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venerdì 15 aprile 2011

Italo Che Fece L’Italia - Uno sceneggiato televisivo (Parte 1)

“Non mi offendo se mi accostate a lui. Anzi, sono contento: Moggi l'ho cresciuto io.”

Italo Allodi (intervistato dalla Gazzetta dello Sport - 25 giugno 1997)

“Per me sarà sempre una persona indimenticabile. Io non l'ho mai abbandonato perché è merito suo se sono nel calcio: in pratica mi ha creato. E' stato un precursore del calcio moderno.”

Luciano Moggi (nel giorno della morte di Allodi - 3 giugno 1999)

PROLOGO

NAPOLI: UNA LACRIMA SUL VISO

Lo vedi lì, piangere, in un’aula di tribunale a Napoli, mentre un sostituto procuratore della repubblica lo accusa delle peggiori nefandezze.. E allora ti chiedi.. se questo è un uomo, o è un fottutissimo truffatore.. che, avvertendo l’imminente chiusura del sipario sulla sua (fino ad allora strepitosa e straripante) carriera, mette in scena l’ultimo grande spettacolo.. Lui è stato il grande burattinaio di oltre vent’anni di calcio italiano.. Ha saputo calpestare il palcoscenico come nessun altro.. E’ sempre stato lì, a metterci la faccia, non si è mai tirato indietro, ha accettato ogni ruolo in ogni rappresentazione.. così ha costruito il suo potere.. No, non è mai stato lì, nessuno ha mai visto la sua vera faccia, era dietro le quinte a manovrare i pupi, sotto il gobbo a suggerire la battuta.. così ha costruito il suo potere.. E’ stato Talleyrand, Rasputin, Richelieu e l’occhio di Carafa.. Ha guidato il carrozzone del calcio italiano attraverso la storia, lo ha aiutato a guadare le rapide della modernità.. Lo ha diretto, condotto, influenzato.. ha deciso, stabilito, disposto, deliberato.. ha tramato, intrallazzato, condizionato, calpestato, corrotto.. Poi, come spesso accade in Italia, è stato tradito dagli amici, ed è infine caduto per mano di un giudice.. E’ stato allora, a Napoli, durante un interrogatorio, che improvvisamente il re è rimasto nudo ed è scoppiato in lacrime.. si è messo a piangere.. Se questo è un uomo o un fottutissimo truffatore starà agli dei giudicarlo.. A noi è dato solo raccontare la sua storia e pronunciare il suo nome.. No, il suo nome non è Luciano Moggi.. Il suo nome è Italo Allodi..

Ma nella nostra storia i nomi e le facce di Italo Allodi e di Luciano Moggi diverranno indistinguibili come in un labirinto di specchi.. Uguali saranno i personaggi - i calciatori, gli allenatori, i dirigenti, i faccendieri, gli arbitri, i guardalinee, i presidenti - con i quali i due hanno stretto patti di sangue, di merda e di denaro.. la merce, sempre la stessa: l’anima del calcio italiano.. Uguali saranno i luoghi dove sono ambientate le loro storie.. per entrambi l’ultima rappresentazione pubblica è avvenuta in un’aula del tribunale di Napoli.. dove hanno pianto davanti ad un pubblico ministero che stava indagando sul marcio del calcio italiano.. Eppure.. Eppure a proposito uno, Italo Allodi, la storia ha creato il mito postrisorgimentale del grande uomo che unificò il calcio italiano, di colui che inventò il ruolo del dirigente sportivo ed il calcio moderno.. Mentre a proposito dell’altro, Luciano Moggi, la cronaca ci racconta di un perfido malfattore, di un subdolo mercante disonesto che ha costretto tutti gli amici, ed erano tanti, che prima lo chiamavano amichevolmente Lucianone ad apostrofarlo poi come Lucky Luciano.. e a prenderne retroattivamente le distanze.. Ma chiunque abbia scalato anche solo alcuni dei 49 scalini che conducono alla saggezza, sa che lo Yin e lo Yang si cercano, si insinuano, si compenetrano e si mescolano.. E così, anche nella nostra storia, il padre e il figlio, il maestro e il discepolo, sono inseparabili.. loro non sono due, sono uno.. sono l’uno del potere che si fa due nelle figure archetipiche di bene e male dell’inconscio collettivo di Occidente per poi tornare a essere uno nella storia che stiamo per raccontare.. Loro non sono due, sono uno.. Come uno è stato il mezzo utilizzato, l’unico predisposto al controllo nella dialettica del potere di Occidente: la corruzione.. Come uno è stato il fine, l’unico perseguibile nella dialettica del potere di Occidente: il dominio assoluto..

