della sua carriera) ha termine con il grave infortunio di fine 1998; quando torna, l'artigiano veneto è diventato un mero esecutore, irriconoscibile perfino fisicamente, e forse antropologicamente: l'agilità ha lasciato spazio alla potenza, la fantasia all'applicazione, l'efficacia sporadica alla mediocrità continuata. Per otto anni Del Piero è prigioniero di quell'organizzazione e di quella filosofia, che gli costano oltretutto una serie infinita di figuracce e la sempre crescente ironia degli appassionati di calcio. Lo juventino è ormai il flop per eccellenza: all'Europeo 2000, la sua tecnica improvvisamente approssimativa ci impedisce in due occasioni di chiudere la finale. A me, peraltro, nessuno toglierà mai dalla testa l'idea che Del Piero o il suo inconscio abbiano voluto sbagliare: quella vittoria, se ci pensate, avrebbe glorificato un calcio italiano che era già allo sbando morale e soprattutto avrebbe fissato nella memoria di tutti un Del Piero, ora sì, davvero falso. Sarebbe rimasto negli annali, infatti, il del Piero operaio del Nordovest, fuoriclasse normalizzato in tuta blu, il che avrebbe costituito una violenza alla storia personale e all'identità dell'uomo di San Vendemiano. In quegli anni, comunque, la noiosa e patetica normalità di quel Del Piero è rotta solo ogni tanto da lampi emotivi, a riconfermare l'insopprimibile veneticità dell'uomo: come in quell'omaggio all'Avvocato Agnelli accarezzato nella porta del Piacenza.

Quando però il castello moggiano crolla, Del Piero si libera: contro le ironie e le convinzioni di tanti - ero anche io tra quei molti - si spoglia semplicemente di otto anni di integrata realtà e torna alla sua antica falsificazione ("una fantasia dell'Oriente, di una delicatezza che non ha l'Oriente vero": ancora Piovene). Del Piero è il suo gol alla Germania all'ultimo minuto dei supplementari: assolutamente inutile ai fini della vittoria, ma bello, consapevole di essere bello, e dunque necessario per legittimare la vittoria del Mondiale, se è vero che l'Italia esiste o dovrebbe esistere per insegnare al mondo la bellezza.

Del Piero, in conclusione, non è una poesia da declamare, non è un romanzo da leggere, non possiede un racconto e non fonda un'epica; privo di dialettica e non interessato a sfidare l'esistente, non ha niente da asserire. La sua sola universalità, come in certa arte bizantina, si compie nel fortunato momento in cui la purezza del gesto si fonde con la ricchezza dei materiali, quando cioè la sua costante in-naturalità diviene sovra-naturale; ma un gol di Del Piero non può certamente innalzare a Dio, e dunque la sua unica verità è in se stesso e nella sua molle e straordinaria bellezza.

domenica 31 ottobre 2010

Giù le mani dal Pupone, maledetti moralisti d'accatto!

Arzete cornuto, arzete!
Nella giornata in cui da Palermo filtra la notizia che i venticinque fortunati che hanno sbancato il Superenalotto a Sperlonga sono in realtà i giocatori della Lazio, ai quali, per usare un eufemismo, in questo momento gira tutto bene, c'è una scena cui ho assistito questa mattina in televisione che non mi è davvero andata giù, e su cui vorrei spendere due parole. Per uno come me che fa del Moralismo il suo vessillo, infatti, non c'è nulla di più squallido e riprovevole che osservare il teatrino del moralismo da quattro soldi che viene inscenato sui canali di Sky ogniqualvolta Francesco Totti dimostra di non essere solo un calciatore, ma anche un uomo vero. Ma andiamo con ordine.

