Do you want to know what a hipster in Glasgow talks about?
The hipsters in Glasgow stay up until all hours discussing Biblical matters. that is how they greet the dawn in spring. But they still get up four hours later to see how their private world is affected by commerce and necessity.
Quello fu il primo anno in cui frequentai con assiduità il negozio di dischi usati a piazza Mancini e l'ultimo in cui andai - poche centinaia di metri oltre il fiume - allo stadio con mio padre (conservo ancora i biglietti di carta). Il primo in cui iniziai a leggere con frequenza i libri che volevo (Brizzi, Ammanniti, Bukowski) e l'ultimo in cui frequentai le discoteche del centro aperte il sabato pomeriggio. Il 1997 è stato un anno di dubbi interiori e crocevia esistenziali.
Prendevo il 910 e scendevo al capolinea. Con trenta o quarantamila lire recuperate dai nonni al sicuro nella tasca aderente del jeans pariolo - probabilmente un Cou cou, una marca che vendeva solo Fauro street, ma che il baffo di piazza Gastaldi faceva pagar meno - entravo nel negozio e iniziavo, con timidezza, a spulciare tra le copertine. Erano infilate in schedari rossi di finta-pelle, disposte in rigoroso ordine alfabetico. Non parlavo quasi mai con il barbuto proprietario perchè m'intimoriva, così come durante gli anni delle medie m'intimoriva quel piacione del proprietario di Città 2000, che però vendeva solo dischi nuovi, e di merda (lo odiavo, quello stronzo con le basettone e ho goduto quando è fallito). All'epoca il negozio era grande e c'era un buon ricambio di cd. Certo, non era come Disfunzioni Musicali, ma tanto lo spazio di San Lorenzo aveva chiuso e io non potevo più provare l'ebbrezza di tornare in tram accarezzando Catartica. Prima di andare mi preparavo a casa con il mio raccoglitore verde in cui conservavo i ritagli di Musica!, l'inserto di Repubblica che per me ha rappresentato una specie di Bibbia. Poi c'era il video beccato per caso nella programmazione di MTV o Videomusic, ma bisognava essere fortunati ed aver appuntato il nome del gruppo su un pezzo di carta prima che partisse quello successivo. Essere indie non era come oggi, era un lavoro a tempo pieno. Te la dovevi guadagnare la tua nicchia. Nel negozio, mettevo da parte le schede che m'interessavano, formavo una pila traballante, e alla fine ne sceglievo una. Una e una soltanto. Di più non potevo permettermi. Quello era il momento fondamentale: per un mese avrei ascoltato solo quel disco. Se sbagliavo, erano cazzi.
Anche se uno tra Cafu, Zago, Aldair e Candela sbagliava il fuorigioco erano cazzi. Prendevamo gol due volte su tre (la terza corrispondeva a un miracolo di Konsel). Con l'Inter, in casa, successe così. Due volte un tappeto rosso per Ronaldo e due volte a maledire Zeman con mio padre. La croce sulla nostra stagione (paradosso volle che l'ultima partita vista allo stadio con lui - mio padre - fu proprio il Roma-Inter dell'anno successivo, e quei cinque gol presi tipo giostra impazzita ancora amareggiano i nostri sguardi quando parliamo del boemo). Però quell'anno c'eravamo anche divertiti. Mi piaceva molto andare allo stadio con lui, erano le propaggini della bella relazione avuta quando ero piccolo, quando a settembre mi portava a mangiare la pizza o il gelato in Prati e mi parlava come se fossi un uomo. Un pomeriggio di sole di quasi primavera avevamo fatto tappa al bar di un suo amico al Flaminio per mangiare un tramezzino, poi avevamo passeggiato fino allo stadio per vedere i nostri asfaltare con quattro gol l'insidiosa Fiorentina di Malesani. Quel giorno Zeman non sbagliò nulla. La giornata perfetta.
Il disco perfetto fu If you're feeling sinister. Fu il primo che comprai dei Belle & Sebastian. Forse ne avevo letto su Musica!, forse neanche quello, soprattutto mi conquistò la fotografia rossa in copertina. Più che altro fu un rendez-vous duchampiano. Io non sapevo quasi nulla di loro, eppure sapevo che mi sarebbero piaciuti. Di più: sapevo che sarebbero entrati nella mia vita. Di più: sapevo che avrei trovato le mie giornate nelle loro canzoni. Per anni sono stati i miei mentori. Tante volte nella vita - per i viaggi, i dischi e le amicizie, non ultimi gli innamoramenti - mi sono fidato di questo istinto quasi animale, quasi esoterico; colto il dettaglio, il messaggio in codice, il quadro si sarebbe svelato. The stars of track and field fu una rivelazione. Allora era vero, un'altra musica era possibile; un'altra vita pure. Si poteva anche essere diversi dagli altri; ci si poteva limitare a sussurrare; come prima conseguenza decisi di non comprarmi le orride scarpe Oxs. Naif era la parola che mi girava per la testa. E pesce fuor d'acqua. Il pomeriggio, dopo le versioni, dopo il calcetto, dopo i troppi rovesci mandati in rete, invece di andare in qualche punto di ritrovo adolescenzial-pariolo, facevo partire lo stereo e, sdraiato sul letto, fingevo di essere un hipster di Glasgow (avrei letto quella parola solo qualche anno dopo, nelle note del libretto di Fold Your Hands Child, You Walk Like A Peasant), non mi vergognavo di accompagnare con la voce la melodia di fox in the snow, di pensare a una ragazza dell'altra sezione in termini di I will love you over e di sperare che qualcuno mi portasse via da quel quartiere di cretini perchè altrimenti sarei morto.
