I cannot come back to this neighbourhood
without feeling my own age
I walk past these houses where we once stood
I see past lives but somehow you're still here
without feeling my own age
I walk past these houses where we once stood
I see past lives but somehow you're still here
Qualcuno ricorderà una serie di memorie ossidate, scolorite che, un po' di tempo fa, dedicai alla Spagna calcistica, nel tentativo di raccontare - attraverso esperienze reali o che nel momento in cui le scrivevo mi sembravano tali - in che modo quei luoghi, e il ritorno (reale o immaginato) in quei luoghi a cui sono così legato, hanno influito sulla mia formazione, sulla mia maniera di intendere il calcio, sul mio rapporto con gli abitanti di un altro paese (#1, #2, #3, #4). Credo sia la mia "serie" più longeva, considerando anche le tante altre occasioni in cui ho provato a parlare di calcio muovendomi sul crinale (della camera da letto) della nostalgia, del viaggio e dell'autobiografia.
Quando Alberto Facchinetti mi ha chiesto, ormai un anno fa, di dirigere una collana della sua neonata e felice iniziativa editoriale In Contropiede, è stato dunque naturale, per me, proporgli, come prima uscita della collana, un libro che riprendesse, espandendolo (nel senso letterale, e quindi geografico, del termine), questo approccio - esistenziale più che estetico - alla scrittura calcistica. Ho dunque chiesto a una serie di autori più o meno coetanei di raccontare - sulla falsariga di quanto avevo provato a fare con la Spagna - ciascuno un paese europeo, filtrando soltanto i ricordi - nel senso molto vasto che ho ricordato prima - legati al calcio. Ne é uscito un libro che, la prima volta che l'ho letto tutto di fila, mi ha fatto emozionare. Un libro che, evidentemente, non poteva che chiamarsi "Memorie dell'Europa calcistica".
Non mi dilungo a presentare il libro, perchè di seguito, d'accordo con Alberto, ho pensato di pubblicarne la prefazione, sperando che serva a illustrare ancora meglio - quanto basta a far incuriosire senza appagare la curiosità - il senso, lo spirito, il contenuto di "Memorie dell'Europa calcistica". Voglio invece ricordare chi sono gli autori (mi viene da dire "gli amici": le due categorie su questo blog sono sempre sovrapponibili) che sono stati così gentili a seguirmi, e con entusiasmo, in questo progetto. Molti di loro non sono nuovi in questo bar: c'è Lorenzo Toppini, che Lacrime di Borghetti l'ha fondato; c'è Tommaso Giancarli, che praticamente è con noi sin dall'inizio; ci sono Gian Mario Bachetti e Andrea Romano, che qui hanno versato delle gran lacrime (e Andrea ha scritto anche un libro molto bello); c'è l'autore del - per me - più bel libro di calcio pubblicato in Italia negli ultimi anni, Fabrizio Gabrielli. E poi ci sono dei volti nuovi, nuovi su LB dico, ma non in assoluto: due giornalisti - e due miei miti personali - come Luigi De Biase e Francesco Olivo, rispettivamente il mio russologo e il mio romanistologo (e qua dovrei linkare tutte le chiacchiere sotto la Curva Sud) di riferimento, che hanno una prosa travolgente; e una ragazza inclassificabile, sorprendente come Marica Benini, pura Wunderkammer, forse la ragione per cui mi sono iscritto su twitter (per seguirla, dico). A completare la squadra, il mio amico Raymond Antonin (di più non posso svelare) e, vanitas vanitatum, il sottoscritto.
Li ringrazio tutti, questi santi, uno per uno, così come ringrazio quel fratello che per me è diventato Ricardo Cavolo, che - dopo quella di Mourinho - mi ha regalato un'altra copertina meravigliosa, così come ringrazio Alberto e Nicola della casa editrice, con la speranza che il vento (delle vendite; a proposito, il libro si può comprare sul sito di In Contropiede, nonché su Amazon, e poi alle presentazioni che organizzeremo in tutta l'Italia, almeno quella già Stato Pontificio) ci assista e ci permetta di immaginare e realizzare altri libri, così come ringrazio tutti i lettori, commentatori, futuri autori e in definitiva amici - di questo si tratta - del blog, che in qualsiasi modo leggeranno questo libro, perchè, è quasi superfluo ricordarlo, questo libro non è una monade, ma si inserisce - come risata in una conversazione, come break in un set - in questa scena amatoriale e disincantata, nostalgica e velleitaria, spesso controcorrente ma mai elitaria, di amanti del calcio e della letteratura che, tutti insieme, stiamo costruendo, con tanto amore, una riga alla volta.
* * *
PREFAZIONE
(NOSTALGIA DI FUNCHAL)
Mi capita spesso,
negli ultimi tempi, di svegliarmi la mattina provando una forte nostalgia di
Funchal. Delle crepe sulla parete della mia stanza a due passi dal mare. Dei
giorni trascorsi perdendomi nei vicoli della città vecchia. Della vegetazione
rigogliosa dell’isola. Degli anziani che mi raccontano con accento inglese
delle gesta del Nacional de Madeira. Dei ragazzini che giocano a calcio nei
campi improvvisati tra le case coloniali.
Partendo da questa
nostalgia, da questa Fernweh, che,
tante mattine, mi spinge a non alzarmi dal letto, ho invitato gli autori di
questo libro – tra cui me stesso – a ripercorrere, senza avere paura del dolore
che genera l’incontro con la perdita, le tracce d’acquarello lasciate dai ricordi
di un’esperienza vissuta in un paese europeo.
