Un
pomeriggio di maggio torno in treno da Padova, dove ho presentato il libro sull’Europa Calcistica su e giù per
il Brenta, e neanche arrivati in zona Finzi-Contini mi sono già innamorato di
una ragazza dall’aria trasognata seduta dall’altro lato del vagone. Fermi in
stazione a Bologna approfitto della prematura dipartita della sua vicina per
sedermi, con uno stratagemma affinato negli anni, al suo fianco. Ascolto i
Beach House, vedo l’Appennino scorrere sfocato dietro al finestrino, sento la
sua presenza delicata e mi dico che almeno, questo viaggio, prima di scolorire
nei toni nostalgici del futuro mai vissuto, mi ha regalato qualche istante di
felicità.
I
capelli biondo cenere le svengono svogliatamente sulle spalle. Il broncetto malinconico
mi fa pensare a Julie Delpy. Ha caviglie sottili prerivoluzionarie e nike basse
color melograno. Alena è di Mosca ma sembra francese, forse perché il suo
lavoro è convincere i russi a fare le vacanze in Francia. L’estate prossima,
con gli Europei, avrai un sacco da fare, le dico. Mi guarda come se pensasse:
ma che ne so, può essere. Poi mi sorride.
I suoi cambi d’espressione non
invitano alla logica.
Passata Firenze mi racconta che viene da Venezia, dov’è
andata a vedere la Biennale. Da sola. Adora l’arte contemporanea. Ora però se
mi sembra disperata è perché disperata lo è davvero. Per colpa di un vaporetto
ha perso l’aereo e sta cercando disperatamente di raggiungere il suo volo delle
nove a Fiumicino. In treno. Un treno che arriva a Termini alle otto. Non ce la
farai mai, le dico, ringraziando la mia buona stella. Ma comunque ti aiuterò,
aggiungo. E così faccio, nella desolazione serale della stazione Termini. Dal
finestrino del Leonardo Express mi saluta con la mano e mi assicura che non dimenticherà
mai quello che ho fatto per lei. Anche io non ti dimenticherò, non le rispondo.
Tornando
a casa penso che non la vedrò mai più. Così come non vedrò mai più un gol
malinconico come quello di Alenitchev che vidi insieme a mio padre e a Federico
Olivo al Penzo di Venezia. Era una domenica di quindici anni fa e quel russo
segnò un gol stupendo in una partita inutile, e viceversa. Questi russi,
stupendi e inutili, penso. Come Alenitchev.
Alle
cinque mi sveglia un suo messaggio sul telefono. Sono arrivata a Mosca e lo devo
solo a te. Ci scriviamo mail deliziose per due mesi. In francese. Un casino. A
metà luglio, alla Alenitchev, provo un dribbling da ultimo uomo: ti va di
andare insieme al mare? Dove vuoi tu, purchè non sia nero, mi fa lei. Dove vuoi
tu, purchè sia la prima volta per entrambi, faccio io. La settimana dopo
passeggiamo tutta la sera per le vie profumate di buganvilla di Cagliari. Come
in Prima dell’alba, non smettiamo mai
di parlare. Per tre giorni, ahimé, non smettiamo mai di parlare. Allora
litighiamo, le faccio una scenata, la chiamo Murmansk, come le fredde
scogliere, prendo la macchina e guido da solo a fari spenti fino alle dune di
Piscinas. Un cervo mi taglia la strada e rischio di schiantarmi tra le rovine
delle miniere. Decido che non tornerò più a Cagliari ma mi farò ospitare per la
notte ad Arbus da un amico. Alle cinque Alena mi manda un messaggio. Mi manchi.
Dopo due ore, con la macchina piena di sabbia, sono di nuovo sotto casa sua. La
sera non smettiamo di parlare, passeggiando a piedi scalzi al Poetto. Murmansk
sembra così lontana. Rientriamo in macchina. Altra sabbia. Torniamo nella città
vecchia. L’accompagno davanti casa. Lei sfodera un altro di quei mezzi sorrisi
incomprensibili ma non mi invita a entrare nel suo freddo airbnb. Il giorno
dopo mi sveglio presto e passo la mattina sul terrazzo a guardare i
fenicotteri. Non la voglio più vedere. Questi russi, stupendi e inutili, penso.
Come Alena.
Vuoto
di tre mesi. Dieci giorni fa sono sullo stesso treno che collega Roma al civile
Veneto, ma in direzione opposta. Vado a Venezia. A vedere la Biennale. Da solo.
Alzo lo sguardo dal giornale e mi accorgo che dall’altro lato del vagone c’è
una ragazza che legge un libro. Riesco solo a decifrare i caratteri sulla
copertina. È cirillico. Alzo il volume dei Beach House e prego Dio che l’arte
contemporanea le faccia schifo…
* * *
Questo racconto è il primo di una lunga serie di presentazioni dei paesi che disputeranno l'Europeo in Francia l'estate prossima. Ma non li troverete qui, o almeno non sempre: sono racconti che nascono parlati, perchè nascono per e sulle frequenze della milanese Radio Popolare, in una rubrica immaginata e ospitata da Dario Falcini nel suo programma bellissimo del lunedì mattina, Olio di Canfora. La puntata sulla Russia è andata in onda il 9 novembre, e la potete ascoltare qui (al minuto 20).