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lunedì 24 febbraio 2014

Sanremo, Laetitia e la Serie A che non c'è

 
 
L'unica nota positiva del weekend è la chiusura del Festival di Sanremo.
Magari anche ben organizzato, ma sicuramente non di livello quanto alle canzoni in gara.
Salverei solamente il pezzo scartato di Frankie Hi-Nrg (Frankie Hi-Nrg per me è un grande, da sempre adoro la sua Quelli che benpensano - bello anche il duetto con la Mannoia di venerdì) e Laetitia Casta (da brividi nello spot Dolce & Gabbana).
Meglio non parlare delle tre canzoni finaliste. La stessa canzone di Renga - a dire di tutti ingiustamente eliminata prima del gran finale - non mi è parsa un granchè.
Il Festival della Bellezza - se mai la stessa si possa rappresentare - è risultato piatto, poco coinvolgente.

Non solo il Festival. Penso che ormai anche questa Serie A abbia ben poco da dire. Una palla.
Per quanto la Roma (seconda solo al Bayern per gol subiti) faccia punti, la Juventus - in un modo o in un altro - ne fa di più. Per quanto il Napoli si avvicini, lascia sempre per strada qualche punto di troppo.
Buona la prestazione del Toro, ma il finale non sorprende. Troppa la differenza tra i bianconeri e qualunque altra squadra. Tanto che sembra quasi impossibile che la Juve entri in crisi.
 
Per quanto le ultime perdano, il Bologna non riesce a staccarle, a prendere qualche punto di ossigeno.
Buono che una doppietta di Radu affossi un bel Sassuolo (era scontato il declino di Berardi dopo il poker al Milan - ieri panchina in avvio). Buono che fuori casa il Catania sia inesistente. Male che la partita con la Roma poteva pure finire 0 a 4. Quest'anno c'è da soffire come cani.
 
Bellissime due cose: lo striscione della tifoseria laziale a Lotito ("A Cragnotti.. je spicci casa") e Malesani che si toglie l'auricolare dopo la battuta di Gene Gnocchi sui capelli. Ovviamente, mi schiero dalla parte di Malesani.

Qualche nota dall'estero:
  • ride, e non poco, Carlo Ancelotti. Nel giro di poche giornate il suo Real si è ritrovato primo in solitaria. Tonfi assordanti quelli di Barcellona e Atletico a San Sebastian e Pamplona, rispettivamente;
  • partita chiusa, tattica e di studio Liverpool-Swansea. Mi chiedo solo una cosa: c'è qualcosa che non fa Suarez in campo? Lui si, riesce a formare la Bellezza disegnando il cross per il terzo gol;
  • chissà che combina Alino in Cina..