Come fil rouge, però, non ho chiesto agli
autori di condividere una forma, né di rispettare i confini tra diaristica e
finzione, ma ho soltanto suggerito una prospettiva, quella di filtrare tra i
propri ricordi solo quelli intrisi di calcio, sul presupposto che il calcio non
è un aspetto isolato della vita, ma la vita stessa, osservata da una posizione
privilegiata.
Ecco allora che,
nelle pagine che seguono, il pallone rotola su volti evaporati, luoghi difficili
da pronunciare, incontri consumati, seguendo cammini reali e letterari nei
quali non conta la meta, ma solo quello che si vede durante il tragitto: bistrot di
periferia, gonne color pastello, spogliatoi per bambini, piazze innevate,
friggitorie, toppe sulle giacche jeans, argentini che non passano mai il
pallone, musei degli arazzi, copriscarpe in polietilene, cappellini da
baseball.
Ogni viaggio ci
lascia una storia, figuriamoci i paesi in cui abbiamo abitato. Eppure, a
guardar bene, dire di aver abitato in un paese straniero è solo un’illusione. I
paesi stranieri non si lasciano abitare. I paesi stranieri, passati al setaccio
dei ricordi, sono solo un inventario sconnesso di nomi segnati a penna su un
tovagliolo, facce incrociate sul metrò, storie ascoltate al bancone del pub,
insegne luminose, strade notturne, parchi silenziosi. I paesi stranieri sono luci
di flash che svaniscono all’istante, polaroid sbiadite, occasioni mancate per
un soffio, pali-gol. Tra noi e loro c’è una distanza che non potremo mai
colmare, e non importa quanti giorni, quanti mesi, quanti anni ci hanno
ospitato. Questa distanza è la nostalgia non per quello che abbiamo vissuto, ma
per quello che non abbiamo vissuto.
La nostalgia del
futuro.
Altra cosa è dire
che da ogni paese straniero si riportano a casa due cose: vestiti sporchi e
regali. Passati gli anni, lavati i vestiti, scartati i regali, di quei giorni
ci rimangono solo abbandoni, perdite, reminiscenze, fantasmi. La fortuna è che
possiamo scriverne.
L’eco del pallone
che rimbalza tra le storie raccontate in questo libro segue una melodia comune,
a metà tra l’euforia e la malinconia, e spesso tutte e due le cose insieme,
come nelle canzoni dei Daft Punk che vedevamo passare in televisione in
sottofondo alla versione di latino. Non deve sorprendere. Tutti gli autori sono
nati – molti all’inizio, qualcuno in mezzo, pochi (beati loro) alla fine –
nella decade dorata degli anni Ottanta. Siamo una generazione che ha condiviso
l’apertura a una serie di mondi (per
quanto qui interessa, mi limito a pensare alle televisioni commerciali per il
calcio, agli Erasmus e ai voli low-cost per l’Europa) che – senza andare troppo
indietro - i nostri fratelli più grandi hanno fatto in tempo solo a
rimpiangere. Svanita l’euforia adolescente, ci addentriamo ora in un’età
malinconica, quella di mezzo, in cui non è più lecito, ma anzi è addirittura
truculento, provare euforia per il futuro, perché i nostri futuri sono già
arrivati e non assomigliano a quelli che immaginavamo. Per consolarci, possiamo
solo guardare indietro, aggrappandoci alle esperienze passate.
Questo non è un
male. Anzi.
Il
protagonista di uno dei racconti di questa raccolta, a un certo punto, citando
Fontanarrosa, afferma che “l’unico calcio che vale è quello
che uno conserva nei ricordi”.
Anche io ho sempre
pensato che l’essenza del calcio sia fondamentalmente nostalgica, nella sua
declinazione fantasmatica - pura football
hauntology - di nostalgia del futuro. Sono passati più di vent’anni da
quando Paulo Sergio faceva entrare nel nostro immaginario collettivo un
controllo di palla, un campionato straniero, una maniera di pronunciare il nome
del marcatore, eppure quel goal è qui con noi, come il pigiama che indossavamo
cenando davanti al televisore il venerdì sera. Viviamo il paradosso e la
contraddizione che il calcio che abbiamo vissuto non esiste più, eppure
persiste nella nostra memoria come se fosse reale, e spesso anticipa -
mischiandosi con episodi che non abbiamo vissuto, o che abbiamo deformato, o
che non sono mai avvenuti – il calcio che vivremo. La vita che vivremo.
Ecco perché mi
capita spesso, negli ultimi tempi, di svegliarmi la mattina provando una forte
nostalgia di Funchal.
Perchè io, a
Funchal, non ci sono (ancora) mai stato.
Un giorno arriva da me Dionigi e mi fa: senti voglio fare questa cosa, ci stai? Con Dionigi è così.. ha mille idee al giorno, ti riempie la testa, ti intontisce. Una ti puoi sfilare.. Due ti puoi sfilare. Poi però cedi. Trova sempre, non so come, il modo di trasmetterti il suo entusiasmo. Ci sta, gli ho risposto. E lì mi aveva già fregato, manco il Paese che volevo mi ha dato. Ha pure aggiunto che doveva avere, il racconto, un taglio personale. Per me è stato quasi una violenza. Perché mai avevo scritto di me. Mai, forse, ho pensato di me. Poco importa.
RispondiEliminaQuando mi ha inviato il libro finito è stata un’emozione. Ne è venuta fuori una cosa che stupisce.
a me - tra le tante cose - emoziona che il libro finisca, per pura causalità, con una tua frase che lo racchiude tutto.
Eliminati sono grato per aver scritto a penna, anche le cose che non avresti voluto raccontare. e comunque l'estate sempre meglio rimini.
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