Said the hero in the story
"It is mightier than swords
I could kill you sure
But I could only make you cry with these words"
Dissi basta alle sigarette fumate per finta al Gilda nel tentativo di impressionare chissà quale scema (primi sintomi di misoginia) e diedi fondo alla vita. Che poi uno pensa che vivere in un quartiere centrale di una grande città sia meglio di vivere in un paese abbandonato nell'entroterra ed invece a quattordici anni non c'è differenza, ci sono i dischi giusti, se li riesci a recuperare. Belle & Sebastian mi hanno accompagnato per tanti anni. Una volta andai anche a vederli con mio padre. Ci sedemmo sugli spalti del Centrale del Tennis. Lui non se la sentiva di stare in piedi. Questa cosa lì per lì mi dispiacque ma poi capii che aveva un senso. Seduta dietro di noi c'era Victoria Cabello con un misterioso amico. All'epoca - sarà stata una decina di anni fa - ero molto innamorato delle sue lentiggini. Provai a farglielo capire in tutti i modi ma non ci fu verso di comunicare. Non mi sono goduto per niente il concerto, però. Ora quasi quasi neanche so se esistono ancora, i Belle & Sebastian, eppure so che esisto io nelle loro vecchie canzoni.
Intabarrato nel loden blu che tanto mi rendeva felice mio padre mi lasciò sotto casa del mio amico dietro Ponte Milvio. Avevo comprato le crocchette al bar Euclide e le mangiammo nel tragitto a piedi. Anche lui sfoggiava un loden - verde però. Era la prima volta in curva e la prima volta allo stadio insieme a lui. Era la prima volta che parlavamo sul serio. Ci conoscevamo da una vita ma solo sulla carta; ci eravamo incontrati veramente solo qualche mese prima nella nuova scuola. Lui era due o tre mondi avanti a me e la soddisfazione di stare insieme quel giorno - di condividere quell'esperienza - era pari solo alla sorpresa di entrare nel mondo incantato degli scozzesi. L'Empoli aveva una difesa orribile e Balbo riuscì a sbagliare i gol più semplici. Ciò non diminuì il mio buon umore. Poi uno lo mise dentro e loro rimasero in dieci. A fine primo tempo conobbi due altri suoi amici che erano allo stadio con noi, uno ha da poco avuto un figlio che ha chiamato come me. Nel secondo tempo successe di tutto, anche che Cappellini ci fece paura con una doppietta spettacolare. Però entrò Omari Tetradze. Fu lui a risolvere la pratica con un guizzo inaspettato sulla fascia, concluso poi in rete da Balbo. "Tetradze, ti amo e ti ho sempre amato dai tempi del campionato russo", gridò il mio amico dopo il gol. Ero dove volevo essere. Qualche settimana dopo sempre lui organizzò una festa in giacca e cravatta al Fleming. Ci finii più per serendipity che per invito. Chiesi a mio padre di prestarmi un vestito; non volle. I pantaloni grigi ce li hai, al massimo ti presto una giacca sportiva, mi disse. E vada per la giacca sportiva. Una giacca a righe bianche e azzurre, coi bottoni d'oro. E che cazzo. Neanche il Grande Gatsby. Non avevo alternative e avevo troppa voglia di andare. Era dove dovevo essere. In ascensore mi ritrovai con due amici del tennis, più grandi, che mi chiesero se ero andato lì per fare il cameriere. Odiai mio padre ma in fondo sapevo che aveva ragione lui (però come entrai nell'appartemento mi tolsi la giacca e finsi di avere caldo tutta la sera). Oggi ne ho due di giacche così e non ho più paura di fare il dandy, anche in ufficio. Se If you're feeling sinister avesse avuto una traccia fantasma, probabilmente avrebbe parlato di me, della mia giacca a righe, delle ultime partite con mio padre, di imparare a essere quello che si è.
Judy, where did you go wrong?
You used to make me smile when I was down
Judy was a teenage rebel