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lunedì 22 marzo 2010

Inglourious Glories, Ch. V, Leeds United FC

All’epoca, nel 2001, presidente del Leeds United Football Club era Peter Risdale, magnate inglese con la passione per il calcio. Decise, un bel giorno di quell’estate, di scommettere. Avrebbe giocato il Leeds qualificato alla successiva edizione della Champions League. Avrebbe giocato 60 e più milioni di sterline. Perse tutto. Voleva portare i Whites tra le grandi d’Europa, consacrando le due precedenti stagioni. E, invece, addormentò il club in un incubo infinito.
E da un incubo, a inizio secolo, il Leeds United Football Club era nato. Anno 1919, a Leeds il calcio è rappresentato dal Leeds City Football Club. Nessun successo sui campi della Second Division inglese, solo diverse scorrettezze a livello gestionale: nel corso della Prima Guerra Mondiale il Leeds City, infatti, aveva effettuato pagamenti ai propri giocatori, violando il relativo divieto in vigore al tempo. A metà stagione arrivò la squalifica della squadra da parte della Federazione inglese. Sulle ceneri di quella squadra, nacque il Leeds United Football Club. Ammesso, nel 1919, alla Midland League, una serie calcistica minore inglese che negli anni Ottanta, assieme alla Yorkshire League, avrebbe dato vita all’attuale Northern Countries League. L’anno dopo arriva pure l’ammissione alla Football League. Iniziava così, da una non prudente vicenda finanziaria, la storia di uno dei club più importanti della storia del calcio inglese. Per una trentina d’anni solamente alti e bassi. Qualche anno in First Division, molti in Second. Fino agli anni Cinquanta.
L’altalena si ferma perché ad Ellan Road qualcosa sta cambiando. C’è un’aria nuova e due nuovi nomi che contribuiranno a lanciare "The Peacocks" nel calcio che conta. Il primo nome è di origini gallesi, viene da un quartiere di Swansea chiamato Cwmbwrla e la prima volta che vede quello stadio ha appena 17 anni. William John Charles, centravanti. Un gigante.
[William John Charles]
Il gallese si rivela una furia dell’area di rigore. Gioca in ogni posizione e segna a raffica: in dieci anni 150 reti in 290 presenze. Tanti gol fanno sì che il Leeds raggiunga nel ’56 la promozione dopo nove anni di Purgatorio. E mettono pure a posto le finanze: il gigante di Swansea piace alla Juventus, che paga cash 65.000 sterline al Leeds pur di affiancarlo ad Omar Sivori e vincere tre scudetti. Quello che conta, aldilà dei soldi è che William John Charles per Leeds altro non fu che il preludio a un'epopea. Ancora una retrocessione, nel ’60. Ma sarà l’ultima per molti anni. Arriverà la gloria e gli anni del calcio che conta. Quelli del secondo nome. Quelli di Don Revie.
[Don Revie]
Arriva a Leeds dal Sunderland all’inizio degli anni Sessanta. Parte come giocatore-allenatore e, dopo una retrocessione in Terza Divisione sfiorata e una nuova promozione nel ‘64, consolida il ruolo dei Whites in First Division. Progetta una squadra giovane, con nomi quasi sconosciuti. L’unico pezzo pregiato era Bobby Collins, pagato 25,000 sterline dall’Everton (si legge sul sito ufficiale dello United: “Small in stature but with a huge appetite for the game, Bobby was the rock on which the foundation for United's rise to football prominence was built”. A piccoli passi, partita dopo partita, Don aggiunge tasselli al suo capolavoro: arrivano, ancora, Johnny Giles dal Manchester United e Alan Peacock dal Boro. Al primo anno di Top Flight il Leeds United è dato per spacciato. Farà fatica a salvarsi, dicevano. Sarà un inferno. Don Revie non si trova d’accordo coi più. Il suo Leeds magico disputò una grande stagione, perdendo la Championship a vantaggio del Manchester United solo per una dannata peggior differenza reti, e raggiungendo la Finale di FA Cup a Wembley, persa col Liverpool ai supplementari. Da prestigio incompleto i due anni successivi. Nel ’65, Leeds secondo in campionato, questa volta alle spalle del Liverpool e semifinalista in Coppa delle Fiere, sconfitto dal Real Saragozza. Peggio nella stagione ‘66/’67, quarto in campionato e finalista, ancora sconfitto, questa volta dalla Dinamo Zagabria, in Coppa delle Fiere. Serve una svolta. Serve un trofeo, perché tutto non sia stato inutile. Fiabesca, l’edizione di Coppa delle Fiere dell’anno successivo è una cavalcata inarrestabile. 