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mercoledì 15 febbraio 2012

Strani fatti a Barcellona: la fine di un'epoca? (un flash)

Nel giro delle ultime due settimane sono accaduti alcuni fatti legati a Barcellona che mi fanno pensare che sia arrivata la fine di un'epoca - anche, visto che è quello che qui interessa, per la Barcellona calcistica. D'altronde io mi lascio facilmente influenzare da questi segnali apparentemente slegati, un po' come l'insopportabile zitella protagonista del Raggio verde di Rohmer che incontra carte da gioco abbandonate per strada e vi ci fonda sopra la metafisica dei giorni a venire (stamattina ad esempio, di fronte al caffè Volpini che hanno riaperto sopra la stazione Policlinico della metro B, ho trovato un nove di picche. Si prevedono sòle).

Cosa è successo. Il 6 febbraio è morto il grande pittore catalano Antoni Tàpies, l'ultimo baluardo dell'arte moderna spagnola, lasciando un vuoto incolmabile. Materico, riflessivo, ossessionato dall'idea della morte, Tàpies ha rappresentato su tela con ogni tipo di materiali - terra, polvere, sabbia, sacchi, buste, vestiti, un po' come fece Alberto Burri in Italia - le immense domande dell'esistenza. Sempre fedele al suo linguaggio ermetico, coerente nelle sue scelte estetiche, Tàpies ha incarnato quel genere di artista da me così amato che - pur nella eterogeneità dei temi trattati e delle forme espressive utilizzate - lascia impresso il suo segno su ogni opera che esce dal suo studio, per cui, anche passeggiando distrattamente per una collezione d'arte, alla vista di un suo quadro il visitatore non può non riconoscere lo "stile Tàpies". Tàpies produceva tantissimo e allo stesso tempo era lentissimo nella sua produzione. Prendeva ispirazione dai suoi lavori precedenti, cercava continuamente conforto nel suo passato, per trovare quella cosa che dà potere ai quadri, che rende magica la materia. Nondimeno, alla fine lavorava seguendo l’istinto, il più rapidamente possibile, cercando di non farsi influenzare troppo dalla razionalità ma seguendo, appunto, solo la suggestione delle opere precedenti. Pieno di dubbi all'ora di dipingere, riusciva ad accorgersi se il quadro era venuto bene solo quando era finito, ma non spiegandoselo intellettualmente, bensì notandolo fisicamente.

Negli stessi giorni chiudeva il mitico negozio di dischi CD Drome della calle Valldoncella, situato peraltro proprio dietro al MACBA dove tante volte ha esposto (e esporrà) Antoni Tàpies. Punto di riferimento della scena indie prima ed elettronica poi di un'intera generazione di giovani melomani, è stato per me un luogo di culto e di visita obbligatoria. Qualsiasi disco usciva dagli scaffali ti veniva voglia di comprarlo. Con qualunque avventore, per non parlare dei proprietari, si poteva parlare per ore di shoegaze o twee pop o folk pastorale (tipici argomenti di noi hipster musicali che frequentiamo indifferentemente il Festspielhaus di Bayreuth e il bingo di Crotone). Lì si imparava a mettere da parte i soldi per comprare quel disco, che poi si sarebbe ascoltato per giorni e giorni con sacro rispetto. Lì ho comprato per la prima volta un cd del Sr. Chinarro. Insomma, il negozio Cd Drome era un'istituzione e un punto fermo.

Sabato scorso, infine, un Barcellona pieno di giovani della cantera cadeva rovinosamente in campionato a Pamplona e consegnava, con quasi quattro mesi di anticipo, la Liga 2011/2012 al Real Madrid. Per la prima volta da quando c'è Guardiola a guidarli, i blaugrana devono rinunciare così presto a un traguardo così importante (la copa Catalunya del primo anno non vale). Per la prima volta, i ragazzi di Guardiola si trovano di fronte concetti tormentosi e molto tapiesiani come la disillusione, il fallimento, il non-essere, la morte, la fine. Il tiqui-taca non è servito a nulla al Reyno de Navarra, e l'Osasuna si è fatto beffe in verticale del pacioso orizzontalismo del Barcellona. Il calcio del passato è il calcio del futuro, e il presente è già finito. Pim pam pum. Il Real ringrazia e festeggia.

Dicevo della profezia sulla fine di un'epoca.

Con la morte di Tàpies, muore l'arte moderna legata alla materia, alla sostanza, all'esistenza. D'ora in poi sarà il trionfo dello sterile concettualismo dei new media. Dal silenzio che accompagna opere evocative alle mille righe che spiegheranno opere incomprensibili. Un disastro. Con la chiusura di CD Drome, muore l'ultimo spazio fisico in cui ascoltare (molto), parlare (parecchio) e comprare (poco) la musica. D'ora in poi sarà il trionfo della sterile fruizione dematerializzata e casalinga di una valanga di mp3 senza capo nè coda. Un altro disastro. Con la resa del Barcellona, muore l'utopia di Guardiola - che poi, come Tàpies, si basava sullo studio della propria storia - di fondare una realtà calcistica capace di ricrearsi stagione dopo stagione solo grazie ad un'identità nel modo di giocare. La partita di Pamplona - ma tutta la stagione in corso - dimostra che i giocatori contano ancora più del gioco, e se non hai i piedi e la testa di Iniesta non importa quanti anni hai fatto alla Masià, un nuovo Iniesta non lo diventerai mai. Dopo la fine del tiqui-taca ci sarà solo un  breve post-tiqui-taca, necessario a liquidare le ultime vestigia guardoliane e a depurare l'ambiente (con un rapido viaggio fino al termine della notte) delle velleità del passato, probabilmente in mano all'allenatore che oggi sta facendo uno stage a Roma, e poi il Barcellona tornerà umilmente a confrontarsi con il corso normale della storia, seguendo magari un altro sogno, un altro stile, un altro gioco. Se questo sia un disastro oppure no lo lascio dire a Bostero e a tutti voi.

A me bastava dire che a febbraio ci sono stati tre segnali inequivocabili a Barcellona - tre segnali che è finita un'epoca.