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mercoledì 6 febbraio 2013

Un gol almeno a partita


Adriano Leite Ribeiro
La Serie A stagione 2004/2005 ha visto la Juventus di Fabio Capello Campione d'Italia e, dopo una lotta protrattasi per varie giornate, registrato la retrocessione del Bologna, del Brescia e dell'Atalanta.
Capocannoniere del torneo Cristiano Lucarelli. Il Lecce della coppia delle meraviglie Vucinic-Bojinov ha inspiegabilmente chiuso all'undicesimo posto nonostante i 73 gol subiti, appena dietro la Roma e le sorprendenti neopromosse Livorno e Messina.
Lo Scudetto della stagione 2004/2005 è lo Scudetto che a seguito della vicenda Calciopoli è stato revocato e mai assegnato.
Nonostante l'Inter di Roberto Mancini avesse a lungo stentato in avvio di stagione (una serie interminabile di pareggi), ricordo di aver avuto ad un certo momento precisa sensazione: era impossibile che Adriano Leite Ribeiro non segnasse almeno un gol a partita. Nella mia mente "un gol almeno a partita" era una formula matematica, un algoritmo preciso.
Un fisico impressionante, una corsa inarrestabile, piedi gentili e potenti. Colpo di testa e calci piazzati.
Il centravanti perfetto. Le chiacchiere stavano a zero. 

Vila Cruzeiro, Rio de Janeiro
Arrivato la stagione precedente nella sessione invernale del mercato dal Parma, dove aveva fatto coppia fissa - e che coppia - con Adrian Mutu, per formare, assieme a Vieri, Recoba - il miglior mancino di quella generazione - e Oba Oba Martins, l'attacco dell'Inter che voleva riconquistare lo Scudetto, Adriano era partito fortissimo, segnando a raffica contro chiunque si trovasse di fronte in Campionato e Champions League.
La stagione 2004/2005 rimane forse il picco più alto di una carriera che prometteva tantissimo e che ha, invece, lasciato poche briciole.

Nato a Vila Cruzeiro, Rio de Janeiro, e cresciuto nelle file del Flamengo Adriano viene acquistato dall'Inter nel 2001 da quasi sconosciuto e fatto debuttare nel pre-stagione al Trofeo Santiago Bernabeu (dove, peraltro, segna un gol magico su punizione allo scadere dei tempi regolamentari). Poi tanta panchina, complice la presenza in attacco di Vieri e Ronaldo. Quindi il prestito alla Fiorentina, a dicembre. A Firenze segna tanto e, al termine della stagione, viene ceduto in comproprietà al Parma, che dopo un anno ne rivenderà la metà appena acquistata ai nerazzurri a peso d'oro.

Anche nella stagione 2005/2006 Adriano fa bene, bloccandosi però nel girone di ritorno e portando l'Inter a proporgli un trasferimento in Brasile nella stagione successiva. Adriano rifiuterà e rimanendo all'Inter segnerà solamente 5 reti nel corso dell'intero campionato. A metà della stagione successiva (2006/2007), Roberto Mancini lo spingerà nuovamente verso il San Paolo, per ritrovare continuità e feeling con la porta. Lui parte e fa il suo dovere, marcando diversi gol e guadagnadosi la possibilità di ritornare a Milano.

Con la maglia dell'Inter
L'ultima stagione in nerazzurro si rivela però disastrosa.
Adriano è sregolato, fragile e perennemente fuori condizione. Il rapporto con Jose Mourinho per forza di cose non è dei migliori e le presenze da titolare diventano sempre più intermittenti.
La nostalgia del Brasile, la mancanza del papà, morto nel 2004, le feste (con tanto di foto mentre balla con ragazze quantomai allegre e dorme accanto ad un pacco di sale grosso) e soprattutto l'alcool logorano la punta di Rio. E l'esperienza italiana volge al termine, nonostante il tecnico di Setubal non abbia mai accarezzato con piacere l'idea di vederselo sfuggire.
Ad aprile la definitiva rottura con l'Internazionale: "Per ora smetto, ho perso la felicità di giocare. Non so ancora se starò per uno, due o tre mesi senza giocare. Ho intenzione di ripensare alla mia carriera".

Qualche mese dopo Adriano - nel frattempo diventato un giocatore del Flamengo - racconterà a r7 i retroscena della sua esperienza all'Inter:
All'Inter ero solo, triste e depresso. Ero felice solo quando bevevo: vino, whisky, vodka e birra, tanta birra. Mi svegliavo e non sapevo dove mi trovavo. O non dormivo, per paura di arrivare tardi ad Appiano Gentile. Ma non potevo allenarmi, così mi facevano andare a dormire in infermeria: ai giornalisti la dirigenza diceva che avevo dei problemi muscolari.
E ancora; 
Mi hanno messo a disposizione uno psicologo, mi seguivano 24 ore su 24. Facevo dei colloqui, parlavo dei miei problemi. Mi sono accorto che tanti degli amici che avevo attorno in realtà mi sfruttavano. Mourinho? Mi ha voluto fortemente, ma io ho ripreso a bere. Ero solo, senza il sostegno di cui avevo bisogno. La droga? Nella mia comunità ho tanti amici, alcuni sono spacciatori, altri sono poliziotti. Sono i miei amici, quelli con cui parlo, con cui gioco. Ma il mio problema era solo con l’alcol. Adesso riesco a bere una sola birra e il giorno dopo vado ad allenarmi tranquillamente. Corro ancora più forte.

