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Walter Junior Casagrande |
Sono nato ad Ascoli Piceno, l’8
febbraio del 1990. Nella primavera del 1998 andai per la prima volta allo
stadio. L’Ascoli giocava in quella che ancora si chiamava C1 e i gironi erano
divisi tra le squadre del nord e quelle del sud. In quell’Ascoli la maglia
numero 10 era indossata con eleganza da Mario Massimo Caruso, e credo che
quello sia stato il primo calcatore di cui mi sono innamorato. Quando andavo
allo stadio mio padre mi teneva per mano e quando gli dicevo che secondo me
Caruso era “il giocatore più forte tutti”, lui non tirava in ballo Van Basten,
Maradona o Gullit:
“Perché te non hai mai visto giocare Walter Junior Casagrande”.
“Perché te non hai mai visto giocare Walter Junior Casagrande”.
Walter Junior Casagrande io lo
vedevo attraverso i racconti di mio padre, perché ancora non c’era You Tube. Vedevo
le sue incredibili giocate, l’infortunio che per un periodo a me imprecisato,
lo sottrasse al campo di calcio, il suo ritorno e quelle punizioni imparabili
che in quelle storie che stavo ad ascoltare avidamente permisero all’Ascoli di
salvarsi. Era tutto immerso in una nebbia pre-storica, come l’Iliade, un tempo
indecifrato, con personaggi tratteggiati con segni imprecisi. Ogni volta che mi
parlava di quelle partite Casagrande me lo immaginavo proprio come Achille, con
i capelli lunghi, lo sguardo segnato da tante battaglie, le gambe lunghe e
fragili, l’eroe che solo tornando a mettere un piede in campo riusciva a dare
coraggio ai compagni.
Quando sono cresciuto ho scoperto tante altre cose riguardo Casagrande. Ho scoperto che era nato calcisticamente in quel capolavoro di democrazia che fu il Corinthians di Socrates, quella squadra in cui ogni decisione veniva presa per alzata di mano, in cui calciatori e membri dello staff tecnico contavano tutti nello stesso modo, ogni testa un voto; quella squadra che quando Casagrande chiese di poter tornare in anticipo da una tournée lontana dal Brasile, perché proprio nei giorni prima della partenza aveva conosciuto una ragazza bellissima e voleva rivederla al più presto, gli permise di abbandonare il ritiro e di andare dalla sua amata. Ho scoperto che Casagrande dopo la parentesi nelle Marche, venne acquistato dal Torino, e lo trascinò in finale di Coppa UEFA, quando i granata persero con l’Ajax pareggiando 2 a 2 all’andata e zero a zero al ritorno, colpendo tre legni, quando Mondonico al cielo di Amsterdam non sollevò la coppa, ma una sedia.
Quando sono cresciuto ho scoperto tante altre cose riguardo Casagrande. Ho scoperto che era nato calcisticamente in quel capolavoro di democrazia che fu il Corinthians di Socrates, quella squadra in cui ogni decisione veniva presa per alzata di mano, in cui calciatori e membri dello staff tecnico contavano tutti nello stesso modo, ogni testa un voto; quella squadra che quando Casagrande chiese di poter tornare in anticipo da una tournée lontana dal Brasile, perché proprio nei giorni prima della partenza aveva conosciuto una ragazza bellissima e voleva rivederla al più presto, gli permise di abbandonare il ritiro e di andare dalla sua amata. Ho scoperto che Casagrande dopo la parentesi nelle Marche, venne acquistato dal Torino, e lo trascinò in finale di Coppa UEFA, quando i granata persero con l’Ajax pareggiando 2 a 2 all’andata e zero a zero al ritorno, colpendo tre legni, quando Mondonico al cielo di Amsterdam non sollevò la coppa, ma una sedia.
Di Casagrande ho scoperto anche il lato più cupo, quello che mio padre non mi aveva mai raccontato, perché ogni Achille, per sentirsi vivo, ha bisogno di un tallone. Casagrande nel 1982, Quel Millenovecentottantadue, non prese parte ai mondiali in Spagna, Quei Mondiali in Spagna, perché, diciannovenne, venne trovato in macchina con della cocaina. Casagrande si sentiva tremendamente vuoto, forse perché dopo aver sfiorato il tetto d’Europa, la finale di Champions vinta dal Porto, ma vista dalla tribuna perché infortunato, era finito a lottare per la permanenza in Serie A, e quel vuoto aveva cercato di riempirlo con l’eroina. Viveva nel mito di Jimi Hendrix e di Jim Morrison e anche lui, come tanti altri, era convinto di quanto fosse meglio correre al massimo per poco tempo, condurre una vita da centometrista, piuttosto che appoggiarsi a un’esistenza da lento maratoneta. Quando Casagrande smise di giocare il vortice dell’eroina lo inglobò ancora di più.
Casagrande ha visto due volte la morte in faccia, prima un malore davanti alla sede di Rete Globo, poi un incidente stradale.
Casagrande, però, ora sta bene.
Vabbè, Casagrande. Qui si parla dei grandi amori della vita. Non si può dire altro.
RispondiEliminaRoba fisica, roba da magone grosso quando ho letto che era in fin di vita.
5/4/92, la doppietta alla juve nel derby, trovarsi in piedi sulla balaustra del secondo anello ad ululare "WAAAAALTER".
E' uscita anche l'autobiografia quest'anno, ma penso lo sappiate.
purtroppo ho perso quel Casagrande e quell'Ascoli, ma ho voluto omaggiarlo lo stesso, per le emozioni che è riuscito comunque a darmi nei racconti di chi ha vissuto quegli anni
Eliminae hai fatto benissimo, bel pezzo tra l'altro.
Eliminac'ho pensato adesso, il mio "vabbè" non era critico, sia chiaro, anzi.
io posso solo essere felice che tuo papà ti abbia trasmesso certe cose e raccontato di Walterone, un plauso a lui.
sìsì infatti non c'avevo visto nulla di critico nel "vabé", figurati! grazie mille...
EliminaKelso, mi hai anticipato... Avevo 12 anni, il Toro di borsano e Mondonico...
RispondiEliminahttp://www.youtube.com/watch?v=TyZJYTm5myM
Grazie Gian Mario...
RispondiEliminaCasagrande ad Ascoli è uno dei miei primi ricordi calcistici.......
Gran derby.... fantastico Martin Vazquez...
Per la maglietta dell'Ascoli nella foto potrei spendere parecchi soldi.........
Grazie a voi! è sempre un piacere evocare bei ricordi di calcio!
RispondiEliminaQuanto ho pianto per quella sedia e non quella coppa... grazie per avermi fatto ricordare così bene Walter.
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