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giovedì 13 febbraio 2014

Adel Taarabt, contro l'accelerazionismo




Gioca con lentezza, Adel Taarabt. Gioca con la palla, e per la palla. La prende, l'accarezza, la modella, la nasconde e poi la espone, la dona e la pretende. In quell'unico momento dilatato all'infinito che sono i novanta minuti della partita, come un artigiano la lavora per addizione e per sottrazione. La plasma. La crea muovendosi con lei nello spazio consentito dal campo, unica disciplina doverosa e possibile. La sua ubiquità sul prato verde, la sua insostenibile presenza in ogni zona del campo, non è fatta di corsa, di atletismo, è un movimento lento di costante seduzione della palla.


In un'epoca di tardo capitalismo calcistico in cui l'eccellenza sublime è rappresentata dal fisico di Cristiano Ronaldo, impressionante il suo corpo inorganico trasformato dalle macchine, dall'esile ragazzino che ieri solleva pesi per trovare equilibrio alla mostruosità tecnocratica della sproporzione muscolare dell'oggi, quella di Taarabt è una resistenza affettiva. Non rifiuta il moderno e i suoi colori. Non ricorda né rimpiange i bei tempi mai esistiti. Non propone nemmeno un ritorno al futuro incrostato di nostalgie kitsch e goffi pastiche postmoderni. Taarabt oppone i ritmi interiori di un corpo ancora umano all'accelerazionismo e alla velocità della transizione cibernetica.


Cristiano Ronaldo è accelerazione: movimento del falso in divenire, la sua massa muscolare è la cicatrice bionica conficcata nella gola dell'uomo contemporaneo. Messi è velocità: sublimazione della perfezione tecnica, prodotto seriale incapace di esistere al di fuori della confezione in cui è venduto. Nè Ronaldo né Messi, né uomo bionico né prodotto di nanotecnologie, Taarabt rifiuta di sacrificare il proprio corpo alla tecnica scegliendo di restare umano. Il suo fisico normale di atleta, in peso e altezza, i precetti islamici imposti dal padre immigrato in Provenza che proibiscono alcool e fumo quale unica disciplina imposta, sono laica resistenza alla teleologia della macchina.


Le sue migliori stagioni al Qpr, con Neil Warnock, in una squadra che giocava prevalentemente in transizione, movimento collettivo che coglie l'essenza del gioco: possesso palla al servizio del contropiede. Lui ne è il fulcro di quel gioco. A lui la palla va e da lui riparte, da lui sosta il tempo necessario per rompere gli equilibri e creare superiorità numerica. Contro Ronaldo e contro Messi, Taarabt è il numero dieci classico eterno, antico e moderno: parte da destra per effettuare il passaggio, parte da sinistra per rientrare al tiro, giostra nel mezzo disegnando arabeschi che aprono il gioco e danno il via alle danze.


I primi anni di vita li passa tirando calci al pallone nelle strade della Medina di Fes-al-Bali, una della più grande aree al mondo dove non possono passare le macchine. Dove la tecnica è costretta a servire e non potendo dominare si arrende alla lentezza della passeggiata. Il cammino come libertà dell'essere umano dal lavoro, rifiuto dell'impazienza, esilio della fretta. In quella placida, sonnolente e polverosa Medina, negli spazi aperti delle immense piazze Taarabt affina la visione periferica dell'assist. Nei lunghi vicoli bui e stretti acquisisce la razionalità del dribbling. Il paragone con Zidane è doveroso.


Dopo essere cresciuto sull'altra sponda del Mediterraneo, si trasferisce a Londra dove i mercanti del tempio vendono utili libertà preconfezionate. L'impatto al Tottenham è duro. Reticente a ogni ritorno al fordismo e insolente a ogni adattamento al due punto zero, rifiuta l'occasione e si dedica allo studio degli antichi testi di Adan Zzywwurath. Quando è pronto lo hanno retrocesso in Championship, al QPR. Lo prende in mano e lo riporta in alto. A passo d'uomo, con lentezza, ricordando che a Fes-al-Bali non c'erano macchine e quindi rifiutando velocità e accelerazione, Taarabt si fa idolo e profeta nell'isola del turbo capitalismo. Ma essendo umano non ne regge il peso. Conosce la sconfitta e la abbraccia.


Sottraendosi al lavoro si spoglia di titoli e onorificenze imperiali. Per restare umano smette di giocare e si rifugia nuovamente nella lettura. E' nei laici testi sacri della sapienza cinese che comprende la verità del paradosso, se la velocità lo insegue accelerando non potrà mai superare la sua lentezza. Dopo essersi chiesto che fare, è finalmente pronto a guidare la rivoluzione. Lo chiama il Milan, lui si volta verso il meridione e la circostanza appare favorevole: grande è la confusione sotto il cielo di Milano e la situazione è pertanto eccellente. Taarabt, il calciatore che gioca con lentezza per combattere il turbocapitalismo, è pronto a guidare la lunga marcia della rivoluzione rossonera.