16 gol al Primo turno ai lussemburghesi del CA Spora, altre 3 reti al Partizan nella successiva sfida e vittoria di misura contro gli scozzesi dell’Hibernian al Terzo turno. Ancora una squadra scozzese ai Quarti, i Rangers di Glasgow. Ancora una vittoria. La linea scozzese non si interrompe e in Semifinale ad aspettare il Leeds ci sono quelli del Dundee FC. Finisce pari a Dens Park, la casa dei Dark Blues. Secco 1 a 0 al ritorno, ad Ellan Road. E’ di nuovo finale, come l'anno prima. Dall’altra parte del campo, il Ferencvaros, la temibile squadra ungherese: nell'altra Semifinale ha eliminato il Bologna di Giacomo Bulgarelli che aveva fatto tremare il Mondo. Un gran gol al volo di Mick Jones, omonimo del chitarrista dei Clash e pagato a peso d’oro allo Sheffield United, decide l’andata. Il pareggio al ritorno a Budapest, davanti a 76.000 spettatori è sufficiente per alzare la Coppa delle Fiere e per consacrare il Leeds United Football Club tra le grandi d’Europa. La vittoria in Europa accende la miccia dei Whites, che l’anno dopo si impongono anche in campionato. 27 vittorie e solo 2 sconfitte. Il Liverpool e i 77 gol dell’attacco dell’Everton chiudono ad anni luce dai ragazzi di Revie. Il piccolo Leeds è ora un Top Team. Ottimi piazzamenti in campionato ed in FA Cup, sempre temibile in Europa, al cospetto delle corrazzate straniere. Don Revie si gusta la sua magia, sporca e tetra. Si prende gli applausi e le prime pagine delle riviste. Ma non si ferma. Ha ancora fame, voglia di vittorie dure. Vuole stupire ancora. E lo fa. Stagione ‘70/’71. Di nuovo Coppa delle Fiere. Poca cosa i norvegesi dello Sarpsborg ai Trentaduesimi. Più ostica la doppia sfida ai Sedicesimi con i tedeschi della Dinamo Dresda: il Leeds passa solamente grazie ad una rete in trasferta. Agli Ottavi, lo Sparta Praga viene sommerso di gol sia ad Ellan Road che in Cecoslovacchia. Neanche il Vitoria FC riesce a fermare i Pavoni, che volano verso la Semifinale. Contro il nemico di sempre. Il Liverpool di Bill Shankly. Revie, come sempre in cappotto di pelle con interno imbottito, si affida ai suoi scudieri. Norman Hunter, il centrale di difesa, Peter Lorimer, il centrocampista cannoniere, John “Jack” Charlton, fratello maggiore di Sir Bobby, e Johnny Giles. Che per dieci anni hanno letto la stessa scritta nello spogliatoio di Ellan Road. E, per una volta, la storia si arrende. Il Leeds conquista Anfield e si chiude in casa. Dopo 180 infiniti minuti, il Liverpool è eliminato. In Finale ci va l’Inghilterra sfrontata, quella dei tackle violenti e col fango negli occhi. Ad attendere i Bianchi la Vecchia Signora di Bettega e Causio. A Torino finisce pari. Madeley risponde a Bettega, mentre a Capello risponde Bates. Ad Ellan Road segna subito Alan Clarke. Sarà inutile l’immediato pareggio di Anastasi. Don Revie vince ancora. Può di nuovo brindare a champagne per la sua magia senza fine. Altri due acuti prima della fine. Una FA Cup l’anno successivo e il secondo campionato nel ’74, davanti a Liverpool e Derby County. Poi, l’addio di Revie. I 44 giorni di Brian Clough. Tutta un’altra storia. Tutto un altro sapore. Si sa solo che da quel giorno il Leeds United non si rialzò per molti anni. Solo un acuto, la terza Championship nel ’92, firmata Eric Cantona e Rod Wallace, per poi ripiombare in nuove crisi e nuovi incubi.
[Eric Cantona]
Fino a quell’estate del 2001. Nei due anni precedenti, David O’Leary, londinese con passaporto irlandese, aveva raccontato a tutta l’Europa la sua nuova magia Leeds United. I suoi avevano raggiunto la Semifinale di Uefa nella stagione 1999/2000, cadendo contro il Galatasaray poi campione, e la Semifinale di Champions League nella stagione 2000/2001. Furono schiacciati dal Valencia di Hector Cuper e Gaizka Mendieta. Quella formazione del Leeds United stagione 2000-2001 molti se la ricordano. In porta Martyn, linea di difesa con Ferdinand e Matteo al centro, Mills e Harte sulle fasce. A centrocampo Dacourt, Kewell “The Jewell”, Batty e Bowyer. Davanti, Viduka e Alan Smith. Era l’Undici che sconfisse il Monaco 1860 nei preliminari di Champions League e che si qualificò secondo nel girone di ferro del Milan e del Barcellona. Nella seconda fase a gironi sopravvisse a Real Madrid e Lazio, qualificandosi per i Quarti contro il Deportivo la Coruna di Luque e Tristan. Seppellì di gol i galiziani ad Ellan Road e cadde senza farsi male davanti ai 36.000 del Riazor. In Semifinale Mendieta, assieme a Sanchez, svegliò la working-class, che già sognava nuovi Revie e nuovi Lorimer. Dopo l'importante stagione europea, Risdale si indebito oltre il consentito per finanziare la campagna acquisti. Credeva di poter ripagare i debiti grazie ai diritti televisivi e ad una facile qualificazione alla successiva Champions League. Il Leeds, invece, crollò. I processi per aggressione, i mancati introiti e le necessarie svendite dei pezzi pregiati (su tutti, Ferdinand e la bandiera Woodgate). La retrocessione venne da sè dopo un paio d’anni. E da lì l’inferno della Football League One, la serie che non vuole campioni o grandi nomi. Niente più stelle né Coppe. Niente più magie. Solo le ceneri da cui tutto aveva preso forma. E quella scritta nello spogliatoio di Ellan Road. “Keep Fighting”.