I protagonisti di questa disdicevole rappresentazione del puritanesimo da sondaggio televisivo sono tre personaggi di evidente insignificanza sociale. Il primo, in collegamento da Trigoria, è l'inviato addetto alla Roma Angelo Mangiante, ovvero l'ultimo che dovrebbe permettersi di sputare nel piatto sul quale mangia. Il secondo, ospite d'onore negli studi di Cologno Monzese (o dove cazzo si trovano), è il monocorde Zvonimir Boban, ovvero uno che, con quella capigliatura cotonata e quei gessati da mafioso di Little Italy, più che ad un ex presunto (molto presunto) fuoriclasse assomiglia all'attore di un remake porno del film Wall Street (peraltro, mi scuserete la divagazione, sono certo che il buon vecchio Michael Douglas -amico di LB e grandissimo tifoso della Roma-, se non fosse alle prese con un tumore, sarebbe ben felice lui stesso di interpretarlo lui quel ruolo bunga bunga). Il terzo, il padrone di casa, è uno degli indistinguibili mezzobusti settentrionali di SkySport24, di cui non conosco nè il nome nè ho trovato una fotografia in tutto l'etere, ma per farvi capire chi è pensate ad uno con una faccia espressiva tanto quanto quella degli omini delle figure delle misure di sicurezza sugli aerei, il classico esponente dei bacati anni duemila che, potrei giurarci, non ha mai visitato i Musei Vaticani ma è stato tre volte a Bali.

Bene, questi tre carneadi dello spettacolo, stamattina, nel commentare l'espulsione e la successiva scena di confusione che ha coinvolto il capitano della Roma Francesco Totti nella partita di ieri contro il Lecce, si sono auto-legittimati un ruolo da censori della moralità pubblica la cui credibilità è pari a quella dei Tribunali Internazionali dell'Aja per i crimini internazionali, ovvero nulla. Il la l'ha dato Mangiante, uno così infido che magari, nel suo doppiogiochismo da tinello, in privato o con lo stesso calciatore è capace anche di professarsi amico di Totti, legittimando l'assurda espulsione del capitano della Roma ricordando i numeri della sua "carriera disciplinare", che ora non ricordo, ma si tratta più o meno di un centinaio di ammonizioni e di una ventina di espulsioni. Come dire, non è la prima volta che Totti si mette in queste situazioni, che perde la testa, che si fa cacciare per le sue reazioni spropositate. Boban ha subito raccolto la sponda, stigmatizzando la rabbiosa reazione che Totti ha avuto all'uscita del campo, sottolineando anche lui l'elemento della recidiva del campione giallorosso, "ma non sempre campione di comportamenti". La ciliegina sulla torta ce l'ha messa però il mezzobusto ignoto, ricordando come, solo per fare un esempio (uno a caso, il primo che gli è venuto sulla lingua, dopo c'erano Vannucchi e Buonocore), uno come Del Piero, un esempio per i giovani, in carriera è stato espulso, che so, solo due volte, con appena una ventina di ammonizioni sulle spalle. Gli altri due hanno annuito, contenti di essere riusciti, con solo tre cervelli, a enunciare un sillogismo aristotelico quasi perfetto.

Ora, premesso che, per come la vedo io, quei tre personaggi possono parlare di Francesco Totti solo dopo essersi abbondantemente sciacquati la bocca col colluttorio, passandoselo peraltro di cavità orale in cavità orale come si fa con i cubetti di ghiaccio nelle migliori feste Erasmus, il punto dolente è quello di sempre. E cioè, l'ipocrisia di un paese (di cui il calcio è specchio perfetto) che preferisce sempre i furbi agli ingenui, i falsi ai sinceri, i potenti ai plebei. Che preferisce uno che si è dopato (o, prima che qualche anima candida leguleia si scandalizzi, uno che "ha abusato, senza necessità terapuetica, di farmaci", come da sentenza d'Appello), che è stato il simbolo della squadra più marcia della nostra storia calcistica, che poggia le sue fortune statistiche di gol sull'immoralità e l'illegalità di centinaia di calci di punizione dal limite regalati, calci di rigore inventati, fuorigioco non fischiati e avversari espulsi, che ci ha fatto perdere un Europeo già vinto (dall'altro!), che è l'espressione dell'arroganza dei potenti, a uno che si è sempre rialzato ad ogni infortunio solo col lavoro, che è stato il simbolo generoso e naif di una squadra perdente ma sempre sportiva, che poggia la sua gloria di gol segnati sulla scelta controcorrente di restare a vita nella squadra che ama, che ci ha fatto vincere un Mondiale (e lo stesso aveva fatto anche con un Europeo, se l'altro non si fosse dimostrato, per due volte davanti a Barthez, la pippa che è sempre stato), che è l'espressione del popolo.