Al Flamengo
Il 2009 è l'anno del riscatto. In Brasile Adriano è di nuovo sereno e riesce ad allontanarsi dai troppi eccessi.
Gioca da fenomeno (con 19 reti in 30 partite è capocannoniere del campionato) nelle file del Mengão che porta a casa uno storico Brasileirao a spese dell'Internacional di Alecsandro e del San Paolo di Washington.
La stagione successiva lo riporta in Italia. A giugno firma un triennale con la Roma.
Una scarsa condizione fisica e diversi acciacchi compromettono però tutto. In inverno arriva un infortunio alla spalla e qualche guaio in Brasile (rifiuta l'etilometro e gli viene ritirata la patente).
La Roma esce dal contratto nel mese di marzo. Bilancio in negativo: 8 presenze, 0 gol e la leggenda di una clausola anti-birra nel contratto.

Al Corinthians
Di nuovo Brasile. Questa volta al Corinthians dell'amico Ronaldo. Alla presentazione nessun tifoso ad accoglierlo e dopo appena un mese un infortunio al tendine di Achille che lo allontana dai campi per 5 mesi. Il riposo forzato però non fa per lui. Una sera si toglie il tutore impostogli dai medici e fa serata in discoteca. Beccato e paparazzato. Torna ai campi da gioco ma pesa uno sproposito: più di 100 chili. Le immagini degli allenamenti fanno il giro del mondo. Risate e malinconia.
Da ultimo, una nuova esperienza con il Flamengo e un nuovo addio al calcio.
Il ritorno a Milano e l'avvio di un programma di recupero psicofisico l'ultimo capitolo di una carriera stramba.

Nonostante eccessi e stravaganze, Adriano Leite Ribeiro ha vinto tantissimo. 4 Scudetti, 2 Coppe Italia, 2 Campionati brasiliani e, tra l'altro, una Coppa America (da grande protagonista).
Il campione fragile che per scelta o per necessità ha deciso di non essere campione. Mai bidone e sempre rammarico.
Un fisico che gli ha sempre permesso tutto e di più, in campo e fuori. Bolidi e tocchi sotto. Progressione e stacco. Rimango dell'idea che Adriano, durante l'intero corso della sua carriera, avrebbe potuto segnare un gol almeno a partita.

mercoledì 16 giugno 2010

Il sacro e il profano

Detesto Pelè. La sua voce sempre nel coro, la sua indole democristiana, la sua devozione alla FIFA. Parimenti, con in più tutto l'astio che nutro per i francofoni in generale, detesto Platini, il suo potere politico, il suo calcio patinato. Ho sempre amato visceralmente ed incondizionatamente Maradona, le sue polemiche contro il potere, i suo fanatismi, le sue isterie, le sue debolezze. D'altronde è come nella musica. O ami i Beatles o i Rolling Stones. O pendi dalle labbra di figuranti professionisti, oppure sei estasiato dal lungimirante virtuosismo elettrico di Hendrix. Così al calcio, per l'appunto. Parto da queste considerazioni per arrivare al punto. Il punto che arrovella i cervelli di tutti noi stolti, stupidi e ciechi appassionati del calcio capitolino. Adriano, per intenderci. Grasso, goffo, alcoolizzato. In una parola: SUBLIME.

Ripercorriamo. Stamattina sono uscito di buona lena; il lavoro mi affligge, tanto quanto l'afa tropicale che mi attendeva al varco. Ecco che, afferrata la mia vespa per le orecchie come ogni mattina, mi trovo di fronte l'orrida visione. Un poster delle dimensioni di un campo da tennis. Raffigura un "uomo" in mutande, pacco da capogiro, non un pelo uno, sopraciglia accattivanti alla Sharon Stone. La pubblicità del sequel di Zoolander? Nientaffatto. Cristiano Ronaldo. Deus ex machina del calcio targato 2010. Incerto sul da farsi, mi viene in mente - e qui vi giuro che smetto di divagare - la foto che ha fatto il giro del mondo negli ultimi giorni. Adriano che, in compagnia di un amico, si fa fotografare divertito con un bel mitra in mano. L'immagine mi procura una certa ilarità, ma certamente meno imbarazzo. Alcool per l'appunto. E poi donne, trans, feste, colori, favelas, San Paolo: questo evoca oggi Adriano. Lo stesso Adriano che qualche hanno fa era dipinto come il nuovo genio del calcio. Un ragazzone con un talento enorme ed un carattere un po' così. A Roma, si sa, l'equilibrio non è di casa. Ed allora un giorno aleggia uno scetticismo imperante, il giorno dopo si va tutti allo stadio a vedere la presentazione del nostro eroe.