Questa è la storia di Italo, il dandy postrisorgimentale che fece l’Italia del calcio.. E, come in tutte le storie, il passato si dimostrerà essere causato dagli avvenimenti del presente, e non viceversa.. Questa è la storia del calcio moderno in salsa tricolore, tra complotti internazionali e bucatini all’amatriciana, che nasce e muore l’11 di giugno del 1986, il giorno in cui Italo Allodi piange in quell’aula del tribunale di Napoli, accusato nell’inchiesta detta del Secondo Totonero di avere deciso risultati delle partite di serie A, B e C per favorire le scommesse clandestine (ché all’epoca del rampante proibizionismo socialista degli anni ’80 le scommesse erano illegali..) da un procuratore della repubblica torinese, Giuseppe Marabotto, che poi risulterà essere nei venti anni seguenti il complice delle malefatte, calcistiche e non, di Luciano Moggi.. Colui che, grazie a quel processo prenderà il posto di Allodi prima alla guida societaria del Napoli e poi al timone dell’intero calcio italiano.. Questa storia di trionfi e di cadute, di luci e di ombre, di potere e di corruzione, nasce e muore in un’aula di tribunale di Napoli in un’estate di un quarto di secolo fa: il giorno in cui il figlio uccide il padre, il discepolo supera il maestro, gli ruba le carte dall’archivio segreto, ed il carrozzone del calcio italiano può finalmente entrare nell’era del calcio spettacolare del tardo capitalismo.. Dei venti anni seguenti in cui il movimento del pallone che rotola su un campo verde, già fattosi merce nel dopoguerra, è sussunto a spettacolo conosciamo molto.. Ci è dato sapere chi sia Luciano Moggi e cosa abbia fatto.. Ma chi era Italo Allodi?

EPISODIO I

BASSA PADANIA: BURN BABY BURN

E’ il 1928.. Fuori da Occidente.. nel mondo caotico e colorato ancora brulicante di vita e di utopia, nasce da qualche parte in Rosario, Argentina, Ernesto Guevara de la Serna.. In Europa, utero di Occidente, ieri come oggi diviso al suo interno e sospettoso del vicino, la Francia inizia la costruzione della Linea Maginot.. ci si prepara all’ennesima guerra.. In Italia, buco del culo di Europa, ieri come oggi diviso al suo interno e sospettoso del vicino, la gente si è votata anima e corpo all’adorazione del carisma e all’obbedienza all’autorità.. ci si prepara a qualificare come organo costituzionale il Gran Consiglio del Fascismo, ci si prepara ad istituzionalizzare la dittatura.. E’ il 1928.. Ad Asiago, inutile comune stretto tra i monti calcarei della bassa Valsugana e la depressione caspica della Pianura Padana - un posto che solo un coglione come D’Annunzio poteva descrivere come “la più piccola, ma la più luminosa città d’Italia” - il 13 aprile nasce Italo Allodi.. Figlio di un ferroviere e di una casalinga, il giovane Italo si trasferisce presto a Suzzara, provincia di Mantova, dove attraversa indenne il primo ventennio italiano di dittatura dello spettacolo (che il secondo è dato a noi) frequentando le scuole e cominciando a giocare a calcio.. Ma nonostante l’impegno, non riesce a diventare un grande calciatore, anzi, a dirla tutta è una mezza pippa: centrocampista e poi difensore, attraversa l’immediato dopoguerra girando in lungo ed in largo quella Bassa Padania calcistica tanto cara a Giuanbrerafucarlo.. le sue squadre si chiamano: Padova, Cavarzere, Suzzara, Bondenese, Gladiator, Santa Maria Capua Vetere, Forlì, Parma, Carrarese, Fabbrico, Mantova.. Gira molto e non sfonda mai.. A Parma, in serie C, gioca assieme a Edmondo Fabbri e Cestmir Vyclpalek, lo zio di Zdenek Zeman (che la storia è un eterno ritorno di nomi e di luoghi e di fatti), che un giorno in campo gli dice: “Sei talmente scarso che non riesci a battere neanche una rimessa con le mani..” Una sentenza definitiva, una bocciatura che avrebbe segnato la vita calcistica di qualsiasi persona, che si sarebbe dedicata ad affaccendarsi in altre faccende, ma non di Italo.. lui non è qualsiasi persona, lui non si abbatte, lui è eroe postrisorgimentale ed ha una missione da compiere: unificare il calcio italiano..