La cosa non sorprenda, visto che il canale su cui è avvenuto il misfatto è lo stesso canale che, nella trashissima giornata del 10 ottobre 2010 dedicata ai numeri dieci (una porcata commerciale degna solo di San Valentino o Halloween, partorita da qualche brillantissima mente del marketing di Sky che si è fatto le ossa a Publitalia, ma li mortacci...), è riuscita nell'impresa comica, se non fosse anche tragica, di decretare Alex Del Piero il più grande numero dieci di tutti i tempi. Ed allora non c'è niente di più facile che attaccare il Pupone con Pinturicchio, il cattivo con il buono, il guascone attaccabrighe con il campione perbene e rispettoso. Nessuno che dica che l'espulsione di Totti è una cosa da terzo mondo, che il fallo di Olivera (uno che indovinate un po' dove ha imparato certe cose? Vi metto anche la foto qui a destra, ecco) è quanto di più vile si possa subire su un campo di calcio, perchè è il fallo anti-sportivo per eccellenza, lo sgambetto lontano dalla palla buono solo a far male, che gli arbitri dovrebbero finirla di sentirsi tanti pubblici ministeri qualunque che sfruttano ogni occasione per farsi un po' di pubblicità sui giornali.

Nessuno che dica -e allora lo dico io- che è sacrosanto che Totti, colpito a tradimento da dietro, non solo si arrabbi, ma anche che rosichi e se la prenda con Olivera. Che pretenda il rispetto che gli è dovuto, a casa sua, nel suo stadio, tra la sua gente. Se lo stesso intervento succedesse su un campo di periferia, il minimo che un uomo deve fare è dare una testata all'avversario, spaccargli il setto nasale, fargli sentire il sapore amarognolo del suo stesso sangue. Farsi cacciare, con onore. Totti è una persona buona, e il palcoscenico della Serie A richiede un diverso galateo, e allora lui giustamente si è limitato a una spintarella e a un insulto, roba veniale come pestare il piede al vicino sull'autobus. Ma di fronte all'espulsione senza senso, che ti priva del derby, è non solo normale ma addirittura giusto rosicare, voler spaccare il mondo, pretendere di farsi giustizia da soli. Spaccarlo davvero il naso a quel mascalzone, ricordare all'arbitro che lui lì è il servo, e Totti il padrone di casa. Non c'è vero campione che non sia fatto così, ma in Italia, chissà perchè, c'è la fila dei vari Severgini con il ditino pronto a catechizzarli, metterli in riga, umiliarli. Solo per citare i più famosi, i vari Best, Maradona, Cantona, in Italia avrebbero fatto (e Maradona c'è mancato poco che la facesse, per sua fortuna ha vissuto nell'eccezione di Napoli) la fine dei vari Di Canio, Cassano e Balotelli, epurati in nome di non si sa quali terribile nefandezza, sacrificati sull'altare del politicamente corretto, il cui profeta è Robi Baggio e il discepolo Del Piero. Eppure, i calciatori veri, almeno a Roma, e per fortuna, quando subiscono un'ingiustiza palese, come quella di ieri, reagiscono così, da uomini, e sono certo che anche gli amici dell'altra sponda come Gegen, abituati a capitani d'alto spessore emotivo, saranno d'accordo.