domenica 18 ottobre 2009

Appunti del sabato


Brevi appunti su un sabato calcistico distrattamente seguito.
1. Nel calcio, avere un allenatore è un dettaglio ancora importante, e la Juventus non ce l'ha. Puoi anche schierare a centrocampo tre colossi come Felipe Melo, Sissoko e Diego, ma se non dici loro come si devono muovere, faranno la fine dei giocatori del Subbuteo (casualmente e inutilmente sparsi per il campo in seguito a schicchere più o meno calcolate).
2. Nel giorno in cui per le strade di Madrid sfilano centinania di migliaia di persone per protestare contro la legge sull'aborto, il capitano del Real, Raùl Gonzàlez Blanco, trascina con una repentina doppietta i blancos alla vittoria contro il modesto Valladolid. In entrambi i casi, si tratta di gente che nuota controcorrente. Anche quest'estate, come da copione, i giornali hanno escluso Raùl dalla formazione titolare del dream team creato da Florentino Perez; come da copione, gli addetti ai lavori hanno sentenziato che si tratta di un giocatore bollito, ormai da (pre)pensionare; e come da copione, Raùl risponde con i gol, con le prestazioni, con l'attaccamento alla maglia. Da quando a quindici anni lasciò le giovanili dell'Atlètico Madrid (dove il padre, grande tifoso colchonero, l'aveva iscritto, e dove lui aveva già fatto intravedere tutto il suo talento) per trasferirsi dall'altro lato del Manzanares, Raùl ha sposato in maniera impeccabile la causa delle merengues, e in carriera ha sbagliato davvero poche partite. E chissene importa per quel rigore sbagliato all'europeo contro la Francia. Lui è un ragazzo del pueblo, e il pueblo lo ama. Anche se per farlo deve nuotare controcorrente.
3.  Valencia e Barcellona si sfidano senza punte (nè Villa nè Ibrahimovic, nè Zigic nè Herny) e, ma guarda un po'?, una bella partita, molto tirata, finisce a reti inviolate. Senza punte, il tiqui-taca spagnolo diventa patologico, superfluo, auto-consolatorio. Pura masturbazione tattica.
4. A questo proposito, è di ieri la notizia che Francesco Totti è infortunato e quindi non giocherà stasera contro il Milan. Chissà quante partite resterà fuori, e quante volte si ripeterà questo teatrino. Nonostante questo decorso degli eventi fosse altamente prevedibile (anche senza il conforto del pendolo di Maurizio Mosca), la campagna acquisti della Roma non ha portato nessun centravanti a Trigoria, e quindi, di fatto, è già emergenza attacco. Speriamo che il principe di Niksic si sia svegliato con l'umore giusto, e che Okaka indovini il suo proverbiale taglio in area di rigore.
5. Per ultimo, la più bella immagine della giornata, che -per nulla casualmente- proviene dalla Championship inglese (l'unico vero specchio del football d'oltremanica). Mi riferisco ad Alan Smith. In un derby del nord tra nobili decadute, il suo Newcastle perde di misura nella bolgia di Nottingham (pazzesco uno stadio del genere, ricolmo fino all'inverosimile, in serie B. Ma d'altronde, lo stesso St. James Park di Newcastle è sold out da quasi vent'anni solo con gli abbonamenti!), ma Smith interpreta con il solito piglio da capitano coraggioso il suo ormai rodato nuovo ruolo da mediano di temperamento. Una storia malinconica ma non per questo da compiangere: da golden boy del Leeds a centravanti del Manchester United e della nazionale in pochi anni, dopo alcuni anni irregolari costellati di risse, espulsioni, gol spettacolari e infortuni gravi, il biondo Alan conosce la delusione della retrocessione con i magpies e l'oblio della serie B. Ora, a ventott'anni (vissuti velocemente e quindi, in realtà, molti di più), è lì che lotta, corre, mena, tira, alza la voce, non si risparmia. D'altronde, con quella faccia imbronciata, con quel nome così comune, con quel carattere da pub, è uno dei pochi eroi working-class che sono rimasti nel calcio britannico, l'ultimo baluardo contro i miliardi, le starlette e la perdita d'identità che hanno ucciso la Premier League.