Gli anni ’50.. La guerra è finita.. La storia ha pisciato sui cadaveri del fascismo e la geografia ci ha inserito in Occidente (il Patto di Varsavia pagava meno, mentre il Mediterraneo - culla millenaria di odori, sapori, spezie e culture - non è stato nemmeno preso in considerazione..) E’ vero, nel paese c’è ancora tensione, i contadini occupano le terre ed il ministro dell’interno Scelba costituisce la famigerata celere.. Ma grazie alla valigia piena di dollari con cui De Gasperi torna dal suo viaggio americano siamo in pieno boom economico.. Boom baby boom.. Burn baby burn.. I ragazzi di vita pasoliniani dimenticano le miserie della guerra, magari venendo deportati (pardon, emigrando, eravamo sotto l’egida della Nato, non nel Patto di Varsavia) nelle fabbriche delle metropoli del nord.. Il Piano Marshall ricopre di dollari quella strana appendice geografica della cortina di ferro: e a farli fruttare al meglio, in pieno spirito individualista di impresa privata, sarà soprattutto quel nordest dove è cresciuto il piccolo Italo e nelle cui balere ha imparato a ballare il filuzzi.. Gli anni ’50.. Dagli stabilimenti di Mirafiori esce la Fiat 600, la prima auto famigliare per tutte le tasche.. la RAI inizia le trasmissioni.. Luchino Visconti abbandona il neorealismo, se mai lo ha fatto, e costruisce l’estetica del piacere rivoluzionario: la bellezza può essere un’arma per costruire un mondo migliore ci racconta, ma nessuno lo ascolta.. Il paese preferisce vivere tranquillo nell’ignoranza e sognare Pane, Amore e Fantasia e cullarsi con le melodie di Nilla Pizzi nei festival di Sanremo.. E’ un’Italia tutta tesa a dimenticare il passato e a costruirsi un opulento futuro, e quel simpatico guascone di Italo Allodi, che le cronache dell’epoca definiscono “bello come un attore” e chiamano “il playboy di Suzzara”, nonostante a giocare non sia proprio bravissimo capisce che, in quell’Italia in bianco e nero proiettata verso i colori della modernità, col calcio ci si può costruire una carriera, anche senza giocare.. col calcio si può cavalcare il miracolo economico, si possono fare i soldi, si può provare l’ebbrezza del potere..