Totti è un uomo vero, è uno che ha saputo resistere all'esperimento eugenetico di Maurizio Costanzo & Walter Veltroni che volevano farne una banderuola democratica da salotto dandiniano, è uno con i suoi limiti e le sue imperfezioni che proprio per questo ce lo fanno così amare, perchè è così simile a noi, umano e troppo umano, uno che "a bambolì, ma vattelapianderculo",  e soprattutto è un calciatore vero.  Poi ci sono i calciatori finti, quelli che stanno sempre a terra, quelli che si prendono le dosi extra di creatina, quelli che vincono i sondaggi di cartapesta su Skysport, quelli che hanno le televisioni e i giornali amici, quelli che non sbagliano mai, quelli che non hanno mai una reazione fuori posto, quelli che in carriera sono stati espulsi solo due volte. Ma io, quelli così, li detesto.

domenica 14 febbraio 2010

Rigore a mano armata


("Ezechiele, 25:17. Il cammino dell'uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà, conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare, e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore, quando farò calare la mia vendetta sopra di te! ")

Ergermi ogni domenica a censore non è certo il mio divertimento preferito ma di fronte all'ennesimo scempio perpetrato alla mia (nostra?) moralità calcistica devo spendere qualche parola dura, per non sentirmi complice di un sistema marcio, omertoso, bianconero. L'avevamo scritto nei commenti al mio ultimo post e le nostre profezie da maghi Do Nascimiento si sono puntualmente avverate: la Juve DEVE andare in Champions League, costi quel che costi, nel modo che sia. E allora ecco l'inesistente contatto con Diakitè due settimane fa, ed ecco oggi l'inesistente contatto (fuori area!) con Sokratis ("Papa" per gli amici). Così, senza pudore, tanto per gradire. Un segnale "forte e chiaro". Implacabili questi arbitri. Chi c'è di mezzo? Sempre il nostro caro Alex, una vera bandiera, un "signore del calcio" secondo gli ascari di Sky. Due simulazioni in due settimane è un bel record anche per il nostro, che deve aver rispolverato gli appunti di qualche tempo fa. Le televisioni oggi e i giornali domani parleranno di "rigore dubbio", "possibile errore arbitrale", "mestiere di Del Piero", perchè a loro (a tutti loro) fa comodo questo giochino, fa comodo la Juve in Champions, fa comodo vendere il prodotto bianconero. Bene, allora sgombriamo subito il campo da equivoci: non è nulla di tutto questo, ma è una rapina a mano armata. Anzi, un rigore a mano armata. Questa è pura delinquenza, il vero teppismo calcistico, il pizzo pagato da un sistema arbitrale complice e indifeso. E' tornato Bettega (e chissà chi dietro di lui) e i risultati sono stati immediati, si vede che ha ritirato fuori certe magiche agendine moggiane (altro che "Stadio Olimpico.. Olimpico Stadio ..Quanti anni hai scusa? Ah, 13, capisco") e dall'altra parte del ricevitore ancora si ricordano una certa prassi. Sarà dunque una via crucis fino alla fine del campionato, un continuo revival di Deschamps su Gautieri, di ammonizioni sistematiche e diffide a tavolino. Del Piero e l'arbitro dovrebbero essere squalificati per dieci giornate ed esposti al pubblico ludibrio in gabbie appese davanti a qualche cattedrale, come si faceva a Munster con gli anabattisti rivoluzionari. Ma questo è un paese a maggioranza juventina, ergo un paese di ladri, e dunque va bene così, facciamoci del male. Per fortuna rimangono questi spazi di sincerità, da dove lanciare addosso a questi furfanti dei sanbeniti verbali, tuniche d'infamia come quelle che Torquemada obbligava i marranos a portare per strada. Sono piccole soddisfazioni, consapevoli che nel mondo reale nulla cambierà. Ma una cosa è certa: non si avvicinino juventini a questo post, nè tanto meno mi parlino al bar di calcio, perchè io con i pedofili non parlo d'amore. 