FOLLIA PURA. Io mi schiero volentieri: vai Adriano, facci divertire. So bene i contro di un'operazione del genere: questo viene a Roma a divertirsi, spacca lo spogliatoio e vai col tango. Di contro, io accetto la sfida. Potevamo avere un bel Tiribocchi su cui puntare, un Pellissier che tanto va sempre in doppia cifra. Verissimo. Potremmo avere però uno che a calcio sa giocare. Cosa assai rara. Uno che a calcio sa giocare eccome, e per di più ha una lista così di limiti caratteriali e dubbi personali. Uno che piace a me insomma. PASSIONE SIGNORI… e che il pacco se lo tenga ben stretto nei pantaloncini!




Si prevedono lacrime di Borghetti in abbondanza, per un motivo o per un altro.

domenica 31 gennaio 2010

LIBERTADORES 2010

La Coppa Libertadores è la massima competizione sudamericana di calcio per club. E' l'equivalente della Champions League europea. Campione in carica è l'Estudiantes di La Plata. O, meglio, campione in carica è Juan Sebastian Veron. Vicecampioni i brasiliani del Cruzeiro. Da qualche giorno, la caccia agli uomini di Sabella è aperta.
 
Juan Sebastian Veron

Quanto alle argentine, oltre all'Estudiantes campione, ecco il Velez di Gareca ed il Banfield, squadre vincitrici, rispettivamente del clausura 2009 e dell'apertura 2009. Si aggiungono poi il Lanus, il Colon ed il Newell's Old Boys di Rolando Schiavi. Ferme al palo le nobili del calcio argentino: il Boca di Riquelme, il River Plate di Ortega e l'Indipendiente (la squadra che ha vinto più Libertadores, 7), oltre al San Lorenzo del Cholo Simeone. Le brasiliane, invece, più che squadre sembrano corrazzate. A partire dal Corinthians di Ronaldo e Roberto Carlos, per arrivare al Flamengo di Adriano e Wagner Love, quest'ultimo strappato ad un Palmeiras che recita il ruolo di grande escluso assieme al Gremio (semifinalista nell'edizione 2009). Nel mezzo un Internacional di Porto Alegre ancora avvelenato per il campionato sfumato all'ultima giornata l'anno scorso, un Cruzeiro vicecampione in carica e un San Paolo obbligato a pensare in grande.
 
Adriano

Tra le outsider, il solito Bolivar a guidare la fila delle boliviane. Blooming e Real Potosì a seguire con scarse ambizioni. Il solito fattore altitudine da sfruttare il più possibile. Una curiosità:il Real Potosì ricalca in tutto e per tutto il Real Madrid. Lo stemma è identico, con la differenza che all'interno è disegnato un gioco di triangoli, anziché le iniziali del club. In Cile, Colo Colo e Universidad de Chile sono intenzionate a riscattarsi dopo la magra figura della scorsa edizione. Le messicane sono cinque. Guadalajara e San Luis si aggiungono a Monterrey, Morelia ed Estudiantes Tecos a titolo di risarcimento per l'esclusione imposta la scorsa edizione (e dovuta all'epidemia di influenza A). Non pervenuto il Club America di Cabanas. Seguono le peruviane Alianza Lima, Juan Aurich (la squadra di Chiclayo) e Universitario - che gioca nel Monumental con i palchi gialli, vedi sotto - e le uruguayane Cerro (da non confondere con il paraguaiano Cerro Porteno) e Nacional, entrambe di Montevideo (la seconda, semifinalista l'anno scorso). Dall'Ecuador arrivano Emelec, Deportivo Cuenca e Deportivo Quito. Non il Barcelona di Guayaquil, che a differenza del Real Potosì ha lo stemma uguale a quello del Barca.
 
Estadio Monumental, Lima

Chiudono le colombiane, con l'Once Caldas di Manizales seriamente intenzionato a provare a ripetere il colpaccio del 2004 (quando vinse dopo aver eliminato Santos, San Paolo e Boca Juniors. Più che un'impresa, l'immagine di Juan Carlos Henao) e l'Indipendiente di Medellin. E le venezuelane Caracas, Deportivo Tachira e Deportivo Italia (la squadra degli emigranti italiani a Caracas). Dal 2 al 10 febbraio, il ritorno dei preliminari, col Cruzeiro che deve raddrizzare in casa un triste 1 a 1 in terra boliviana e i Newell's che rischiano grosso in casa dell'Emelec. Poi i gironi saranno completi. E gli stadi inferni.