domenica 8 maggio 2011

L'ultimo capolavoro di Malesani

Difficilmente questa volta il capolavoro andrà in onda. Inutile pensare a un sequel o ad un secondo capitolo del colossal del 2002. Eppure gi ingredienti sono più o meno gli stessi. Il protagonista (Alberto Malesani), la trama (una squadra che si inabissa dopo aver navigato in acque tranquille per tutta la stagione) e il colpo di scena (l’iceberg della serie B). A rendere meno sapido il tutto, però, ci hanno pensato gli antagonisti (moltiplicati nel numero dai tribunali e dimezzati nella qualità dal calciomercato). Insomma, anche se alla fine della pellicola mancano ancora 180 minuti, è difficile pensare che prima dei titoli di coda per il Bologna non arrivi il tanto atteso happy ending, quello che mancò al Verona nel 2002. Merito di quei 5 punti che ancora la separano dal terzultimo posto e di una manciata di squadre troppo sgangherate per colmare il gap. Eppure l’ultimo B-Movie con la firma di Malesani, quello girato nelle campagne senesi la scorsa stagione, aveva fatto pensare che, forse, il tanto atteso salto di qualità poteva essere finalmente arrivato. Ma andiamo con calma. Tutto inizia nell’estate del 2001, una delle più roventi nella storia del calcio veronese. Sì perché dopo decenni di sfottò dei cugini “ricchi”, la favola del Chievo approda per la prima volta nella massima serie, con buona pace per il subdolo striscione apparso qualche mese prima nella curva dell’Hellas: “Il derby in A? Solo quando l’asino volerà”. Peccato, però, che solo un paio di mesi dopo gli asini cominciarono a volare davvero, anche in classifica. Sulla panchina del Verona, in quella torrida estate, si siede Alberto Malesani, quattro stagioni passate sull’altra sponda dell’Adige e un curriculum che dopo l’anemica esperienza con la Fiorentina era stato irrobustito con una Coppa Italia, una Coppa Uefa e una Supercoppa conquistata sulla panchina del Parma prima di essere esonerato. ”Sono felice per questa chiamata - aveva detto presentandosi ai nuovi tifosi prima di scappare dal dentista - io sono di qui, e da qui ho spiccato il volo. Solo Verona poteva convincermi ad allenare una cosiddetta piccola. Sarà una grande stagione, per Verona sportiva. Due squadre in A, un derby che solo i grandi club possono permettersi. Ogni domenica, al Bentegodi, sarà festa”. E, a giudicare dalla partenza sprint, Malesani aveva ragione. All’esordio in campionato, infatti, un pallonetto di Oddo sorprende Pelizzoli e inchioda i campioni d’Italia giallorossi sull’1 a 1. Il “miracolo” si ripete la domenica dopo in casa di uno stralunato Venezia, quando Salvetti scaraventa in rete un tiro-cross di Oddo consentendo al Verona di mettere in cassaforte i 3 punti. Ed è solo l’inizio. Nelle successive 8 giornate i gialloblù mettono insieme 9 punti (vincendo, fra l’altro, a Firenze e pareggiando con Parma e Juve). Poi la svolta. Il 18 novembre, infatti, in casa dell’Hellas si presenta proprio la matricola Chievo, la cenerentola capace di stregare il calcio dei Grandi. Il primo derby in serie A è di quello da togliere il respiro. Il Chievo gioca con la tranquillità di chi non ha niente da chiedere e passa per due volte in 37 minuti: prima con l’allora Eriberto, poi con il rigore di Corini. Tutto chiuso? Macché. A 5 minuti dalla fine del primo tempo un rigore di Oddo riapre le speranze dell’Hellas. Speranze che si tramutano in sogno con l’autogol di Lanna al 25’ del secondo tempo e con la rete di Camoranesi due minuti più tardi. Malesani esplode, non si tiene più. Al fischio finale schizza sotto la sua curva urlando e improvvisando uno spogliarello. Rimane lì sotto per diversi minuti, bagnato e in mutande, per cercare l’abbraccio dei suoi tifosi. Gli stessi tifosi lo guardano come un extraterrestre, indecisi se ridere con lui o di lui. “Lasciatemi esultare, sono il bello del pallone - risponde a chi lo critica per la reazione esagerata - la gente mi chiedeva di esultare da due settimane. E avevo anche il permesso di Delneri. Ci siamo incontrati davanti alle tv private. ' Se vinco posso andare sotto la curva?' 'Io resto, ma tu vai' mi ha detto”. E ancora: “Non c'è niente di cui vergognarsi, si vergogni chi va a rubare. Mi dispiace solo di venir ricordato come 'quello che esulta', invece sono l' ultimo allenatore italiano che ha vinto in Europa. A proposito, dopo la Coppa Uefa col Parma, non ho fatto niente. E poi io sposto l'attenzione della gente su quello che di bello c'è nel calcio, così non pensa ad altro”. Qualcosa sembra cambiare nella percezione che il mondo del calcio ha di Malesani. Anche gli addetti ai lavori non lo vedono più come quel personaggio ingastrito e triste, famoso solo per le sue esultanze chiassose. Ora viene considerato un uomo di campo preparato, un maestro del “gioco d’attacco doc”, come lo definì Tosatti. Così la vittoria nel derby riesce a conferirgli quell’alone di credibilità che neanche la vittoria della Coppa Uefa era riuscita a ritagliarli. E per l’Hellas questo si traduce in un nuovo slancio che riesce a fissare a 6 il record di vittorie consecutive al Bentegodi, striscia interrotta solo dal tris casalingo ricevuto dall’Inter. Quell’atmosfera di euforia che mancava dai tempi di Bagnoli mette benzina nel motore del Verona, che chiude il girone d’andata con 25 punti, destinati a salire a 32 alla quinta di ritorno. La salvezza è lì, basta fare il compitino per portarla a casa e vivere con un po’ meno di imbarazzo il successo degli asinelli volanti. Ma dopo un altro 3 a 0 rimediato dall’Inter si va a Bologna. Al gol di Gilardino al 30’ del secondo tempo rispondono le reti di Fresi e di Cruz al 47’. La vittoria in casa col Parma, 2 domeniche dopo, sembra togliere l’Hellas dalle sabbie mobili. Ma è solo un’illusione. Improvvisamente l’energia sparisce dalle gambe dei giocatori di Malesani, i reparti si allungano, gli avversari si infilano in vere e proprie praterie. Il Verona perde per tre volte di seguito: in Piemonte con la Juve, a casa del Chievo e poi contro il Torino. Il pareggio con il Brescia e la vittoria con l’Udinese, entrambe concorrenti dirette per la salvezza, sembrano soffiare sulle vele dei gialloblù che, con 39 punti, potrebbero accontentarsi di un punto nelle ultime 3 gare per raggiungere una salvezza tranquilla. Peccato che la domenica successiva coincida con il compleanno di Roma, non proprio la data migliore per andare a giocare nella città eterna. E infatti il Verona esce dall’Olimpico con le ossa rotte (5-4 contro la Lazio). Poco male, visto che l’idea di poter fare un punto nelle ultime 2 gare permette all’Hellas di guardare alla gara in casa contro il Milan con maggiore serenità. Troppa. Pirlo e Inzaghi seppelliscono i gialloblù che vanno a giocarsi tutto a Piacenza. È il 5 maggio, una data che non può essere storta solo per l’Inter. A spiegarlo a Malesani è il gol di Volpi al venticinquesimo, a confermarglielo ci pensa la doppietta di Hubner che inchioda il risultato sul 3-0. Le radioline puntate sugli altri campi sono impietose. L’Udinese già salva perde in casa contro la Juve, il Brescia travolge uno svagato Bologna per 3 a 0. La classifica parla Chiaro: Brescia 40 punti, Hellas 39. Un’algebra che vuol dire serie B per la banda Malesani. B come beffa, poi, visto che il quinto posto aveva garantito al Chievo l’ingresso in Europa al primo tentativo. Ora, dopo 9 stagioni, Malesani sembra non aver messo ancora la testa a posto. Lo testimonia sono i due punticini striminziti che il suo Bologna è riuscito a mettere insieme nelle ultime 6 partite (6 nelle ultime 9) che hanno fatto traslocare stabilmente i rossoblù da un’onestissima metà classifica a uno scricchiolante quindicesimo posto. “Abbiamo raggiunto quota 40 punti troppo in fretta” ha detto il guru di Verona nei giorni scorsi. Sarà, ma se questa volta il capolavoro non dovesse andare in onda, Malesani dovrebbe ringraziare Lecce e Catania, ma soprattutto Garrone. Con Pazzini e Cassano ancora in blucerchiato, infatti, l’happy ending per il suo Bologna avrebbe potuto lasciare il posto a un vero e proprio psicodramma.