sabato 30 gennaio 2010

Termini Ferrarese




La Fiat ha cassaintegrato un altro fedele servitore. Uno che lavorava da più di 15 anni per l’azienda. Uno che in catena di montaggio ci ha lasciato la tibia ed il perone. Ma lui non farà come le tute blu di Termini Imerese, lui non salirà sul tetto del centro sportivo di Vinovo, non chiederà il reintegro, lui sa di avere sbagliato. Ma, anche con i suoi errori, lui rimane un capro bendato che vaga nel deserto, portando su di sè le colpe dell’Uomo. E noi, giudici impietosi, sull’Uomo faremo cadere la mannaia del nostro giudizio.
Ma chi è l’Uomo? Chi ha rovinato la Juve? Chi dobbiamo ringraziare?

Ciro, il figlio di Sandra Milo? Gli bastava un pareggio contro i teutonici... e ha preso 4 pappine. Pareggiava con la Roma... ha inserito il sinistro Candreva a destra aprendo spazi a Riise... Sega Delpiero e poi lo riappiccica col nastro adesivo, poi lo umilia e poi lo implora.. Fa giocare Melo e poi lo sostiuisce dopo 20 minuti, lo mette fuori squadra e lo reintegra immediatamente... Nonostante la sua calma apparente Ciro sembra più Confuso che Confucio...

L’ombra del Divo? Già di per sé Lo Spaccone della difesa doriana degli anni ’70 era un tantino presuntuoso, dopo avere vinto il Mondiale giocando una sola partita decente ha completamente sbracato. E ad una dirigenza vergine ed inesperta ha dispensato i Suoi suggerimenti. Ha indotto al licenziamento di Ranieri. Ha sollecitato un suo vassallo per scaldargli la panca in attesa del grande ritorno. Ha consigliato di rianimare i morti viventi Grosso e Cannavaro. Ha raccomandato di puntare su Amauri e Legrottaglie che li vuole ai Mondiali..

E qui si va sul mercato impos(ta)to dalla vergine ninfa d’oltralpe. 50 milioni per Felipe Melo e Diego, due pippe? Il primo è un discreto rottweiler che ha azzannato ossa e polpacci in Cantabria, Andalusia ed Etruria. Un mastino di razza come Dunga ne ha fatto il perno della sua mediana. Ma a Torino non morde. E’ l’incompreso principe Miskyn o il perfido Patrick Bateman? Il secondo. Maradiego, come fu presentato con con sabaudia modestia dal quotidiano di partito. E' un brevilineo con culo basso e piedi rapidi, buonino nel Paulista, pessimo coi Dragoes, ottimo col Werder Brema, pessimo di nuovo a Torino. Il nuovo Quaresma?

Ed ora Zac. Un ottimo sarto con una pessima stoffa.. o viceversa? Farà il 3-4-1-2 con nessuno sulle fasce e Diego dietro le punte in una squadra che dal ’94 gioca con il più ferreo dei 4-4-2? Mah... Io la squadra l’avrei data a Massimo Mauro, così si sarebbe talmente ustionato che avrebbe poi smesso di ammorbarci ogni domenica con la sua saccente prosopopea.

mercoledì 23 dicembre 2009

Il fattore negativo

Volevo sottoporvi una questione nella speranza di aprire una piccola discussione. Non vi pare sintomatico che la crisi della Juve sia cominciata proprio col rientro di Del piero?

Mi pare che la corsa a sbattere Alex in panchina oramai sia una costante delle ultime gestioni tecniche bianconere. Capello se ne era altamente fregato e lo considerava poco, Ranieri ci ha perso il posto per la gestione del rapporto coi senatori. Il buon Ferrara da yesman qual'è si è trovato a dover ridisegnare la squadra con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Che Del Piero sia oramai solo un pesante fardello??