EPISODIO II

MANTOVA: L’ORO NERO

Appena dismessa la maglia del Mantova, il bell’Italo chiede al suo allenatore e mentore Edmondo Fabbri di provarlo come vice, ma Fabbri glielo fa capire chiaro e tondo che non è il caso: “Non sei tagliato per fare l' allenatore, meglio se provi a lavorare in segreteria..” Niente da fare, il giovane Italo non ha sfondato come calciatore e non sfonderà nemmeno come tecnico.. Chiunque a questo punto si sarebbe arreso, avrebbe mandato tutto a puttane.. ma non lui, non quel dandy postrisorgimentale, sempre elegante e bello come un attore, che le ragazzine estasiate chiamavano Alan Ladd, in omaggio ad Alain Delon, e a cui il nome, Italo, gli imponeva di fare di Italia, non di stare a guardare mentre altri la facevano.. Come racconterà più tardi: “Mi sono sempre ispirato a una frase di Bernard Shaw: Solo gli imbecilli giustificano il successo dei migliori attribuendolo alla fortuna..” Italo Allodi esce allora dalla finestra del palcoscenico calcistico, né giocatore né allenatore, solo per rientrare prepotentemente dalla porta principale, quella della segreteria, un ruolo che fino ad allora non aveva alcun significato.. A Mantova, insieme a Fabbri in panchina, Italo Allodi costruisce l’epopea del Piccolo Brasile, come ebbe a chiamarlo un giornalista toscano fulminato dal gioco fluente e palla a terra di quella splendida provinciale.. Porta in riva al Mincio giocatori come Giagnoni, Bibolini, Martinelli, Cuoghi, Recagni, Giavara, Ravelli, Vaccari e Fantini.. E i virgiliani, in solo quattro anni, salgono dalla serie D alla serie A.. Il giovane segretario (che il ruolo di dirigente non era stato ancora pensato, o meglio, lui non lo aveva ancora ideato..) trova anche una sponsorizzazione, la raffineria locale Ozo, ed in suo onore modifica i colori sociali della squadra da biancazzurri a biancorossi.. Da allora il Mantova gioca con una splendida maglia bianca con diagonale rossa tipo River Plate.. I suoi primi passi come dirigente nel mondo del calcio fruttano al Mantova scalata in serie A e un lucrativo contratto di sponsorizzazione.. il giovane Allodi ci sa fare..

E’ il 1955.. La società Internazionale FC è appena stata rilevata da Angelo Moratti.. Un inizio come piazzista di prodotti petroliferi, Moratti ha l’intuizione di acquistare una raffineria texana, smontarla in pezzi, e ricostruirla ad Agusta, provincia di Siracusa, crocevia delle rotte mediterranee.. Poi vende la raffineria di Augusta alla multinazionale Esso e rileva per 100 milioni di lire la società nerazzurra: quell’investimento gli apre porte che fino ad allora non si sarebbe mai sognato di varcare.. Se per il potere da signoria medievale degli Agnelli il calcio è sempre stato il circensem da offrire ai propri servi della gleba, per il nuovo ricco meneghino il calcio è un grimaldello con cui forzare l’ingresso in società.. Sette anni dopo avere rilevato l’Inter, Moratti ottiene gli appoggi politici ed i permessi amministrativi per costruire il suo personale polo di raffinazione del petrolio a Sarroch, vicino a Cagliari.. (Esattamente trent’anni dopo, sempre nella depressa terra di mezzo padana, qualcun altro tenterà di acquistare l’Inter, la sua squadra del cuore, come biglietto da visita per entrare in società ed ottenere i vantaggiosi appalti della politica.. ma non ce la farà, e dovrà ripiegare sull’altra squadra cittadina, quella rossonera.. Ma questa, come direbbe qualcuno, è un’altra storia..) Dalle raffinerie dell’Ozo Mantova a quelle del Internazionale FC.. gli dei hanno lasciato sul percorso di Allodi una traccia di oro nero che il giovane Italo Allodi non si farà scappare..

I riferimenti a persone, luoghi, eventi, aziende, istituzioni esistenti sono da considerarsi esclusivamente occasioni narrative e vengono qui utilizzate solo in quanto repertorio di un immaginario condiviso..